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lunedì 16 giugno 2025

Problemi di base sciocchi - 867

spock

“Nessuno vuole essere sciocco”, F. Dostoevskij?

 

“Uno sciocco propriamente non dovrebbe arrossire per la sua stupidità”, id.?

 

“Allo sciocco è perdonato se non è più intelligente di chi è intelligente”, id?

 

“Apparteneva a quella schiera di uomini indiscutibilmente intelligenti che per tutta la vita non fano altro che sciocchezze”, id.?

 

“Le persone limitate commettono assai meno sciocchezze di quelle intelligenti – da che dipende”, id.?

 

“L’intelligenza, l’intelligenza,  la più allarmante paura è per la propria intelligenza”, id.?

 spock@antiit.eu


Russia sconosciuta e incompresa

“Se c’è al mondo un Paese che è, per gli altri paesi distanti o confinanti con esso, più sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile di tutti gli altri, questo Paese è indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali”. Parte pimpante Dostoevskij, emergendo a San Pietroburgo dal confino militare a Semipalatinsk, da poco finita la guerra di Crimea, tre anni di stereotipi antirussi in Francia e in Inghilterra, che però non ebbero niente come “I racconti di Sebastopoli”, come Tolstoj, in questo saggio che doveva aprire una lunga riflessione sulla Russia e inaugurava nel 1861 la rivista “Vremja” ideata e editata col fratello Michail. Anche arrabbiato: “Essi anche tra di loro non si conoscono bene del tutto”. Il che è pure vero un secolo e mezzo dopo. Ma senza acredine, le nazionalità sono diversissime in Europa. E sono cattive in epoca di nazionalismi, esclusive e ostili: “L’idea dell’umanità universale sempre si cancella fra di loro”.
Sarà un tema costante in Dostoevskij, la misconoscenza della Russia in Europa. Lo riprenderà in più passi del “Diario di uno scrittore”. Estate 1876: “Per l’Europa la Russia rappresenta un dubbio, ogni sua azione rappresenta un dubbio, e così sarà fino alla fine”. Non perplessità, è disprezzo, aggiungerà a gennaio del 1877: “Grattate, dicono, un russo e vedrete il tartaro”. E aggiunge: “E intanto, noi non possiamo in nessun modo rinunciare all’Europa. L’Europa è la nostra seconda patria, io per pimo con passione lo confesso e l’ho sempre confessato. L’Europa ci è quasi cara come la Russia”. Qui contesta l’immagine che della Russia viene data in conseguenza della guerra – che non cita. Anche in campo militare: “Da dove avete appreso che noi siamo dei fanatici, cioè che il nostro soldato è mosso dal fanatismo… Se c’è al mondo un essere che non è affatto partecipe di alcun fanatismo, questo è proprio il soldato russo”.
Seguono pagine divertenti sui “viaggiatori” e “specialisti” europei al soccorso della Russia, nonché sui ciabattini e altri in cerca di lavoro. Specie i tedeschi – i ciabattini dettano legge, i dotti si fanno carriere catalogando moscerini, oppure “prendono la ‘Russiada’ di Cheraskov e la traducono in sanscrito”, un dotto tedesco sa bene il sanscrito. Particolarmente incapaci di capire i russi sono i tedeschi, che sono anche quelli che in più gran numero affluiscono in Russia, ma tutti, dal ciabattino al ciambellano, invariabilmente invasi da un senso di superiorità
Molte le amenità anche sui francesi, che sanno già tutto, non hanno bisogno di imparare. Molto poi è dell’animo russo, “popolare”, boiardi e servi, niente classismo. Specie nella letteratura, con molto Gogol’ – che ora si vuole ucraino (quale era, ma ora quasi antirusso) e Lermontov. Incidentalmente Tolstoj, come Autore Supremo, e infine Puškin, un cenno. “Qual boiardi qui! ... In tutti i nostri ceti ci sono più punti di contatto che di separazione…. Ogni russo è anzitutto un russo e quindi già appartiene a una certa classe”.
Con un lungo appello, pagato un tributo al nuovo zar, Alessandro II, all’alfabetizzazione obbligatoria.
Nella pubblicistica di Dostoevskij il nazionalismo mancava – perlomeno del Dostoevskij conosciuto, questa è la prima traduzione italiana. Non trinariciuto, anzi con una vena di humour, e molta conoscenza di mondo.   
A cura e con la traduzione di Lucio Coco, lo studioso della religiosità russa. Che ha corredato il testo di molte - necessarie, informative - note. Con l’originale a fronte.

Fëdor Dostoevskij, Russia, Aragno, pp. 188 €18

domenica 15 giugno 2025

Ombre - 778

Pride a Roma: un milione di partecipanti secondo gli organizzatori, 30 mila secondo la Questura. Non è una questione di opinioni, il richiamo delle “adunate oceaniche “ è irresistibile. “Di destra", direbbe Celentano da via Gluck, “e di sinistra”.


L’ex presidente francese Sarkozy privato della Legion d’honneur, il primo dopo il maresciallo Pétain, collaboratore dell’occupante tedesco, non se ne parla, ma è stato il nemico dell’Italia – l’unico che l’Italia abbia avuto nel dopoguerra: dapprima contro il debito italiano, poi contro la Libia di Gheddafi, perché troppo legata all’Italia. Di Gheddafi da cui era stato finanziato, ed è il motivo per cui è stato condannato, al carcere.

Finalmente, dopo due mesi e qualche giorno, “Il Sole 24 Ore” scopre l’abuso del golden power da parte del ministro leghista Giorgetti - lo fa scoprire, in piccolo, in basso, a p. 8, da Renzi, dichiaratore ora di professione (da “rottamatore” arcipotente a “dichiaratore” , quasi un piazzista…): “Golden power? Bomba nucleare. Tra le banche vinca il libero mercato”.
 
Ma no, a ripensarci, oh Renzi, che bomba? “Soltanto” un ministro che si appropria di mezza finanza, considerando Unicredit una banca estera….  Per di più senza giurisdizione della Baca entrale europea. E della Unione Europea.
La Lega se non ci fosse sarebbe difficile da inventare (ma, poi, la Lega non è Milano, ben legata alla curia e ben protestante, io e il mio Dio?).    
 
Leggere il ritratto che Caruso fa sul “Foglio” di Galeazzo Bignami, capogruppo di Meloni alla Camera, fa quasi buonumore - come dire: “L’abbiamo scampata”. Il padre professore di Matematica “gambizzato” perché fascista – poi ne morirà – da Nuclei Armati Proletari. “Per impedire che venisse curato” in ospedale “i sindacalisti della Cgil organizzarono i picchetti”. Ad Almirante “i comunisti impedirono fisicamente di entrare in ospedale, le infermiere consigliarono, per strada, di dimenticarsi di quel paziente”. Personalmente bullizzato con costanza e con ferocia per cinque anni “al liceo Righi, una preside comunista – camminare a quattro zampe, con il guinzaglio”, il panino “passato sul bordo del water”. A Bologna, città modello che il Pci vendeva alla stampa internazionale. Si capisce che non si fa la storia della Repubblica.
 
Un’altra storia che non si fa, da “Mani Pulite” in qua - ma anche da prima - è quella della magistratura. Che è roba da ancien régime, e non per gli ermellini e le mazze. Un covo di “irritualità”, come scherzava Di Pietro, o era Borrelli, l’andreottiano, il re dei “resistenti”: sul “caso Palamara” (le nomine decise in petit comité, divise per correnti sindacali) “molto è stato insabbiato", può dire incontestato Nordio, il ministro: “Non possiamo credere che lo scandalo Palamara si sia limitato a quei quattro poveretti che si sono dimessi”.
Qualsiasi cosa succeda nel mondo - ora la guerra di Israele contro l’Iran - in Italia è tutto uno “Scholz – o è Merz? – si sente con Macron e Starmer”, e tutt’e tre fanno non si sa che. Mentre non fanno niente. E non contano niente.
 
Macron, che “minaccia” di riconoscere lo Stato palestinese – che una dozzina di paesi europei da tempo riconoscono, al seguito della Spagna (in Spagna, al tempo di Franco, quindi fino al 1975, si scriveva “Israele”) – non è nemmeno riuscito a liberare due giovani francesi tenuti in ostaggio da tre anni dagli ayatollah – Meloni ci è riuscita in tre giorni.
Ma il curioso è che non c’è questa agitazione a tre nei giornali inglesi, né in quelli francesi – questi conoscono Macron, è uno più macho, se possibile, dell’emerito Sarkozy.
 
“Alta Società" sul “Foglio” (non più Carlo Rossella?) dà forse la chiave del mistero dei media italiani, tutti così monocordi. Sono tutti (vedovi) democristiani?  Al matrimonio sul  Tevere di Fabrizio Roncone, simpatica canaglia (pettegoliere) del “Corriere della sera”, “Alta Società” ha infatti trovato, benché svogliati, noti democristiani – oltre naturalmente agli ornamentali Pd, Rutelli, Veltroni e Gualtieri, in qualità di sindaci di Roma.
 
L’intervista di Marco Cremonesi si legge un po’ azzoppata, ma merita la lettura Roberto Calderoli, il dentista bergamasco, ma anche pilota spericolato di rally, quando se ne facevano, che spiega sul “Corriere della sera” come “si fa” la politica, i trucchi, le furbate, e come le istituzioni si difendono:
https://roma.corriere.it/notizie/politica/25_giugno_15/calderoli-referendum-9d6cbb93-7f4a-4c91-a6c5-e52384248xlk.shtml
  
“Arriva Sbarra nel governo (con polemiche)”. Poi uno va a leggere e le polemiche non ci sono. C’è solo Appendino, chi era costei?, alla quale giustamente è lasciata una riga – “una nomina sconcertante” (forse perché Sbarra è calabrese, non torinese come Appendino?).
 
Però, Sbarra con Meloni, cioè la Cisl dopo Coldiretti. È la “pancia Dc” che punta diretto su Meloni, - con più convinzione che, a suo tempo, su Berlusconi. Lo steso Manfred Weber, capo dei Popolari europei, e Ursula von der Leyen. Acculare Meloni al fascismo come fanno i media, è l’ultimo trucco del solito “partito della crisi” – azzoppare il governo, quale che sia.
 
Il Procuratore Federale di Los Angeles, favorevole alla politica trumpiana contro l’immigrazione illegale, è figlio di indiani. Intervistato da Viviana Mazza sul “Corriere della sera” non si giustifica. Spiega una miriade di modi come le “autorità locali”, per motivi politici, proteggono i clandestini anche se rei condannati e carcerati. L’Italia se li è presi, gli indesiderabili, condannati, all’uscita dal carcere. La questione immigrazione è semplice, ma l’immigrato serve alla piccola politica.
 
Molte pagine, otto o nove anni fa, agli immigrati via Libia che denunciavano l’Italia (di Minniti e Gentiloni) alla Corte europea – agli avvocati dei migranti, autonominatisi. Poche righe per la sentenza, di rigetto del ricorso. Titta l’informazione è all’ora della cronaca nera, l’importante è fare scandalo, fare rumore – non c’è distinzione fra scandalismo e informazione. Non c’è più stampa seria.
 
Copertina da “studio”, in posa, molte foto lusinghiere e molte pagine su “7” per Alessandro Benetton, che pubblica un nuovo libro, “Mai fermi”, e con i tre figli, e nemmeno una parola per dire che sua moglie, la madre dei tre figli, è o era Deborah Compagnoni – che pure è un personaggio leggendario. Su un settimanale diretto da una donna.
 
“Jobs Act? Il vero problema sono i salari bassi”. Anche il Pd ha chi sa come le cose vanno, anche se non ci vuole molto, solo un po’ di buonsenso - e Enrico Morando, che ne è stato a lungo suo rappresentante al ministero dell’Economia, naturalmente non ha dubbi. Ma non può raccontarlo al suo partito.  
 
Mercoledì l’argomento referendum non è la sconfitta (il sottinteso è la vittoria nella sconfitta, vecchio sovietismo) ma la riforma del referendum. La colpa è del referendum. Ce ne vuole uno senza quorum, insomma: un referendum delle minoranze, giusto o sbagliato che sia (è sbagliato), ma è onesto? I grandi giornali, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, “la Stampa”, sono per informare e indirizzare i lettori o per fregarli, spingendoli su binari morti?
 
Mercoledì il “Corriere della sera” ha ben sei articoli contro Trump in California, con l’esercito contro i manifestanti. I giornali americani anti-Trump, “New York Times”, “Washington Post”, ne hanno meno – e sulla questione specifica, immigrazione incontrollata e teppismo, prudenti. Il vecchio antiamericanismo dei vetero-compagni, seppure emigrati a New York? La revoluciòn - il sud americanismo in agguato? Una questione di logge?
 
“Cittadinanza, tra i 5 Stelle vince il no”, è la valutazione dell’Istituto Cattaneo di Bologna, specialista dei flussi elettorali: 61 per cento di no a Milano, 67 per cento a Genova, ben il 69 per cento a Bologna. Sono valutazioni e non dati, però…  Dall’altra parte, non pochi “leghisti e meloniani” hanno detto sì l’abolizione dell’art. 18.
 
“Landini e la sconfitta: «Dare le dimissioni? Non ci penso proprio». È la conferma: uno che primeggia ai talk-show, anche se attore mediocre, monocorde, monoespressione (l’Incazzato), a capo di un sindacato che non sa più nemmeno di esistere.
Come si finanzia il sindacato? Le aziende pagano ancora secondo le vecchie, vecchissime, quote associative?
 
Si sprecano commenti su Sinner-Alcaraz. Tra il tecnico (“vi dico io come si fa”), il sentimentale (la madre di Sinner), e il politico (l’antitalianismo francese, del Roland Garros). Segno di una grande delusione. Il tennis italiano, come il nuoto, è in fiore, a livello agonistico e dilettantistico, ma questo non è un primato, la buona gestione, la buona politica. Primato è solo il trofeo – anche se vince uno antipatico come lo spagnolo, che a ogni colpo riuscito chiede l’applauso.
 
L’Europa è con le pezze al culo. È l’analisi dell’ultimo “Economist”, edizione speciale, sotto il titolo “Insopportabile autocompiacimento dell’Europa”. Uno speciale che si apre col “Gattopardo”: “Perché le cose rimangano le stesse, tutto deve cambiare”. O la furbizia – rassegnazione – di progettare riforme che si rinviano – “dammi la volontà di fare le riforme, Signore, ma non si potrebbe domani?, dice la rivista, non un  cartoon. Una riflessione condita con molti indici, in un’ottica europeista (il settimanale era anti-Brexit).     
 
Appena arrivato in Italia, direttore tecnico o quello che è della Juventus, la squadra di calcio, Comolli ha detto subito la verità che nessuno dice: con la squadra di Gianni Agnelli l’Italia ha vinto due Mondiali, 1986 e 2006, senza non si è nemmeno qualificata a due Mondiali, e ora fatica al terzo. Semplice: ci vuole una squadra per vincere al calcio.
 
“L’era dei frugali è finita, i tempi sono cambiati, ora la cosa importante è riarmare l’Europa”, Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca. È sempre un’Europa “loro”, prima frugali, poi spendaccioni. La “legge dei più” – cosa?
 
“Per la prima volta dal 2008, in Spagna la disoccupazione scende sotto i 2,5 milioni”. Evviva! In Italia, 59 milioni di persone, undici in più della Spagna, il numero dei disoccupati è d 1,5 milioni. Ciò nonostante, la crescita del pil in Spagna è analoga a quella dell’Italia, e qualche trimestre con uno o due decimi in più. L’economia va meglio con i disoccupati?
 
“Il Sole 24 Ore” che ammonisce o decreta in prima pagina: “Rischio crack, i bond Usa come quelli greci?”, non è anti-trumpismo (e come può essere, anche la Confindustria è anti-Trump?), o a chi le spara più grosse (“Il Sole” è timorato di Dio). Perché il debito federale Usa sale di 3 mila miliardi nel 2030, per effetto della legge Trump di bilancio federale? Ma non è aumentato di 8.400 miliardi nei soli quattro anni di Biden, “Il Sole 24 Ore” non se n’è accorto?
 
Più curioso ancora è che il giorno prima il “Financial Times”, anch’esso a forti caratteri in prima pagina, assicurava: “Gli Usa non saranno mai insolventi sul loro debito”. Anche perché stampano loro i dollari, no? È una guerra di opposti estremismi? Il “mercato” ci guadagna con l’uno e con l’altro allarme? E poi, Trump non è pazzo? Nessuno che dica che il dollaro si è svalutato di quel 12-14 per cento che Trump voleva  - anche con la furbissima Cina – coi suoi dazi a sproposito.

I baroni coldiretti

Lo storico ritorna sullo studio dei suoi esordi, che è anche il testo ormai canonico del Cinquecento di Napoli, “Economia e Società nella Calabria del Cinquecento” (che ha avuto quattro riedizioni, dal 1965 al 1995, di cui tre con parziale rifacimento), ridefinendo alcune polemiche insorte successivamente. Specie sulla “rifeudalizzazione” al tempo della prima monarchia spagnola del viceré De Toledo, e poi con i successori.
Una storia che ha come tema la Calabria ma si svolge per pratiche e normative che interessavano tutto il Regno, tutto il Meridione. E un approccio, sulla rifeudalizzazione, che trova la conferma ancora nella realtà della Calabria postbellica, a metà Novecento, quando le riforme agrarie frantumarono marchesati e baronie, la cosiddetta “rifeudalizzazione” consistendo nella moltiplicazione dei titoli baronali, una forma di rimpinguamento dell’erario, mentre il vecchio come il neo barone si configura come un proprietario terriero, a contatto quotidiano con fittavoli o braccianti, con più o meno sagacia o fortuna – niente di più dell’odierno “coltivatore diretto”. La feudalità è tutt’altra cosa – ed è, si direbbe a occhio, quella che è mancata alla Calabria: una cornice di diritto, sia pure oppressiva, con debiti e non solo crediti – storici, sociali, di classe.
Una trattazione piena di cose, oltre che di polemiche accademiche più o meno scoperte. Galasso sarà stato uno dei pochi storici che nel secondo Novecento hanno voluto e saputo frugare fra realtà vive e documenti, non limitandosi, anzi escludendoli programmaticamente, ai facili paraocchi ideologi, alle storie delle formule vuote.  
Giuseppe Galasso,
La Calabria spagnola, Rubbettino, p. 238 € 12

sabato 14 giugno 2025

I Sei Giorni degli ayatollah

Non è detto che questa guerra duri Sei Giorni, come nel 1967, ma l’effetto è già lo stesso. Israele non ha distrutto l’aviazione iraniana, missili compresi, a terra, ma ne ha decapitato i comandi. Anche le giornate sono le stesse, allora 5-11 giugno. E l’effetto politico: Nasser durò ancora tre anni, cioè fino alla morte, nel 1970, ma il nasserismo finì con la guerra. Allora come oggi l’appoggio russo si rivela inefficace – e la Cina è, e si vuole, distante.
Quanto dureranno gli ayatollah al dominio dell’Iran è problema minore – il Medio Oriente non ha movimenti politici organizzati. Ma, mentre Nasser significava molte cose popolari, la modernizzazione, un po’di socialismo, molto panarabismo, con le quali aveva segnato il risorgimento del mod arabo, gli ayatollah si sono ostracizzati tutti i vicini: Iraq, Siria, Libano, Afghanistan, lo stesso Yemen e i potentati della penisola arabica, l’Egitto e il Maghreb (l’Algeria farebbe un funerale di tutto il khomeinismo). La loro unica causa è l’islamismo, sharia e jihad, col quale hanno solo alimentato morti, a milioni, e odio. Il loro stesso Paese, antico, civile  e di grande cultura, hanno violentato in tutti i modi, con la censura, le impiccagioni, il carcere, la proibizione di pensare – e gli assassini mirati (uno ache a Roma, Hossein Naghdi). Non reggeranno alla guerra.

Più debito che pil

Il debito pubblico mondiale si avvia al 100 per cento del pil globale alla fine della decade. Oltre a emettere nuovo debito, molti Paesi sempre più sperimentano e utilizzano forme opache di finanziamento. Che rendono difficile la proiezione, ma la tendenza è netta.
La spinta maggiore viene dai paesi emergenti, Cina compresa, e dalle economie in via di sviluppo. Che ora contestano, si può aggiungere, le agenzie di rating - i vigilanti. Tra i Paesi industrializzati gli Stati Uniti sono in corsa, dalla crisi del covid, verso un rapido raddoppio del debito. Il primo bilancio della presidenza Trump porterà a un aumento del debito di 3.000 miliardi in dieci anni, poco meno del 10 per cento di aumento sul debito in essere, 36.200 miliardi. Ma il grande balzo è stato già fatto nei quattro anni dell’amministrazione Biden, con un balzo del debito di ben 8000 miliardi, da 27.800 a 32.600.
Disclosing Debt. International Monetary Fund. Weekend Read, f ree online
 

venerdì 13 giugno 2025

Le banche alla Lega

“Una procedura con 4 stranezze, 4 invitati, e 4 identici prezzi in 9 minuti. Le modalità con le quali nel novembre 2024 il ministero del Tesoro ha ceduto, attraverso incarico a Banca Akros, il 15 % per cento di Monte dei Paschi di Siena a Banco Bpm (5%), Caltagirone (3,5%), Delfin (3,5%) e Anima (3%) sono oggetto di una inchiesta della Procura di Milano con persone iscritte nel registro degli indagati («modello 21»)”. Prudentemente, in pagina interna, il “Corriere della sera” infine interrompe con Ferrarella, il suo cronista giudiziario, il fragoroso silenzio sul “banche a me” del ministro Giorgetti” – il “riassetto” bancario che Giorgetti governa per conto della Lega. Il più grosso scandalo politico dopo “Mani Pulite”.
Un fatto molto evidente, perfino a questo sito  
http://www.antiit.com/2025/02/ombre-758.html
http://www.antiit.com/2025/01/lopa-di-roma-su-milano.html
http://www.antiit.com/2024/11/ombre-747.html
sul quale finora non una parola – Milano è pettegola, ma quando vuole (altrove si direbbe mafiosa).
Le stranezze, sulle quali la Procura di Milano non può più, dopo sette mesi, non indagare (anche perché Mediobanca si è querelata - e Unicredit potrebbe farlo, se lo spesso muro della iperredditività dovesse incrinarsi), sono evidenti. Giorgetti dà incarico a Banca Akros di vendere in fretta – accelerate book building – il 15 per cento di Mps. L’11 novembre 2024? Giovedì 14 l’affare è fatto: Akros, gruppo Bpm, ha collocato il 5 per cento con Bpm, il 3 per cento con Anima, sempre gruppo Bpm, e il 7 per cento in due quote eguali a due “compagni di merende” di Giorgetti, Caltagirone e gli eredi Luxottica. La compagine con la quale due mesi dopo il ministro ha lanciato l’ops su Mediobanca-Generali. Semplice.

Berlinguer, famolo santo

“Il film indaga perché Enrico Berlinguer è il politico più amato a quarant’anni dala sua scomparsa” – questo il blurb di presentazione. La  nostalgia si può capire, magari in chi nasceva quando Benigni furbo si affermava col “Berlinguer, ti voglio bene”, 1977. Ma a quarant’anni di distanza c’è appunto la distanza. E non si capisce.
Forse perché visto dopo la scorpacciata di apologie del papa Francesco, sa particolarmente di falso. Un’apologia si regge se in qualche misura, per qualche aspetto, anche solo per la distanza o la lontananza, è condivisa, accomuna  Ma qui quello che va in scena non è Berlinguer, sono gli autori e i loro – possibili, previsti – spettatori.  Per dire: anche di paga Bergoglio si sono fatti una decina o dozzina di film tutti insieme, come per Berlinguer, ma non altrettanto stucchevoli.
Pesa poi anche la distanza, la prospettiva storica. E non si vede come si possa glorificare un leader  vita di partito che ha distrutto il suo partito. Letteralmente, volutamente. Che si voleva lontano dal sovietismo ma il suo partito non lo voleva altrettanto lontano, nei finanziamenti, nell’organizzazione, nelle procedure. Che piuttosto che farne un partito socialista o socialdemocratico lo ha appaltato all Dc. Alla Dc? Si veda ancora oggi a Roma, nella comune, irrefrenabile, spudorata corruzione, in opere e omissioni, in appalti e trabocchetti.
Una trama di ricordi personali scelti e montati ovviamente “al punto”. Un’enfatizzazione del disacco dal sovietismo – quado tutti sanno che il partito fu finanziato da Mosca fino al 1989. Un personaggio che sarà stato anche simpatico (in Parlamento e coi cronisti non lo era), ma al congresso del 1975, quando già aveva lanciato il “compromesso storico”, al congresso del Pcus, il partito comunista sovietico, ribadiva la la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Superiore negli anni di Breznev? Mah.
E la “questione morale” come scudo?. Morale di chi riceveva e gestiva non solo le tangenti pretese da Eni e Finsider dal Pcus e depositate in Svizzera, ma anche oro, pelli, e perfino dollari, in mazzette? Onesto a suo modo: nel 1984, poco prima della morte, a Minoli che in tv gli chiedeva quale era la personalità internazionale che più ammirava rispose: Janos Kadar, il capo del partito e del governo ungherese che aveva rovesciato con i russi al rivolta del 1956. Uno che chiuse il partito, piuttosto che farlo socialista, in “deriva solipsistica” (Piero Fassino), con la sempre incresciosa “autoconsolatoria riaffermazione di diversità” (id). Maneggiato peraltro da Tonino Tatò, un filibustiere politico, la quinta colonna “democristiana” al suo fianco.
Per quale motivo Miriam Mafai, buona comunista da una vita, chiedeva di “Dimenticare Berlinguer”, nel 1996? “Col passare degli anni quella opzione strategica (il “compromesso storico”, n.d.r.) appare sempre più chiaramente come uno dei fattori – se non addirittura come una delle cause principali – della difficoltà della sinistra italiana, e della crisi politica e  istituzionale che ancora travaglia il nostro Paese”.
Un film “con il contributo della presidenza del consiglio dei ministri” - nel 2025? Prodotto dalla Fondazione Cespe, che dunque ancora esiste - la creazione di Eugenio Peggio (quanti problemi con Enrico...).
Farina, “sociologo e saggista”, che “nel 2009, a vent’anni, crea enricocoberlinguer.it, il primo sito web su Enrico Berlinguer”, è anche autore con Bianca Berlinguer di un “Per Enrico, per esempio. L’eredità politica di Enrico Berlinguer”. Qual è? Ma gli autori vanno a passo di marcia, “Enrico Berlinguer continua ad essere il leader politico più amato della storia repubblicana”, e si risparmiano la risposta.
Pierpaolo Farina, Berlinguer. A Love Story

giovedì 12 giugno 2025

Se la Russia guarda all’Europa

La Ue è alla 17ma o 18ma sanzione contro Mosca. E si riarma con ben due programmi miliardari, Rearm e Safe, sempre contro la Russia. Ma la cosa non sembra essere presa sul serio a Mosca. Non dai russi che ovviamente si sentono e pensano europeo. Non dal regime, questo è il punto. Dai vari istituti di politica estera, tutti più o meno al governo.
Non molto tempo fa il ministro degli Ester Lavrov ricordava nostalgico sul sito del ministero “i vertici due volte l’anno, cosa che la Ue non ha mai fatto con nessun altro Paese”. In contemporanea il teorico sovranista Vladimir Surkov lamentata sul settimanale francese “L’Express”:  “La Russia da anni si dice pronta a parlare con l’Europa, l’Europa avrebbe potuto rispondere e aprire un dialogo, ma non l’ha fatto”. Perfino Putin ultimamente apriva una finestra, con “ottimismo e speranza” – ma distinguendo fra Ue e Stati: “Prima o poi ci muoveremo al ripristino di relazioni costruttive con gli Stati europei”.
Putin e i suoi parlano come se, finita la guerra in Ucraina, le cose torneranno al loro corso abituale. “naturale”.
Non mancano le ipotesi di un interesse comune. Di fronte alla sfida cinese, e in genere del Sud del mondo. Un mondo s’immagina triangolare, Usa-Cina-Europa, con dentro (in Europa) la Russia. E perfino una sorta di Occidente nordico, per fronteggiare la sfida del Sud del mondo.

Letture - 581

letterautore


Arabia Saudita
– Oggi al centro delle “industrie culturali” (promozioni socio-politiche) di ogni tipo, architettoniche, green, calcistiche, tennistiche, etc., con numerosi testimonial ben pagati (tra essi Matteo Renzi, in qualità di ex sindaco di Firenze, con un ruolo molto semplice: dire ogni tanto che “l’Arabia Saudita è in pieno Rinascimento”) era per Elemire Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto del mondo che resista all’industria culturale”.  
 
Compromesso storico
– Lo storico –mite - Giuseppe Galasso ne rivendica – polemicamente - la primogenitura in nota a “La Calabria spagnola”, una delle sue ultime opere, 2012 (rifacimento di uno dei suoi primi lavori di storico, “La Calabria nel Cinquecento”, 1963). Spiegandone anche l’intrinseco ossimoro. Senza riferimenti all’uso berlingueriano, o politico, della formula, ma con curioso puntiglio, riferendosi  a se stesso come a terza persona:
“La formula del «compromesso storico» è stata usata – con consapevole anacronismo terminologico, voluto a fini pratici di semplicità e di icasticità espressiva – da G. Galasso in molti dei suoi lavori fin dagli anni in cui imperversava la polemica sulla cosiddetta «rifeudalizzazione», che avrebbe caratterizzato la storia politico-sociale del Regno nel secolo XVI. Poi, in progresso di tempo, la rifeudalizzazione (di cui Rosario Villari fu il maggiore sotenitore) ha perduto la massima parte della sua attrazione, se non è addirittura scomparsa, come tema storiografico di persuasiva  fondatezza”.
Rosario Villari è stato uno storico e un esponente Pci, promotore e poi direttore di “Studi Storici”, la rivista dell’Istituto Gramsci, membro del Comitato Centrale del Pci, e parlamentare. La polemica sulla “rifeudalizzazione” seguì la pubblicazione nel 1967 della sua storia del Regno di Napoli nella prima metà del Seicento, “La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini, 1585-1647”. Il compromesso storico di Galasso è quello intercorso fra la monarchia spagnola di Napoli e la feudalità

 
Domani
– È il nuovo motto dell’Europa per l’ “Economist”, nello speciale che il settimanale ha dedicato al continente nel numero dell’1 giugno. Aperto col “Gattopardo” -  col “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, detto dal giovane Tancredi, garibaldino e futuro senatore, l’uomo dei tempi nuovi. Come dire dell’irresolutezza, dei buoni propositi e gli efferati fatti, del quieto vivere, della rassegnazione. Si sostituiranno nella koiné europea, nella lingua franca occidentale, i vecchi mañana  e bukra (insha Allah), l’indolenza e il rinvio in spagnolo e in arabo, con l’italianissimo domani?
 
Ebraismo
-  L’identitarismo viene dalla diaspora – che invece dovrebbe annacquarlo? Era l’idea di Kafka, a proposito dell’ambiente estraneo, in viaggio: se fatto in compagnia, le difficoltà cementano i rapporti, le amicizie. Lo ricorda Daria Galateria in “Atlante degli artisti in affari”, a proposito della visita all’editore Kurt Wolff, a Lipsia, nel 1912, cui Max  Bord costrinse il timido Kafka. Che, usciti dall’ufficio di Wolff, avrebbe a sua volta rimproverato l’amico per non avere proposto la guida turistica di cui vaneggiavano per fare qualche soldo. Ribadendo: “Vediamo noi stessi meglio di quanto ci vedano gli altri, perché noi stiamo viaggiando”.
 
Gadda
- Con “200 termini in spagnolo” Gadda mette “a distanza di sicurezza…. tutto lo gnòmmero (il nodo) di Gonzalo (sé medesimo)” nella “Cognizione del dolore”, per “parlare della mamma e della sua odiata villa in Brianza” – Daria Galateria, “Atlante degli artisti in affari”, p. 184.
 
Proto-femmininismo
– Aveva mille nomi, e mille funzioni, Iside Regina nelle “Metamorfosi” di Apuleio,  qualche millennio fa, all’XI libro:
“Io sono la genitrice dell’universo,
la sovrana di tutti gli elementi,
l’origine prima dei secoli,
la totalità dei poteri divini,
la regina degli spiriti,
la prima dei celesti;
l’immagine unica di tutte le divinità maschili e femminili:
sono io che governo
col cenno del capo
le vette luminose della volta celeste,
i salutiferi venti del mare,
i desolati silenzi degli inferi.
Indivisibile è la mia essenza,
ma nel mondo io sono venerata ovunque sotto molteplici forme,
con riti diversi, sotto differenti nomi.
Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli dei [Grande Madre, Cibele],
adorata in Pessinunte;
gli Attici autoctoni, Minerva Cecropia;
i Ciprioti bagnati dal mare,
Venere di Pafo;
i Cretesi abili arcieri, Diana Dictinna;
i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia;
gli abitanti dell’antica Eleusi,
Cerere Attea;
alcuni Giunone; altri Bellona;
gli uni Ecate; gli altri Rammusia [Nemesis].
Ma le due stirpi degli Etiopi,
gli uni illuminati dai raggi nascenti
del dio Sole all’alba,
gli altri da quelli morenti al tramonto,
e gli Egiziani
valenti per l’antico sapere,
mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi chiamano
col mio vero nome:
Iside Regina.
O Regina del cielo,
tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato
tua figlia, eliminasti l’antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere,
rivelando agli uomini un cibo più mite,
ora dimori nella terra di Eleusi;
tu Venere celeste,
che agli inizi del mondo congiungesti
la diversità dei sessi
facendo sorgere l’Amore
e propagando l’eterna progenie
del genere umano,
ora sei onorata nel tempio di Pafo
che il mare circonda;
tu [Diana] sorella di Febo,
che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte,
hai fatto nascere tanti popoli,
ora sei venerata nel tempio illustre
di Efeso;
tu Proserpina,
che la notte con le tue urla spaventose
e col tuo triforme aspetto
freni l’impeto degli spettri
e sbarri le porte del mondo sotterraneo,
errando qua e là per le selve,
accogli propizia
le varie cerimonie di culto;
tu [Luna] che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città
e col tuo rugiadoso splendore
alimenti la rigogliosa semente
e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,
sotto qualunque aspetto
è lecito invocarti:
concedimi il tuo aiuto
nell’ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna,
e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo”.


Russia -  Scriveva Proust a un’amica nel novembre del 1914, quando la guerra era già sanguinosa: “Se invece che con la Germania fossimo in guerra con la Russia, cosa si direbbe di Tolstoj e di Dostoevskij?”


Sartre – Di “profondo e (Dio ci perdoni) elegante talento comico” lo vuole la francesista Daria Galateria  (“Atlante degli artisti in affari”, 195-196). Perlomeno a Roma, per il progetto poi incompiuto de “L’ultimo turista”. Ultimo già nel 1952?
Se si ripercorre la sua enorme produzione e, soprattutto, le sue attività quotidiane, anche del pensiero, della riflessione, testimoniate variamente da Simone de Beauvoir nelle sue numerose memorie, un taglio azzeccato – giusto, vero.

letterautore@antiit.eu

La strada di Berlinguer, al cimitero

“Berlinguer vedeva una strada dove altri non la vedevano”. Quale?
Il docufilm di Samuele Rossi, con “molte immagini inedite”, è approdato alla “Torre di Babele”, il mini salotto su La 7 di Corrado Augias, per l’occasione prolungato a due ore. Con la partecipazione, mesta, di Sandro Veronesi. 
Un’agiografia vecchio stile, parrocchiale. Perfino con i “miracoli”.
Una celebrazione tristanzuola. Forse perché Augias non ha nelle corde il pindarismo. E Veronesi – Berlinguer era juventino? Evocare gli “ultimi giorni” rimanda a Karl Kraus, gli ultimi giorni dell’umanità, alle sette parole di Cristo in croce. Mentre qui è solo un po’ di propaganda – questo è uno di una dozzina di film programmati o annunciati per i quarant’anni della morte d Berlinguer.
Samuele Rossi, Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer, La 7

mercoledì 11 giugno 2025

Il Treasury europeo vuole il riarmo

Londra, senza dirlo, vuole il return, tornare a essere la capitale finanziaria dell’Europa, e lo prepara col riarmo. Suo ed europeo (il 19 maggio ha firmato accordi per accedere ai fondi europei per il riarmo, del programma Safe, Security Action for Europe). La Banca centrale europea vuole consolidare l’euro come moneta internazionale, approfittando della politica trumpiana d’indebolimento del dollaro, ma ritiene preliminare la difesa europea.
Sembrerebbe il contrario, nella dottrina e nella prassi convenzionali, che gli affari cioè diminuiscano o indeboliscano i pericoli di guerra. Ma ora si procede al contrario.
Anche in Germania, il programma di rilancio dell’economia dopo la lunga stagnazione si basa su una forte spesa per la difesa – per le infrastrutture tecnologiche e per la difesa, ma per ora si procede con la spesa e la riorganizzazione militari.

La Germania immobilizzata dalla destra

La Germania vive nella paura della destra – della destra vera, estrema, di Afd. A differenza della Francia, dopo pure l’estrema destra, anti-sistena e anti-Europa, è quasi il doppio che in Germania: la Francia non la teme, semplicemente si organizza alle elezioni per innocuizzarla.
Il piano Merz di rilancio dell’economia promette infrastrutture e militarismo. Ma l’organizzazione e le spese militari sono già in atto. La Germania ha sempre bisogno di lavoro immigrato. Ma Merz fa sorvegliare le frontiere, pratica su larga scala i “respingimenti”,  e a Bruxelles ha fatto adottare da von der Leyen misure restrittive all’immigrazione incontrollata.
Per Commerzbank, per tirarla fuori da trent’anni di sofferenze, Berlino aveva chiesto aiuto a Unicredit: è come dice il ceo Unicredit Orcel – senza un partner solido Commerzbank non vale la metà di quanto quota adesso, dopo nove mesi di corte Unicredit. Ora è sempre spaventata, ma dall’oltranzismo Afd, e dice no a ogni mano straniera.      
La Germania di Merz è tutta inward looking, proiettata al suo interno. Il cancelliere parla con Macron, è andato da Trump, e anche da Meloni, ma con l’aria distratta. Pensa sempre: come faccio a sgonfiare Afd?

Ritornano gli anglosassoni

Non c’è solo Trump che non vuole “gli stranieri”, c’è anche la Gran Bretagna. E non quella di Farage, estrema destra, quella isolazionista del brexit, ma del governo laburista. E non si capisce il perché.

La sola spiegazione è è che sia un’esigenza “anglosassone” – una mentalità tribale, un comunitarismo razziale. Che gli anglosassoni esistono, come li chiamava il generale De Gaulle, che li temeva e li aborriva – pronunciava con disprezzo “les anglosaxons”. A lungo, si ricorderà, il generale ammonì contro la Gran Bretagna nella Comunità europea, in quanto “cavallo di Troia”.

Se la Germania è il malato d’Europa

Dopo un quarto di secolo e più che l’“Economist” labellò la Germania “il malato d’Europa”, l’etichetta va ancora bene. E questa volta la malattia è cronica, richiede un piano terapeutico a lungo termine. Il piano finanziario del nuovo governo, puntato sugli investimenti in infrastrutture e sulla spesa per la difesa è solo un inizio.“La Grmania deve anche aprire la sua economia alle tecnologie orientate al futuro, impegnarsi per una maggiore integrazione dei mercati in Europa, e costruire al suo interno un forte mercato dei capitali”.
Insomma, la crisi tedesca non è passeggera. Sono  cinque anni che l’economia ristagna: dal 2019  è cresciuta solo di uno 0,1 per cento. Cioè ha ristagnato. Per quest’anno e il prossimo il Consiglio degli Esperti Economici prevede  un crescita minima, dello 0,4 per cento – le autrici sono economiste del Consiglio, un organismo autonomo di esperti, che si dà il compito di consigliare il governo federale.
La Germania era il “malato d’Europa” nel 1999 perché aveva cinque milioni di disoccupati (la delocalizzazione, allora all’Est Europa, fu in Germania fulminea e larga), e la crescita minima. Oggi la crescita non c’è ma per altri motivi: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E “nei prossimi dieci anni la situazione peggiorerà, 20 milioni di lavoratori andranno in pensione e solo 12 milioni e mezzo li rimpiazzeranno. Ne  risulteranno ulteriormente aggravati i costi del lavoro: troppo alti, con una produttività risicata. La competitività ne ha sofferto.
“I costi del lavoro sono di fatto la causa maggiore del declino della competitività tedesca, più ancora degli accresciuti costi dell’energia”. I costi unitari del lavoro. “Vediamo questi fattori avversi all’opera in particolare nel settore manifatturiero,  che era il motore della crescita dell’economia tedesca ma ora è in continuo declino, dal 2018”.
Per questo aspetto il problema è anche italiano: la popolazione sempre più anziana e una offerta di lavoro insufficiente e poco qualificata. E costi del lavoro elevati – seppure insufficienti in quanto fonte di reddito: per scarsa produttività, cioè per scarsi investimenti.
Ulrike Malmendier-Claudia Schaffranka, Making Germany grow again, “F&D, Finance&Development Magazine”, mensile del Fondo monetario internazionale, free online

martedì 10 giugno 2025

Problemi di base d'autore - 866

spock

“La speranza non è una probabilità,  è una possibilità”, Edgar Morin?

 

“Per trovare fortuna bisogna averne. Almeno un po’. Almeno all’inizio”, Ernesto Franco?

 

“Giocare, giocare al lotto, per aspettarsi ancora qualcosa”, Annie Ernaux?

 

“Perdonare è più facile che dimenticare”, Elena Sofia Ricci?

 

“Il riposo è la lingua natale della velocità”. E. Jünger?

 

“Il ribelle è un infelice perché è uno sradicato”, Carlo Cassola?

spock@antiit.eu

Tragedie d’Italia

“Il racconto di quattro delitti italiani” è il sottotitolo. Il fattaccio più noto è “Il triangolo maledetto. Il delitto Casati”.Ma non mancano gli orrori in “Amore fino alla morte, Il boia di Albenga”, “Intrigo perverso. Il delitto del nano”, “L’atroce vendetta. Il delitto del Canaro” . Quattro fatti di cronaca raccontati nei risvolti noti e messi in prospettiva.
Una forma nuova di cronaca nera? Di più – anche molto di più, giacché è il libro più stampato di Cerami (e quello, forse, che ha avuto più editori nel secondo Novecento, se lo rubano). Racconti pubblicati su “Messaggero” dapprima, poi nella serie-regalo estiva dello stesso quotidiano, “I gialli di Roma”, a ottobre del 1991 (la riedizione migliore di tutti, con articoli e interviste che mettono in quadro le messe in quadro di Cerami), e successivamente in edizione Einaudi, 1997, e Oscar, 2006, prima di questa.
Si ripubblica con una nuova prefazione, di Sandro Veronesi. E con quella originale di Cerami, che spiega la sua romanità, con una infanzia poi segnata da Pasolini maestro di scuola. Veronesi apre con un episodio del genere dei racconti, per “l’attrazione inconscia del male”: una giornata in allegria, sulla barca di una coppia giovane e felice, che un  settimana dopo finiva in tragedia: “Al sorgere della mattina, prima di spararsi in fronte lei uccide il marito che ancora dormiva”.
Un occhio romano, disincantato, su vicende truculente ma pur “romane”, mediocri, con risvolti grotteschi, e perfino ridicoli. Per l’attrazione sempre distruttiva a autodistruttiva del male, ma cui si obbedisce inconsapevoli, per una sorta di istinto belluino. Senza molta compassione, più con la cattiveria dell’autore di “Un borghese piccolo piccolo”.
Vincenzo Cerami, Fattacci, Garzanti, pp. 252 € 14