skip to main |
skip to sidebar
spock
“La menzogna è
un’arma”, id.?
È soprattutto l’arma
del più debole, id.?
“Per il gruppo
segreto è condizione d’esistenza”, id.?
spock@antiit.eu
La spesa sanitaria è negli Stati Uniti la causa di gran lunga maggiore
dell’indebitamento, e dei fallimenti, delle famiglie. Su questo dato c’è
convergenza fra Democratici e Repubblicani, in Congresso e negli Stati.
Il governantore della Florida, il repubblicano Ron De Santis, ha voluto una
legge che facilita i ricorsi legali contro le fatture mediche, di specialisti,
laboratori, ospedali. E riduce il periodo di tempo concesso agli ospedali per recuperare
i crediti.
Molte città, grandi e piccole, da Los Angeles a Toledo, hanno usato i
fondi federali per il Covid per cancellare debiti sanitari in essere. Nell’ultimo
caso, la contea Cook dell’Illinois ha speso 12 milioni di fondi federali per
sbloccare debiti per un miliardo di residenti a basso reddito.
Il progetto di un
libro poi abbandonato su tutte le case in cui la scrittrice ha vissuto. E sulle
varie circostanze e i modi di essere e di vivere, a Nord e a Sud degli Stati Uniti,
a Est e a Ovest, in Cile e in Messico. Un testo incompiuto, “una serie di
ricordi dei posti che aveva chiamato casa” (Jeff Berlin, il figlio che ha
curato la pubblicazione). E una scelta di lettere lunghe, minuziose. Per lo più
a Ed e Helene Dorn, lui poeta, lei pittrice e scultrice, che in tutte le “case”
e tutte le tumultuose circostanze familiari di lei la sostennero e aiutarono –
Ed è stato l’editore e il “redattore” di Lucia per lungo tempo. Lettere scelte per
la vivacità con cui racconta la vita bohémienne a New York negli anni 1970,
grigia e triste, la desolazione del Sud, El Paso, Albuquerque, e a Oakland le cento
invenzioni per sopravvivere con quattro figli. Con moltissime foto, collegate ai
vari momenti del memoir e alle circostanze delle lettere. E una nota
biografica. In copertina quella canonica, del 1971, ad Acapulco.
Tra memoir e lettere un appunto, “I problemi in tutte le case in cui ho vissuto”, una lunga dettagliata lista di 18 abitazioni che da sola vale la lettura, tra vicini, molesti e non, troppe cameriere, insetti di variatissima specie, terremoti, uragani, greggi di pecore “next door”, “niente acqua corrente, niente elettricità, niente bagno, e due bambini col pannolino”… Alaska, Idaho, Montana, Kentucky, le varie destinazione del padre tecnico minerario, dappertutto chiusi in una stanza. A El Paso in un a vera casa, quella dei nonni materni, tra gli effluvi e gli strani colori di raffinerie e acciaierie. Poco degli anni felici a Santiago del Cile, dove il padre è cresciuto di ruolo: molta servitù, molta spensieratezza, a scuola e ai balli. E poi in Arizona, una vera villa, anche qui con servitù.
Il tocco è sempre lieve,
malgrado tutto. Sposa a diciott’anni, il marito Paul voleva che dormisse a
pancia in giù, per appiattire il naso che invece guardava all’insù. Fanno
subito un figlio, per evitare a lui il servizio militare. Quando nasce il secondo
Paul se ne va: “Paul disse che la sola soluzione per lui era di partire, e così
fece. Aveva una borsa di studio, un maestro, una villa e una fonderia a Firenze,
e una nuova amica col naso dritto” (lo scultore Paul Suttman, all’Accademia di
Belle Arti a Firenze, lavorerà con Manzù, e resta in Italia dal 1962 al 1976,
beneficiario di tre Borse dell’Accademia Americana al Gianicolo a Roma). Poi una
lunga convivenza, con altri due figli, e molti spostamenti con un musicista
jazz. Eccetera. I piccoli mestieri, da sopravvivenza. La cura dei figli, sempre.
La scrittura.
Non è la vita travagliata
il tema e il senso di questa compilazione “in memoria” disposta dal figlio
Jeff. È la scrittura: “La mamma scriveva sempre”, a penna, a macchina, a matita.
Per lo più consigliata e editata da Ed Dorn, il poeta, una sorta di Pigmalione.
Ma non è un racconto delle difficoltà della vita, il memoir poi lasciato nonfinito.
Lo sguardo è sempre sereno, e divertito – la cifra di Lucia Berlin. Tra i tanti
aneddoti, una comica il contratto, con tanto di anticipo subito versato, per un
romanzo che ancora deve scrivere, ma di cui non ha idea, anzi non sapeva nulla
prima del pranzo organizzato per la firma. Organizzato dall’agente, per intascare
subito la sua percentuale – che la consola: “Mettono la tua foto in copertina,
e vendono milioni di copie”.
I momenti di svago sono molti.
Ma ci sono anche i pusher, in America e in Messico, che perseguitano l’ultimo
e sempre amato marito, Buddy Berlin. Che l’Fbi manovra per incastrare –
incastrare lui e lei come trafficanti di droga (Berlin possedeva e pilotava un aereo):
intercettazioni, falsi testimoni, pedinamenti, pressioni sui vicini, lettura della
corrispondenza – “tutte queste scene fanno sembrare il Messico molto libero”. Ci
sono problemi di saute, alla schiena e altrove. D striscio, ma diabolico, il rapporto
con la madre, spesso ubriaca – del padre unicamente sappiamo gli occhi “verdi
smeraldo”.
La felicità di scrivere,
di raccontare, in una vita in ogni momento difficile, anche dura. Con humour,
e la capacità, questa soprattutto, di fare racconto anche degli aspetti minuti,
perfino squallidi, della vita. Una indistruttibile felicità malgrado tutto – la
stessa vita si potrebbe dire miserabile.
Lucia Berlin, Welcome Home, Picador, pp. 162,
ill. € 17
L’indebitamento totale delle famiglie americane ha superato i 18 mila miliardi.
In rapporto al pil, il maggiore mercato di consumo al mondo è indebitato al livello di paesi come la Russia (dopo la guerra), il Pakistan, la Repubblica
del Congo: nessuno paga più niente, se non a debito. Il debito medio per
famiglia la Federal Reserve calcola in “oltre”100 mila dollari – a cui però la
stessa Federal Reserve contribuisce, con i tassi alti da cinque anni a questa
parte, e che non si vedono scendere, stante l’elevato tasso di sconto della
Federa Reserve.
Sono moltiplicate le compagnie BNPL, buy now, pay later, compra
oggi paga domani. Società di credito al consumo che hanno raggiunto estensioni
inimmaginabili. Le insolvenze su carta di credito sono al massimo da un secolo,
dal tempo della Grande Crisi.
DoorDash, la Deliveroo americana (di fatto ha assorbito Deliveroo), ha
aperto una partnership con Klarna, una finanziaria del credito al
consumo, cui molti ricorrono anche per piccole somme: si ordina la pizza a
debito.
Un movimento, Poor People’s Campaign, si sta sviluppando, all’attenzione
sia dei Repubblicani che dei Democratici, per una “piattaforma Giubileo” che
potrebbe venire al centro della campagna politica di medio termine, per la
cancellazione scaglionata dei debiti delle famiglie a basso reddito per
esigenze primarie, casa, bollette, scuole.
Non ci sono solo i commessi e gli impiegati del calcio a sette o a cinque
a riempire gli studi ortopedici e le palestre di fisioterapia, per ginocchia, caviglie,
piedi dissestati, da qualche anno ci sono calciatori professionisti. Il calcio
è una divinità che da qualche tempo vuole ossa rotte. Non c’è un atleta uno che
se ne salvi nella stagione, nemmeno i portieri. Perché si gioca troppo, si
dice. Douglas Luiz, brasiliano della Juventus, ne sa di più.
“Non sono mai stato un giocatore che si infortuna”, protesta, “ma ci son
così tante cose che potrebbero avere causato questo che preferirei non commentare!”.
Il suo club detiene probabilmente il record, quest’anno e i precedenti, di
infortuni dei calciatori.
Problema di staff tecnico, di carichi sbagliati di lavoro? Ma alla
Juventus è successo con tutti gli allenatori e relativi staff tecnici, che si
sono succeduti, Conte, Allegri, Pirlo, Sarri, Motta e ora Tudor, che ne perde un
paio a settimana. Tutti da quanto il club si è spostato al “nuovo centro sportivo”,
alla Continassa.
Il calciatore brasiliano è stato sanzionato dal club e gli si impone di
non parlare. E perché? Alla Continassa, zona umida, due ragazzi sono morti
vent’anni fa, subito dopo l’inaugurazione, mentre cercavano un pallone nel laghetto
che raccoglie(va) le acque canalizzate. Forse basterebbe bonificare l’area a
fondo - il Milan lo ha fatto venti anni fa. Ma di questo non si può parlare.
Si parte con acrimonia
contro il viaggiare. Ma poi si viaggia con interesse, e anche con ilarità. In Romagna
e Centro Italia un po’, da Peretola a Civitavecchia, Viterbo, Ferento, Baccano.
Anagni, Casamari. E poi giù, per due terzi della raccolta: Capua, la Puglia in
lungo e in alrgo, Padre Pio compreso, Potenza, Metaponto, molta Calabria anche,
nint e Napoli, e poche pagine, svogliate, su Palermo e Caltanissetta. Una raccolta
del 1940, di cronache e corrispondenze dal 1925 al 1931.
Uno dei pochi
scrittori italiani di viaggi che si fa leggere. Qui in giro per “una minuscola
Italia”, non “quella di Alinari”, oleografica, “una piccola Italia così poco
conosciuta dagli stessi italiani anche tra le persone colte”. Bonincontro è un giurista
del Trecento, decapitato a Bologna per cospirazione.
Con molti giochi
di parole, ma significanti, non semplici ghirigori. Baldini padre – di Gabriele
– prediligeva la forma elzeviristica: narrazioni brevi, di umori ricordi,
impressioni, analisi, giudizi. Una forma finita un cinquantennio fa, con la
fine della “terza pagina” nei giornali – con una coda per Sciascia e Camilleri,
scrittori comunque di richiamo. Era nato conte, in Romagna, Antonio Bismarck
Baldini, fu creatore della “Ronda” letteraria, con Cardarelli, Bacchelli,
Barilli, Cecchi, cultore emerito della romanità, intesa quale indolenza,
creatore di “Michelaccio” e di “Rugantino”. Con Cecchi condivise la passione,
se non per i viaggi, che lamenta in apertura, per raccontare i viaggi.
Una raccolta piena
di cose. Una “guerra delle scope”
pre-Trump, fra gli esportatori italiani e i produttori americani – con gli
americani, “gente ristretta”, che preferiscono comprare scope a quattro soldi
che subito fanno cilecca, un po’ come ora, con le merci a un dollaro dalla
Cina. La scoperta di Mattia Preti a Taverna. Vibo Valentia
esemplare di progettazione urbanistica – con ampio excursus sul nonno, o prozio,
di Eugenio Scalfari, il professore Eugenio Leoluca. La Calabria “casa madre dell’Ospitalità
Italiana”. Stendhal e la Calabria - dove come ora si sa però non c’è mai stato.
La Puglia dei miracoli; padre Pio giovane, fortissimamente
muto, il sindacalista monco che dà i numeri del lotto, all’Italia impazzita, e una
lunga disamina del “prete pugliese”, garantito nella libertà, di pensiero e di
costumi, dalla marginalità. I vecchi “dintorni” di Firenze, Querceta,
Peretola.
E qui e lì, senza parere,
senza pesare, pensierini non angusti. “Di una donna che s’ami, s’ama tutto,
piace tutto”. “Le case le tiene su il respiro dell’uomo, altrimenti cadono a
pezzi”. “Solo chi va piano s’accorge di andare lontano”. “Il treno frettoloso
fa i viaggiatori ciechi”.
Con molti incontri.
La “ciociara di razza” - la Ciociaria “il ciociaro pronuncia Ciocerìa”. Al
bivio fra Sutri e Nepi il secondo incontro, quello buono, tra il Barbarossa,
tedesco, e il papa Adriano IV, inglese. C’è pure Ghino di Tacco. E un P.P.P., Pietro Paolo Parzanese, di memoria grata ad Ariano
– la cui poesia però “s’impigliò nelle scuole elementari, non giunse mai al
popolo”. Ariano allora di Puglia: “Ariano di Puglia è un paese di Lucania che
tiene ancora d’Irpinia, vale a dire della Campania” – oggi ribattezzato Ariano
Irpino. Anagni: “Anagni da sola ha dato in un secolo quattro papi alla Chiesa:
Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Bonifacio VIII” – e di quest’ultimo
trascura lo schiaffo che ad Anagni si beccò.
Un’apologia e
pratica della lentezza, per la varietà. Da qui l’iniziale abominio dell’automobile,
del treno – per la varietà.
Antonio Baldini, L’Italia di Bonincontro, pp.
287, pp.vv.
Atteggiamenti e politiche sorprendono, ma Trump è fondamentalmente un
immobiliarista: “L’architettura può non essere la prima cosa che viene in mente
pensando a Donald Trump”, e invece, “dopo tutto, dalle tariffe alle deportazioni
agli attacchi alle università e alla deregulation ambientale, non c’è una
sola azione da lui intrapresa come presidente che non riguardi l’architettura”.
“Nella prima presidenza si concentrò sulle guerre culturali. Tra esse il
decreto del 2020 per la “promozione di belle architetture civiche federali”. E anhe l’opposizione al Trump 1.0 si mosse su
terreni estetici piutosto che politici. Questa volta è più utile guardare a Trump
come a un presidente anti-architetturale”.
(“The Nation”)
Qualcosa di simile all’“abusivismo di necessità”, che la sinistra in
Italia teorizzava negli anni 1980?
“Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici”, il cardinale Ruini, 94 anni,
è sempre lucido: contro “il paradosso per cui favorevoli a Francesco sono per
lo più i laici mente contrari sono spesso i credenti”. Lo è stato da vicario di
Roma per vent’anni, e continua a prenderci: “Le istituzioni sono in parte
destrutturate perché Bergoglio le voleva purificare”. Ma non se ne è occupato, la
cosa lo deprimeva: papa Francesco era incostante, l’amministrazione non gli
interessava - non la praticava e non la delegava.
La chiesa, si sa, è sempre quella del Concilio, con tutti i papi che si sono succeduti. Papa Francesco, di suo, è la chiesa DEI, diversità, equità, inclusione. E poco
altro, non di buono. Le scarpacce, la macchina scassata, le esibizioni di scarpacce e macchina scassata, le nomine assurde,
Immacolata Chaouqui, mons. Balda, boccacceschi minori, Pignatone giudice, uno che
condanna senza motivazione, la guerra gossippara ai cardinali – Bertone, Becciu,
non si sa ancora di quale delitto rei. I troppi cardinali senza storia, e senza
funzione. La troppa, quotidiana, eccessiva, fastidiosa invasione dei media, come nessun altro influencer. Ma
su un punto ha capito l’andazzo e non ha transatto: gli ospedali romani.
Gli stessi interessi “milanesi” (Bazoli, Rotelli, Corriere della sera) che si erano presi il San Raffaele, forse
il miglior ospedale italiano, per quattro soldi, dopo avere aggredito, coi
buoni uffici della Procura di Milano, il fondatore e gestore don Verzé, volevano
a Roma per un euro simbolico altri due ospedali para-vaticani, l’Idi e il
Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina. Sempre per la solfa che erano gestiti
male. Con Francesco non ha attaccato: ha liquidato Bertone, il fautore della “privatizzazione”,
parola magica, e l’Idi ha lasciato all’ordine che lo ha fondato e gestisce, tuttora
prospero, il Fatebenefratelli ha passato al Gemelli.
Giuseppe Leuzzi
“Un luogo non è
mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo,
senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati”,
Antonio Tabucchi, “Viaggi e altri viaggi”. Ciò spiega perché non si è mai
veramente emigrati: il radicamento sta al di fuori di noi.
“Le grandi
aristocrazie del Meridione d’Italia, e quella siciliana in particolare, in
assenza di una corte residente, che fra gli attributi della fons honorum
avrebbe avuto anche la titolarità per stabilire precedenze e supremazie, si
reputavano generalmente superiori a chicchessia” – Gioacchino Lanza Tomasi,
“Lampedusa e la Spagna”. Precedenze e supremazia la sola regola. E quindi
l’anarchia, per mancanza di un re.
Lanza Tomasi dice
questa aristocrazia autoreferente poca cosa: “Ne derivava questa gustosa
aneddotica da circolo dei nobili che nell’«osservatore esterno» non mancava di
sollevare qualche sorriso”. Un’aristocrazia da circolo, dei nullafacenti. Di
cui, ridotta a circolo borghese, piccolo borghese, degli sfaccendati,
diventeranno esegeti, bonari, e registi Sciascia e, più ancora, Camilleri.
“Il Sud è così ignorante”,
scriveva Gramsci dal carcere, “che ha bisogno di essere educato, e questa
educazione può essere fatta solo da intellettuali organici”. Cioè da funzionari
di partito. Ma anche loro non hanno funzionato granché. Il Sud stanca.
“Civitavecchia ha un colore e
un sapore di così accentuata meridionalità che non si potrebbe spiegare
altrimenti che col mare: quel Mediterraneo orlato di palmizi che già a Marsiglia
ti fa dire: «ecco Napoli»! Quegli storini colorati alle finestre…. E il caffè
della Mammanona, dove senti Zena, e senti Napule, e Catànea senti!”
Nel tanto “colore” di cui si
sovraccarica il Sud, questo di Antonio Baldini (“L’Italia di Bonincontro”, 67)
ha qualche originalità: il Sud è mare, anche se non lo sa.
La donna lombarda è piemontese e fiorentina
La
donna lombarda della canzone è ancora quella di Costantino Nigra, altre ricerche
non sono state fatte. Basandosi su Paolo Diacono e Gregorio di Tours, Nigra ne
fa una canzone del V secolo, per la regina longobarda Rosmunda, che avvelenò il
marito, istigata da Longino, il prefetto bizantino, il nemico – suo amante?
Caterina Bueno non era d’accordo, ma non ha stimolato altri studi. Nigra è
piemontese, Caterina fiorentina.
Manzoni
ha una “donna lombarda”, nel romanzo. Nell’episodio della madre di Cecilia, la
bambina morta di peste, al cap. XXXIV. Alla quale attribuisce “quella bellezza,
molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo”. Che non sembra,
la “donna lombarda” è invece minuta, la pelle opaca, senza riflessi, e svelta –
celtica, di palude.
Se
è la Rosmunda di Nigra, quella di Paolo Diacono, sarebbe anche temibile – il
che non sembra. Nella Historia Longobardorum di Diacono Rosmunda, figlia
del re dei Gepidi (l’antica Pannonia), sottomessa come sposa dal re dei
Longobardi Alboino, in quanto trofeo di guerra, organizzò la congiura che nel
572 uccise Alboino, e provò a fare re l’amante Elmichi. Il piano non riuscì e i
due si salvarono a Ravenna, sotto la protezione bizantina – accordata anche in
virtù del tesoro longobardo, della parte del tesoro che i fuggiaschi erano
riusciti a trafugare.
Ma
neanche a Ravenna Rosmunda smise le pratiche di femme fatale. Sposò regolarmente Elmichi. E poi tentò di avvelenarlo. Elmichi se
ne accorse e costrinse lei a bere, minacciandola con la spada, la coppa avvelenata.
Le essenze, un
miraggio
Antonio Bismarck Baldini,
conte romagnolo di Roma, letterato col gusto dell’elzeviro, sul quale innesterà
molti “buon’incontri”, con persone, memorie e cose, creatore della “Ronda” letteraria,
con Cardarelli, Bacchelli, Barilli, Cecchi, padre di Gabriele, cultore emerito
della romanità, intesa quale indolenza, creatore di Michelaccio e Rugantino,
amava anche viaggiare e scriverne. La raccolta “Italia di Bonincontro” chiudeva
nel 1940 con un testo del 1925, in giro per la Calabria. Culminato a Reggio con
la visita alla R. Stazione Sperimentale delle Essenze e dei Derivati dagli Agrumi,
istituita nel 1920, col concorso dello Stato, dalla Camera di Commercio di
Reggio e dalla Camera Agrumaria di Messina. Ed è, un secolo fa, qualcosa di
nemmeno immaginabile nella Reggio di oggi: un paradiso, una promessa di
paradiso, produttivo e commerciale, una miniera, verde – la “transizione”, il
grande “mercato” di oggi, già ampiamente fatta.
Nei laboratori Baldini padre
si aggira estasiato “in piena canzone di Mignon: con le essenze nobilissime del
gelsomino, del mughetto, della rosa, della violetta, della giunchiglia, dell’iris,
della tuberosa, del giacinto”. Con i fiori degli agrumi, arancio dolce,
mandarino, cedro, “l’essenza dell’agnocasto”, e il bergamotto. Essenze trattate
con i sistemi chimici più aggiornati, per “distillazione e strizzamento” o con
“solventi volatili a freddo”. A scopi commerciali, per un mercato
internazionale. Con tutte le specie di erbe aromatiche comuni: l’essenza di
finocchio, l’erba janca o artemisia, “l’assenzio degli antichi
farmacisti locali”, la menta, l’origano, la nepitella, la salvia, la lavanda,
il timo sepillo, il rosmarino, l’eucalipto. E il neroli e il petit-grain
che si estraggono “dai fiori freschi e dai frutti immaturi del melangolo, soavissimi
fra tutti”.
“Lo scopo della R. Stazione
Sperimentale è non solo quello di contribuire, mediante analisi, prove,
esperimenti, pubblicazioni, consigli allo studio di tutti i problemi riguardanti
la produzione delle essenze e dei derivati dagli agrumi, di denunciare i prodotti
sofisticati, e illuminare i consumatori…. Anche di sfruttare largamente la
flora spontanea atta a fornire materia per l’industria dei profumi, dei
liquori, dei medicinali, e di promuovere e indirizzare sul luogo nuove
coltivazioni di piante da fiori, da fronda, da legno, da frutta, per qualunque
varietà utilizzabile, a maggior incremento della ricchezza locale, regionale e
nazionale”. Con laboratori di analisi, e campi di sperimentazione, uno sopra
Reggio e uno a Santo Stefano d’Aspromonte. Oggi l’istituto si occupa, poco, del
solo bergamotto.
Molte sostanze chimiche hanno
sostituito le essenze base. Ma non si è nemmeno tentato di trovare e dare nuove
applicazioni e usi alle essenze naturali. Semplicemente, finita la rendita di
posizione, tutto è stato abbandonato.
Cronache della differenza: Milano
“Questa
nuova Milano non la riconosco più”, dice Calbi, che a Parigi dirige l’Istituto
italiano, a Montefiori, sul “Corriere della sera”: “Mi sembra un luna park del
lusso e dell’architettura sciapa”.
Grand commis della cultura, direttore
di teatri a Milano, Roma (Eliseo, Argentina), Siracusa (Inda), Calbi fa anche
il confronto: “Milano è una città usata, Roma è vissuta”. E intende: “I romani
sanno tutto di ogni via, di ogni chiesa”. Milano come città di profughi,
temporanei, anche se permanenti?
È
una città ricca, si sa, ma forse superricca. Ha 115 mila milionari, oltre uno
su dieci abitanti, e 7 miliardari. La città europea che ne ha di più, dopo
Parigi e Londra – che però hanno superficie e popolazione cinque-sei volte
quelle di Milano. Produce pro capite quasi il doppio della media italiana, 63
mila euro nel 2023 la provincia o città metropolitana, 66 mila la sola città,
contro la media nazionale di 39 mila euro. Cui bono?
Nel
particolare stato di diritto che è Milano, della sopraffazione, la Lega
s’impossessa di mezze banche italiane – e mette in gabbia le altre che le
sfuggono, Unicredit e forse Intesa. Con questa filosofia – dixit Giorgetti: “Invidio l’idea virile
d’interesse nazionale degli Usa”.
La
signorilità di Milano è sempre del “ce l’ho più duro”.
Non
si parla spesso, o altrimenti poco, delle mafie milanesi, p.es. le “curve”
dell’Inter e del Milan, con assassinii,
droga, bagarinaggio e parcheggi. Né dello spionaggio Equalize. Se non quando si
può imputare il tutto a un calabrese, a un siciliano. Si prenda questa
“inchiesta” di Ferrarella, il cronista giudiziario principe del “Corriere della
sera”
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_15/equalize-la-ndrangheta-e-la-maxi-estorsione-fallita-ai-costruttori-arrestato-il-re-del-superbonus-lorenzo-sbraccia-c692a5ed-61cc-4e6a-8c88-d21cc0fd4xlk.shtml
Non
si capisce nulla come al solito, ma il titolo è chiaro: Equalize, “curve”,
superbonus-truffa? Tutto ‘ndrangheta.
“Milano
è il luogo del potere, e manca un po’ di libertà”. Sandro Ferri, l’editore di
e\o, spiega così la scelta cinquant’anni fa di avviare la casa editrice a Roma.
Incassa
senza farsi problemi l’entrata nella top ten delle città più stressanti
al mondo – dietro Zurigo, ma pur sempre all’ottavo posto. Per il
sovraffollamento (troppi “turisti”, per fiere e affari) e l’insicurezza (è già
tanto, ma non si dice, che capeggia la classifica italiana delle città
“insicure e pericolose”). E per l’inquinamento acustico, e il traffico –
compresa la difficoltà di parcheggio.
Ma non si nasconde, troppe le
magagne: le trame, anche omicide, attorno a Inter e Milano, e ora i “compagni
di merende” all’ombra del “Salva Milano”, la legge speciale – l’idea stessa di
una legge speciale.
Non può non riconoscere i mali
passi, per esempio il sindaco Sala, ma si autoassolve. Ammirevole – è una
ricetta talmente semplice: non scusarsi, non maciullarsi.
La napoletana Matilde Serao
pubblicò il romanzo “La conquista di Roma”, una sorta di prima pietra dell’abc
della capitale città dell’indifferenza, a Firenze, già nel 1885, con la casa
editrice Barbèra. Il “Corriere della sera” ne fece il feuilleton dell’estate, a puntate. C’era già la capitale morale.
A un certo punto, nota
Ulderico Nisticò nella “Controstoria delle Calabrie”, “Guardia, che si chiamava
da sempre dei Lombardi, preferì, con maggiore esattezza, Piemontese”.
Guardia Lombardi è rimasto in
Irpinia, sotto il monte Cerreto. Molti Lombardi ricorrono nei cognomi e anche
nei toponimi, un tempo si emigrava da Nord a Sud, i lombardi erano apprezzati
scalpellini e muratori.
Sei mesi di traccheggiamenti e
zàcchete, appena Milano ha potuto arrestare un calabrese, naturalmente
‘ndrangheststa, l’inchiesta finalmente si muove, quella sullo spionaggio
elettronico. Nei sette mesi non si è trovato il tempo nemmeno d’interrogare il
fondatore, padrone e animatore dell’azienda di spionaggio, gisto incolpare i
suoi affidatari, un ex commissario di polizia, poi felicemente morto, e un
tecnico informatico.
Gli inquirenti di Equalize
erano disperati? Dovevano arrestare il padrone della ditta? Ma ecco emergere
nelle intercettazioni Annunziatino Romeo, un “pentito di ‘ndrangheta”, e
l’incastro è perfetto, altri sei mesi di farniente. Questo Romeo deve avere sui
sessant’anni - è quello che aveva dato la dritta per liberare la signora
Sgarella, un sequestro degli anni 1990. E deve vivere isolato, con altra
identità. L’ipocrisia fa bene agli affari? Le chiavi del successo devono essere
molte, ma l’autoassoluzione ne è il fondamento.
Tutto l’opposto della
Calabria, del Sud, specie in questi ultimi trent’anni, del tuttomafia.
Non si capisce niente dalle cronache dei delitti della
“curva Inter”, che hanno registrato un paio di assassinii, e un grosso giro di
denaro. Se non che è una questione di mafia, di ‘ndrangheta. Perché uno degli
assassinati è un Bellocco di Rosarno, dove i Bellocco non contano niente. E
l’ambrosiano Boiocchi, “legato alle cosche calabresi della «faida delle
Preserre»”. Le Preserre? Ma, poi, anche su questo fronte si smette presto.
Milano Camilla Cederna la voleva incostante, frou-frou.
leuzzi@antiit.eu
Come finire da Napoli,
impoverita senza più gli “americani”, orfani di guerra, vivendo di espedienti,
a New York. Passeggeri clandestini ma non proprio. E in America salvare una sorella
che si proclama orgogliosa assassina dell’amante fedifrago violento. Un movimento
nazionale suscitando, femminista e non solo, contro gli uomini violenti. Salvati
dalla fame e dal suicidio da ragazzini neri. Cullati da una inattesa coppia
senza figli, in una grande casa.
Un film sulla grande migrazione,
povera, di massa, italiana. C’è anche chi muore, di stenti e di disperazione,
durante il viaggio, nelle stie del transatlantico. Verso un paese che faceva,
allora, dell’accoglienza la sua cifra. A periodi alterni – la sorella assassina
conquista la giuria quando il suo avvocato legge in aula gli orridi dibattiti
parlamentari sugli immigrati italiani cinquant’anni prima. Ma senza enfasi, e senza la politica.
Una favola “dal vero”,
pare, rimasta nella penna di Pinelli, che l’aveva scritta per Fellini. Raccontata
da Salvatores in due ore di triste-allegra commedia. Un po’ come in “Mediterraneo”:
clima disteso nella tragedia. Con ruoli misurati, soprattutto quelli – tanti – comici.
Qui soprattutto un altro inverosimile Favino, che a questo punto è il mago Brachetti
della recitazione italiana.
Gabriele Salvatores, Napoli New York, Sky
Cinema
Partenza mesta
del risiko bancario con l’Ops Unicredit su Bpm. In Italia niente è mai “rivoluzionario”
e “decisivo”. Ma in questo caso è il governo, un governo di coalizione, di “convergenze
parallele” per definizione, che per quanto diviso e in concorrenza fa l’inverosimile:
occupa il campo di gioco.
Un partito
si prende mezzo mondo bancario, Monte dei Paschi, Mediobanca, Bpm, con contorno
di Generali, e nessuno dice niente. I baluardi del mercato tacciono, “Il Sole 24
Ore”, “la Repubblica”, il “Corriere della sera”. E non solo si prende mezzo mondo
bancario, mette i bastoni fra le ruote ai concorrenti, oggi Unicredit domani
Intesa. D’arbitrio. Illegalmente. E niente, silenzio.
L’onesto de
Bortoli non può fare a meno di rilevarlo, ma lo relegano a un supplemento. E lui
stesso si cautela, distingue, chiede scusa. La Lega, che non ha voti, ha tanti
giornali – editori, affari?
“Mi hanno
premiato dopo 55 film”, con il Davide di Donatello alla carriera. È amaro
Pupi Avati, 87 anni: “Cade un Muro. Prima mi ignoravano perché sono sempre
stato un liberale”. Come non detto – c’è censura in Italia?
Giganteggia
il cardinale Re, m. 1,90, 91 anni, agile e forte per due ore di cerimonia, voce
sonora, omelia concisa e significante, concetti semplici e filati, dotto figlio
di contadini. Lo specchio di un papa vero, che però non può essere: il papato è
regolato dall’anagrafe.
Sembra
l’ultima eccentricità di papa Bergoglio quella di farsi seppellire fuori dal
Vaticano, costringendo i venerabili cardinali a una cerimonia interminabile,
con corteo infine a Santa Maria Maggiore. Ma poi ci si ricorda che la basilica
sta dietro l’Ambasciata a Roma dell’Argentina.
Si sa
solo per caso che la moglie di Trump è cattolica, e che Trump quindi è venuto a
Roma, per poche ore, compreso il giro di golf, per compiacere la moglie. L’odio
contro Trump è totale? C’è una fede unica nei media – una volta si sarebbe
detto nel giornalismo?
Unici assenti
al funerale del papa gli olandesi. Che si giustificano – avevamo un altro
impegno. Ma poi si scopre che non sono venuti mai, a nessuno dei funerali
mediatici, quelli degli ultimi cinquant’anni, Paolo VI, Giovanni XXIII, i due Giovanni
Paolo, Benedetto. L’ipocrisia si sarebbe detta cattolica, ma la protestante non
è da meno.
Il ministro
Giorgetti dopo il no all’Ops Unicredit su Bpm: “Invidio l’idea virile di interesse
nazionale degli Usa!”. Vorrebbe decidere lui che cosa un’azienda può o non può
fare. Singolare. Ma più singolare ancora è che Giorgetti dia Mps in mano a Caltagirone,
con Mediobanca e Generali. Assurdo, no?
Si scopre
in morte che combatteva per la Russia il figlio di un’alta dirigente Cia. Una
scelta personale, certo. Ma “un dettaglio incredibile”, nota la corrispondente Usa
del “Corriere della sera”, Viviana Mazza, “è che gli ucraini forse inconsapevolmente
hanno eliminato il figlio di un’alta funzionaria dell’intelligence Usa
utilizzando per ucciderlo informazioni fornite dalla stessa Cia”.
“Conte,
quando era premier, lo confuse con l’8 settembre”, nota il 25 aprile Gramellini.
Confuse il 25 aprile con l’8 settembre. Conte, il leader inverosimile dei
grillini, col doppiopetto in piazza.
.
“Vista
dall’America, la chiesa cattolica è prima di tutto romana e italiana”, spiega Paolo Gentiloni, l’ex presidente del consiglio, che a New York per l’Onu nei giorni
dei funerali di papa Francesco riceveva le condoglianze, “come se fosse
scomparsa una personalità pubblica italiana”. Fino a quando?
Le cappelle,
anche le capelle private, si immaginano adorne di immagini, santi, altarini, inginocchiatoi,
oggetti legati al culto, alla preghiera. Quella del collegio-albergo Santa Marta,
la cappella privata del papa, si vedeva nell’apparecchiatura dei funerali nuda.
Con la sola presenza di videocamere, montate su cavalletti, addossate ai muri.
Senza colpe, ma un segno ostinato della “pubblicità” invadente. Esaustiva?
“Ricordo
che a Rio de Janeiro”, scrive il padre Spadaro, columnist di “la
Repubblica,” del papa Francesco, “passava in papamobile verso un incontro con i
giovani quando vide che aveva appena oltrepassato lo spazio della sala stampa.
Non rinunciò a inarcarsi a destra fino a perdere l’equilibrio per salutare tendendosi”. Un complimento?
“Nel 1992
mio padre fu uno dei primi arrestati di Tantgentopoli”, Luisa Todini spiega a
Cappelli sul “Corriere della sera”: “Fu
accusato di aver dato soldi a un politico socialista per un lavoro mai appaltato.
Veniva descritto come alto, magro e abbronzato: papà era bassino, tarchiato e
bianco come un lenzuolo”. Giustizia e informazione unite nella lotta in “Mani
Pulite”.
“Di Pietro
interrogò anche me”, continua Todini: “Pensava che avessi nascosto i soldi
chissà dove, voleva sapere dei nostri rapporti con Craxi. Gridò davanti a
tutti, tenendo la porta aperta per farsi sentire: questi Todini mi hanno rotto,
li arresto tutti! … Gli feci riscrivere il verbale tre volte perché le
dichiarazioni non corrispondevano a quanto avevo detto”. Di Pietro, sempre
loquace, e ultimamente anche, un po’, pentito, non ha reagito.
“Mani
Pulite”, un’altra storia che non si fa – la Repubblica è piena di scheletri.
“Non si vince
con gli schemi, con i sistemini, con….”: l’allenatore per caso della Juventus
Tudor deve spiegare l’ovvio. Non si gioca al calcio per fare giornalismo, per consenrtire
si fare rigaggio sui giornali, per quanto incomprensibile. Lo sport è tecnica e
agonismo.
La squadra
allenata da Tudor, la Juventus, è quella che h speso di più nell’ultimo anno,
260 milioni, per mettere assieme un gruppo di brocchi mai visto. Difensori che
non saltano (prendono inevitabilmente gol di test a), mediani che non sano
mandare la palla avanti di un metro, attaccanti che non segnano neanche a buttarli
dentro la rete. Incredibile, ma vero. Ma allora, perché spendere tanto? Per le
parcelle dei procuratori? I quali non dividono, magari a Montecarlo, dove
abitano?
Il
“Corriere della sera”, come “la Repubblica”, mettono il governo e Meloni nella
pagina di giro, la pari, e Elly Schlein in quella di fronte, la dispari – nella
tecnica dell’impaginazione il meno visibile e il più visibile (vale anche per
la pubblicità, quella della dispari costa di più). Non per le cose che dicono o
fanno, ma per principio – avranno confessori e politici con cui giustificarsi.
Solo che uno finisce per antipatizzare: Schlein non muta espressione, e non sa
cosa dire.
Non si pubblicano
ma diventano note, più o meno, le prescrizioni del golden power imposto
a Unicredit per l’Ops Bpm. Sono un po’ ridicole - gli impieghi ridotti sul
mercato italiano negli ultimi cinque anni, azionisti esteri, presenza residua in
Russia – ma nessuno lo dice. Le altre banche hanno moltiplicato gli impieghi
dopo il covid? Non vogliamo i fondi pensione e d’investimento esteri?
Può più la faccia tosta di Salvini e
Giorgetti o un minimo di informazione? O è ignoranza – l’opinione pubblica
ridotta ai social, alla battutina? Ma un po’ del disincanto italico: come si
possono prendere sul serio i ragionieri della Lega? E un partito filorusso che ammanetta
Unicredit perché ha ancora un ufficio a Mosca?
Una favola
moderna, dell’accudimento. Doppiata da una nostalgica del com’eravamo. La donna
che amorevolmente si cura di tre anziani, in vario modo problematici, con attenzione
specifica per ognuno di essi, a tutte le ore in tutte le circostanze, e con fiducia
reciproca, ha il vizio di sottrarre piccole, e grandi, somme agli assistiti.
Per pagare il piano e le lezioni di piano al nipotino che sarà grande concertista,
il piano è la sua passione, non smette di acoltare Rubinstein in cuffia vagando
di casa in casa, e per abbuffarsi ogni tanto di ostriche. Un furto vero, di
professionisti, fa scoprre l’inganno e la storiella bella si complica. Ma che
cos’è un assegno falsificato a fronte dell’empatia?
La favola si doppia
– si rafforza – nel confronto generazionale. I figli di tanta umanità, dove le
coppie si compatiscono, e anzi si aiutano, fino allo stremo, ma non si
dissolvono, non ne hanno più per se stessi: amare è scopare, i compagni migliori,
nonché i figli, “non esistono”. Si rubano l’umanità.
Il tutto a Marsiglia,
in un quartiere popolare dove la sola consolazione è il mare – ma dove i servizi
sociali curano e pagano l’accudimento.
Guédiguian ha una
cifra ormai distinta nel trattare i sentimenti comuni, materiali, piccoli, d’ogni
giorno. Di personaggi non belli, non esteriormente. Ma diversamente belli nella
recitazione.
Senza star, un
film per pochi, in poche copie, in poche sale. Ma già film di culto per i critici,
alcuni critici, e per chi ha avuto la ventura di vederlo.
Robert Guédiguian,
La gazza ladra
Lo ricorda solo de Bortoli, del vento che sfoglia il Vangelo sulla bara
del papa Francesco: “Come nell’aprile di vent’anni fa, quando ci fu l’addio a
Giovanni Paolo II”. Anche allora esposto in una bara semplice, a terra (non sul
catafalco). Ma Francesco si vuole unico perchè è cambiato il modo di dire – e di
pensare? Fare mito di tutto, tutti santi, eroi, martiri. Qui anche con la sfilata,
come per i vecchi imperatori - ma sui fori “sono più i selfie che i segni dela
croce”. Mentre poveri, barboni, rifugiati e transessuali sono tenuti in attesa, scelti
con cura, col vestito nuovo, un giglio bianco in mano, in numero di quaranta, dieci per ogni categoria?, e due frasi ad effetto
per le tv, recintati nel grande piazzale sgomberato di Santa Maria Maggiore.
Sono già mito le due sedie nell’angolo di San Pietro, con Trump e
Zelensky che si “confidano”. Ma qui con qualche (sperabile) fondamento. Una pax
vaticana sarebbe storia.
Per il resto come prima: la chiesa non ne è scalfita, e nemmeno accresciuta. Il celebrante, il cardinale Re, ha ha tenuto una omelia molto francescana, ma nessuno si è commosso. Paul Elie, che ha seguito la cerimonia dall’alto del “braccio” berniniano di
Costantino, sulla sinistra della basilica, vede, con le statue che lo
circondano, “plenty of pomp and circumstance”, sfoggio di pompa in
grande stile – come le statue che lo circondano hanno visto per secoli – e “niente
di mutato” rispetto al precedente funerale, vent’anni prima, per Giovanni Paolo
II- “la cerimonia era molto familiare”. Re, regine e sceicchi con i riti di
altri tempi.
Ferruccio, che ha
diretto il “Corriere della sera” quando il giornale era patrocinato da Bazoli,
e in quella veste ha intervistato il papa – anche per reggere la concorrenza di
Scalfari, che con il papa Bergoglio parlava alla pari, da non credente a credente
- fa un curioso montaggio di tanti “crediti” e, senza accorgersene?, altrettanti
“discrediti”. Il suo spes contra spem, la speranza a ogni costo, anche
in guerra – spes non confundit. La speranza per tutti e ognuno, per
quanto miseri, abbandonati, inermi – la chiesa è “un ospedale da campo”. La preghiera
come collante – “pregate per me”, rivolto a tutti sempre. Il senso espresso,
esplicito, dell’amore. Compreso “degli irregolari, i divorziati pr esempio”.
Ma, poi, “un
aborto è un omicidio”. La “frociaggine” nei seminari. E altre bruschezze. I
seminari vuoti. Il nessun senso, nemmeno se sollecitato, dell’Europa, della storia,
della cultura.
Nel mezzo il ricordo
di una giornata romana a Santa Maria in Trastevere, per il giubileo dei
giornalisti, in attesa del papa, gomito a gomito con Scalfari, Tarquinio, altri
giornalisti, e con De Rita, e Pignatone -
il giudice-senza-dibattimento, bisogna aggiungere, voluto da Francesco. Che è
un fervorino per il cardinale di Bologna e presidente della Cei Zuppi. E in più
episodi ricorda un papa che nelle interviste, anche con lui, si rifiuta di “fare
bilanci”. E anche il pauperismo resta problematico.
Ferruccio de
Bortoli, Franceso. Pregate per me, “Corriere della sera”, pp. 63,
gratuito
zeulig
Fede – È come la verità, inafferrabile. Ma c’è.
Individualità – È dell’artista – il creatore , l’ispirato - come
dell’uomo commune.
Individuale è anche, fatte tutte le somme,
e con tutte le zavorre, il pensiero, anche con la maiuscola.
Intelligenza artificiale – È una tecnologia – uno strumento, dalla
meccanica all’informatica e alla medicina. Un’intelligenza per applicazioni
pratiche. Non per l’arte evidentemente, o per la letteratura. Né per la filosofia,
o la semplice decisione politica. È artificiale, per tutto quanto è
cultura: formazione, apprendimento, educazione - e, a ritroso, anche l’innatismo,
per quanto possa avere di primitivo, di calco, di macina anche, apprendimento,
formazione.
A meno di non distinguere l’intelligenza in
senso proprio, come qualità, prima e a prescindere dalla formazione. Tutto ciò
che si chiama pensiero - analisi, sintesi,
immaginazione, temporalità (saper distinguere tra presente, passato, futuro,
avere conoscenza del prima e del dopo, la prefigurazione del domani). O coscienza,
quindi con una distinzione tra bene e male. O anche sentiment. Tutte “cose” di
cui non si trova la traccia fisica, corporale.
L’intelligenza artificiale propriamente
detta rende evidente la distinzione: essa è tutta intelligenza-cultura. Le
manca tutto il resto. Il dilemma si pone ora perché appunto c’è la nuova frontiera
dell’Ict, che si vuole “intelligenza”, ma non è nuovo. Kubrik lo trattò
famosamente nel film “2001: Odissea nello spazio”, ma già il Settecento se ne
interessava, con gli automi. E tutta la narrativa, ebraica e non, dei golem.
Pensiero – Sarà pure “unico”, ma è individuale – l’unicità
starà nel consenso, che è sempre, per quanto minimamente, individuale.
Il pensiero “universale” sarà un sistema filosofico. Anche non sistematico,
come quello di Heidegger, occasionale e per pochi, negli Holzwege, i “sentieri
erranti per la selva”.
Suicidio – L’evento che si vuole “normalizzare”, per legge, è probabilmente
quello che più ha avuto applicazini
diversificate nella storia umana, e più ha suscitato commenti e pareri anch’essi
diversificati, e per lo più contrastanti. Il repertorio, già lungamente e abbondantemente
esplorato sul sito, ne è all’apparenza inesauribile, già da prima della voga
corrente della buona morte.
Il suicidio come immolazione - testimonianza,
martirio. Il kamikaze islamico che si fa terrorista, il kamikaze nipponico che
invece non si fa arma. E tutti i suicidi per testimonianza, protesta, per motivi
politici oppure religiosi, a Saigon, a Praga, in India, e a Pechino, in piazza
Tien An Men, schiacciati da carri armati ciechi. Si muore anche per l’ennui,
fino alla depressione, o per l’incapacità, reale o supposta, di realizzarsi
(innamorarsi, creare affetti, in Pavese).
A lungo oggetto di condanna, a una
morte successiva, esibita, per il pubblico: impiccagione, decapitazione, mutilazione,,
con esposizione - contro il principio universale, seppure del diritto romano, “crimen
exstinguitur mortalitate”.
A
Roma era invece contemplato – ammesso: per malattia, morte di un congiunto, furor,
insania, sconfitta militare. E per solo stoicismo, filosofico – praticato
in questo caso cerimoniosamente.
Fra gli stoici suicidi merita speciale menzione Seneca, che
filosofo dell’etica austera, ma accumulò ricchezze in Britannia col prestito a
usura, a tassi che spinsero i Britanni della regina Boadicea, secondo Dione
Cassio, a ribellarsi. Baudelaire dirà lo stoicismo una religione con un solo
sacramento, il suicidio.
Sempre
a Roma, dopo la “donazione di Costantino”, 312-313, i donatisti sostennero il
suicidio, individuale e collettivo, nel nome della purificazione attraverso
il martirio. E un secolo dopo, arrivando
i visigoti, molte donne si uccisero per la vergogna delle violenze subite. Ma ricorrendo
gli uni e le le altre, nella riprovazione di sant’Agostino, “De patientia”.
Bisogna portare pazienza.
Dan
Brown ha l’agathusia, il “sacrificio
altruistico”, sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla
famiglia, e perfino il caso dell’assassino seriale che si toglie la vita per
non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli de “La fuga di Logan”, dove
tutti si suicidano per non aggravare il
mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una giovinezza
spensierata col senso della fine imminente (nel film l’“Età dell’eliminazione”
era innalzata a trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci
andavano)?
Velocità – “La rapidità sciupa il desiderio e lascia
l’impazienza”, Louis Veuillot.
zeulig@antiit.eu
Il primo dialogo
tra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Avviene nel 2013, poco dopo l’accesso di
Bergoglio al papato, sull’appiglio dell’enciclica “Lumen Fidei”, che Francesco
ha ereditato da papa Benedetto XVI e ha editato. Scalfari in un paio di
editoriali pone il problema della fede, come essa sia possibile. Da miscredente
professo. In particolare, all’apparenza incidentalmente, ma d a buon laico, fa
un problema dell’incarnazione, che è ciò che distingue il cristianesimo: come
si può credere a un Dio che si fa uomo. Bergoglio risponde, per iscritto, dopo
il secondo editoriale, a distanza di un mese, quindi dopo riesame. E
successivamente incontra Scalfari per un’intervista – sarà il primo di altri
incontri (su cui Scalfari ha scritto in altre pubblicazioni).
Il colloquio apre
una prima fessura nella curia, per le perplessità su un papa che dialoga con un “illuminista” professo, “non credente”, e solo in cerca di un dialogo puramente
intellettuale, se non giornalistico, non uno in cerca della fede. E pone al
papa, in breve, come a caso, il tema dell’“incarnazione del Figlio di Dio”
rispetto agli altri monoteismi, islam e ebraismo, che fa capire più rispettosi della divinità di Dio. Lo
stesso argomento ripropone nel terzo intervento, dopo che il papa gli ha
scritto, e in preparazione del colloquio-intervista.
Il quesito è giudicato
da molti insolente – massonico (Eugenio non ha mai fatto mistero di esserlo, benché
abbia avuto un’educazione religiosa: per tradizione familiare, rivendicata come
illustre, dei nonni e bisnonni calabresi, murattiani, napoleonici – anche se
non ne faceva trofeo, e anzi con un sorriso di autoassoluzione). E prudente la
risposta del papa, quel tanto necessario a giustificare l’enciclica. È il primo
tarlo del sospetto che Francesco sia un papa molto “argentino”, nel senso del
peronismo. Cioè di un populismo radicale, e insieme anti-rivoluzionario, che il
conclave voleva (“anticomunista”: Bergoglio vescovo era accreditato di una pratica
e una teoria socialmente impegnate ma anti-comuniste, in quanto autore di tesi
che contestavano la “teologia della liberazione”, cioè della rivoluzione sociale,
diffusa in America Latina nell’ultimo Novecento). Ma legate sotterraneamente al
libero pensiero – anche se di Evita fu cercata la canonizzazione. Ambiguo
insomma.
Papa Francesco-Eugenio
Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, “la Repubblica”, pp.63,
gratuito
spock
Il pensiero è
un sogno – il sogno dell’intelligenza?
Razionale e
non ragionevole?
“I modelli,
anche i più violenti, sono cavallereschi, la vita non lo è”, Primo Levi?
Prendersi cura
degli altri fa bene alla salute?
“Il reale è
altrettanto magico quanto il magico è reale”, E. Jünger?
“Per essere
felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di esserlo”, L. Tolstoj?
spock@antiit.eu
La verità della
pubblicazione arriva a metà volume, al saggio dello storico Ranzato, “Da Roma
al Nord”. Roma è l’unica città che non insorge, contro l’occupazione
nazifascista. Come sancito dalla prima “Storia della Resistenza italiana”,
quella do Battaglia: “La capitale resta l’unica grande città italiana in cui la
Resistenza non abbia coronato i suoi sacrifici raggiungendo l’obiettivo dell’insurrezione”.
Ma non era stata la prima grande città ad essere liberata per il decorso “normale”
della guerra, l’avanzata degi Alleati e il ritiro dei nazifascisti?
“La deplorazione”,
può dire Ranzato, “aveva un’assoluta inconsistenza, poiché non teneva conto della
grande sfasatura temporale tra gli eventi che si comparavano”. E cioè: “Le insurrezioni
delle grandi città del Nord avvennero undici mesi dopo la liberazione di Roma… Nel
giugno del 1944 in nessuna di quella
città sarebbe stato possibile sollevare il popolo”.
I nazifascisti lasciavano
Roma in perfetto assetto di guerra, per ripiegamento, non per disfatta. Ranzato
lo racconta con la testimonianza del generale Cadorna - che avrebbe preso il
comando del Corpo Volontari della Libertà: la ritirata era di “uomini
perfettamente equipaggiati e ordinati che non davano l’impressione della disfatta…
A sera sul viale del Re (viale Trastevere, n.d.r.) muoveva una colonna di
grossi carri armati: procedeva tra due fitte ali di popolo silenzioso”.
Ma è anche vero
che l’assessore alla Cultura del Campidoglio, Massimiliano Smeriglio, può rivendicare: “La Resistenza italiana
inizia a Roma l’8 settembre del 1943, quando i granatieri del battaglione «Sassari»
dell’Esercito, lasciati senza ordini, scelgono di combattere, uniti alla popolazione
che accorre dai quartieri limitrofi – Testaccio, Garbatella, Ostiense – per tentare
di respingere l’esercito tedesco… che entrava in città”.
L’Italia libera
ricomincerà da Roma, già prima del 25 aprile.
Una storia della
Liberazione ancora da scrivere.
Ottavio
Ragone-Conchita Sannino (a cura di), Roma libera. Capitale della rinascita,
“la Repubblica”, pp. 163, ill., gratuito in edicola