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venerdì 17 ottobre 2025

Cronache dell’altro mondo – o del coyote (365)

“Gli Stati Uniti sono sempre stati una terra di imbroglioni” – “The Nation”, novembre
Comprendere le storie dei coyote indigeni ti aiuterà a comprendere il fascino di Donald Trump.
Julian Brave NoiseCat
Per migliaia di anni il mio popolo, i Secwepemc e gli St’at’imc, ha raccontato storie sul nostro antenato imbroglione Coyote. Il Creatore mandò Coyote sulla Terra per rimettere ordine nel mondo. Un metamorfo dotato di poteri soprannaturali che incutevano timore reverenziale, Coyote fece molto bene. Riempì i fiumi di salmoni, popolò le terre di discendenti, insegnò ai cannibali a non mangiare gli uomini e collocò molte caratteristiche geografiche nelle loro attuali posizioni.
Ma pur avendo fatto tanto bene, non era buono a nulla. Sempre a caccia di donne e di divertimento, desideroso di arricchirsi e accrescere la propria leggenda, Coyote fu ingannato con la stessa frequenza con cui ingannava. Le nostre terre sono ancora segnate da storie e rocce che commemorano le sue numerose disavventure, che spesso si concludevano con la morte e la resurrezione di Coyote o con la sua trasformazione in pietra dal Creatore per aver dormito o aver fatto sesso in giro sul lavoro. Incarnazione dell'Es e delle forze contraddittorie che traggono vantaggio dalle metamorfosi del mondo – di cultura, clima, ambiente, politica, tecnologia e molto altro – Coyote era un personaggio, uno stile narrativo e una filosofia, tutto in uno. Una rappresentazione della trasformazione e una spiegazione di chi e cosa guida il cambiamento nel mondo.
Coyote ha lasciato dietro di sé così tanti racconti epici che i popoli indigeni dall’America Centrale al Canada occidentale un tempo raccontavano storie su di lui. Nonostante le sue abilità soprannaturali – è secondo solo al Creatore nella nostra cosmologia della Creazione – l’imbroglione era visto come un esempio di come non essere. Spinto da desideri bassi – avidità, gola, lussuria, divertimento, una leggenda personale ancora più grandiosa – Coyote sbagliava più spesso di quanto non correggesse. Dopo aver ripopolato i fiumi di salmoni, usò il pesce per organizzare quanti più matrimoni possibile con quante più donne possibile in quanti più villaggi lungo i nostri fiumi. Dopo aver popolato le terre di discendenti, ci abbandonò. Abbiamo ereditato alcune delle nostre qualità meno lusinghiere dal nostro antenato imbroglione. Il suo nome era esaltato, ma era anche una maledizione.
Ma pur avendo fatto tanto bene, non era buono a nulla. Sempre a caccia di donne e di divertimento, desideroso di arricchirsi e accrescere la propria leggenda, Coyote fu ingannato con la stessa frequenza con cui ingannava. Le nostre terre sono ancora segnate da storie e rocce che commemorano le sue numerose disavventure, che spesso si concludevano con la morte e la resurrezione di Coyote o con la sua trasformazione in pietra dal Creatore per aver dormito o aver fatto sesso in giro sul lavoro. Incarnazione dell'Es e delle forze contraddittorie che traggono vantaggio dalle metamorfosi del mondo – di cultura, clima, ambiente, politica, tecnologia e molto altro – Coyote era un personaggio, uno stile narrativo e una filosofia, tutto in uno. Una rappresentazione della trasformazione e una spiegazione di chi e cosa guida il cambiamento nel mondo.
Coyote ha lasciato dietro di sé così tanti racconti epici che i popoli indigeni dall'America Centrale al Canada occidentale un tempo raccontavano storie su di lui. Nonostante le sue abilità soprannaturali – è secondo solo al Creatore nella nostra cosmologia della Creazione – l'imbroglione era visto come un esempio di come non essere. Spinto da desideri bassi – avidità, gola, lussuria, divertimento, una leggenda personale ancora più grandiosa – Coyote sbagliava più spesso di quanto non correggesse. Dopo aver ripopolato i fiumi di salmoni, usò il pesce per organizzare quanti più matrimoni possibile con quante più donne possibile in quanti più villaggi lungo i nostri fiumi. Dopo aver popolato le terre di discendenti, ci abbandonò. Abbiamo ereditato alcune delle nostre qualità meno lusinghiere dal nostro antenato imbroglione. Il suo nome era esaltato, ma era anche una maledizione.
E alla fine dei tempi, la nostra gente credeva che Coyote sarebbe tornato. Così, quando un uomo bianco di nome Simon Fraser discese il nostro impetuoso fiume dei salmoni (oggi noto come fiume Fraser) nel giugno del 1808 – il momento più insensato per una simile discesa, poiché il corso d'acqua, già mortale, era agitato dallo scioglimento primaverile – la nostra gente celebrò l’esploratore commerciante di pellicce come la reincarnazione di Coyote. Il viaggio di “scoperta” di Fraser fu in stile Coyote, un fallimento assurdo. Alla fine del loro viaggio in quella che oggi è chiamata British Columbia, Fraser e il suo equipaggio fecero ricorso alla pirateria e furono respinti a monte del fiume poco dopo aver raggiunto l’attuale Vancouver. Il viaggio di Fraser segnò l’inizio della fine del nostro mondo indigeno. Nel giro di un secolo, il nostro numero fu drasticamente ridotto, le nostre terre confiscate e i nostri figli portati via in scuole dove era loro proibito parlare le nostre lingue e praticare le nostre culture.
Al giorno d'oggi, la mia gente racconta raramente storie sui coyote. In effetti, ne ho sentita una solo una volta da un membro della mia famiglia. L'uomo che la raccontò, mio ​​zio, ora è morto”.

Cronache dell’altro mondo – infantili (364)

Da anni il New Mexico si classifica ultimo, tra gli Stati della federazione, per la cura dell’infanzia. Calcolata su fattori quali il reddito familiare, i risultati scolastici e la mortalità infantile. Nell’ultimo decennio, quando il New Mexico non si è classificato al 50mo posto per la cura dell’infanzia, si è piazzato al 49mo.
Ora la governatrice Michelle Lujan Grisham, che aveva centrato sull’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili la sua campagna del 2018, ha annunciato che dall’1 novembre lo stato offrirà un servizio di assistenza all’infanzia universale e gratuito. Esteso a tutte le famiglie, indipendentemente dal reddito. Il programma si calcola che si tradurrà in un risparmio familiare medio annuo di 12.000 dollari per bambino.
I programmi statali retribuiranno il personale di base con un minimo di 18 dollari l’ora e offriranno  10 ore di assistenza al giorno, cinque giorni alla settimana. Grisham calcola che siano necessari altri 5 mila specialisti della prima infanzia per realizzare il suo “sistema universale”.

L’ebraismo prima di Israele

Ulisse è uno che non sa chi è. La stessa confusione è degli ebrei, “questi Ulissi erranti che, non diversamente dal loro insigne prototipo, non sanno chi sono”. Si sono assimilati entusiasti, in questi ultimi centocinquant’anni (H. Arendt scriveva questo “Noi profughi” nel gennaio del 1943), e poi hanno preso a suicidarsi. “Erano tanto sereni gli ebrei austriaci fino al 1938”, erano l’invidia di tutti: “Quando poi le truppe tedesche invasero l’Austria e i gentili cominciarono a manifestare davanti alle case dei loro vicini ebrei, gli ebrei austriaci cominciarono a suicidarsi, senza spiegazioni, diversamente dagli altri suicidi” - “parlo di fatti impopolari”, interloquisce Arendt con se stessa, non del solito ribelle folle, che vuole “uccidere in sé l’intero universo”, ma di “un modo silenzioso e segreto di scomparire” (in un testo qui non ricompreso, la recensione nel 1943 di Zweig, “Il mondo di ieri”, fa a pezzi lo scrittore, come epitome dell’orgoglio dei letterati, che non si spiegavano il nazismo neanche quando li mise nel mirino).
Ma, poi, anche il sionismo non la persuade, in un saggio di poco posteriore, ottobre 1945, “Ripensare il sionismo”. I sionisti sono, in un certo senso, gli unici a volere sinceramente l’assimilazione (“essere come gli altri”). Sono una piccola élite, di intellettuali sradicati, sia in patria che nella diaspora. Il loro errore è la valutazione dell’antisemitismo come conflitto tra nazioni, che si radica nella tradizione ebraica del “noi e loro” - come dice Herzl, il fondatore del sionismo, “una nazione è un gruppo di persone tenute assieme da un comune nemico”. Il sionismo spunta dalla - e punta alla - “eccezionalità” ebraica. Non un grande sforzo intellettuale: “Il sionismo non è altro che l‘accettazione acritica del nazionalismo tedesco”.
Erano una piccola élite nel mondo conosciuto, sarebbe stato più giusto dire: ad Hannah Arendt era completamente ignota l’Europa orientale, dalla Polonia alla Russia, che ha poi creato e forgiato Israele. E di suo dà poco peso all’impatto sul mondo ebraico delle patrie nell’Ottocento, dei nazionalismi e degli irredentismi, dei risorgimenti – a loro volta assortiti di “primato”.
La raccolta, questa come le numerose altre su Hannah Arendt e l’ebraismo, è interessante come una sorta di dibattito, di assemblea dell’ebraismo, dei problemi che si pone o deve affrontare – Arendt li espone e li dibatte. Singolarmente remoti dall’ebraismo dopo Israele. Questo però è invece motivo d’interesse: un mondo la raccolta rappresenta di cui Israele, più che la Shoah, sradicherà le certezze – convivenza, democrazia, liberalismo, prosperità, materiale e morale. Di un umano, ovvio e giusto, disegno di accrescimento, del reddito, della sicurezza, della soddisfazione.  
La raccolta è di testi, per lo più brevi, contribuiti da H. Arendt, recente immigrata in America, tra la fine del 1941 e l’aprile del 1944 alla rivista “Aufbau”, un settimanale di cultura e problemi ebraici pubblicato a New York, a cura di un New York Club, per i profughi ebrei di lingua tedesca,  dall’impero austro-ungarico e dal Reich germanico, una sorta di foro della diaspora ebraica. Ma in contemporanea H. Arendt trattava di argomenti analoghi su “Menorah Journal”, “Jewish Social Studies”, “Jewish Frontier”, “Commentary”.
Gli scritti su “Aufbau” sono prevalentemente sul tema l’ebreo come paria. “Ebraismo e modernità”, la vecchia antologia Feltrinelli, 1993, a cura di Giovanna Bettini, è più significativa, anche sostanziosa, di questa, pubblicata nel 2002, che ora si riedita – con un vecchio saggio di Leone Traverso. Ripresa dal tedesco, l’antologia curata da Marie Louise Knot, la pubblicista che tra i suo  interessi ha anche H. Arendt.
Hannah Arendt, Antisemitismo e identità ebraica, Einaudi, pp. 232 € 421

 

giovedì 16 ottobre 2025

Cronache dell’altro mondo – critiche (364)

I lamenti sullo stato della critica sono una storia vecchia. Ma il mestiere si va  perdendo: oggi non conviene sbracciarsi per incarichi sempre più limitati e non (ben) pagati. Per di più sotto la concorrenza della rete, dove opinioni anche approfondite sono elargite gratuitamente.  
Non conviene fare il critico, di letteratura come di cinema, teatro, arte eccetera. Non conviene ai critici e non conviene ai media. Non ci sono più le critiche musicali, se non in forma di promozione. La “Chicago Tribune” non ha più il critico dei film. Il “New York Times” ha spostato quattro dei suoi critici d’arte ad altre sezioni, anche agli obituaries – i necrologi in forma di biografia.
Ma l’esigenza di una “buona critica” starebbe tornando, in forma diversa. Mantenendo la critica tradizionale, la prima impressione di una “prima” (edizione, rappresentazione, esecuzione, mostra) a caldo. Ma in breve: come una segnalazione, seppure di segno più o meno. Seguita a distanza da una critica ragionata, se il manufatto o evento la merita.
(“The New York Review of Books”)

Secondi pensieri - 570

zeulig


Fede – È femminile, direbbe Karen Blixen: “La relazione fra il mondo e il Creatore è per la donna una storia d’amore. E in una storia d’amore la ricerca e il dubbio sono assurdità”.
Freud – Contestato più che accettato. In ambito analitico. Negli anni 1950 negli Stati Uniti si è affermata una generazione di analisi radicalmente omofobi e misogini. Negli stessi anni molto femminismo smise di considerarlo il nemico per eccellenza, proponendosi invece una psicoanalisi (freudiana) “inclusiva”, liberatoria.


Guerra-Pace – È d’uso citare Tacito, “De Agricola”, a proposito di pace e guerra in questa forma: “Desertum fecerunt et pacem appellaverunt”, fecero il deserto e lo chiamarono pace, mentre dice l’opposto – lo fa dire a Calgaco, re dei Caledoni, e riferendosi non ai Romani ma ai Britanni contro i Romani: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”, rimasti soli, quello dissero pace. Un’espressione, se si vuole, più calzante in molte guerre post-1939 – in molte strategie, tutte fallite.
 
Occidente – Il cammino dei popoli e delle civiltà si svolge verso Occidente, usa dire “da sempre” - da quando la piccola Europa si è staccata dalla grande Asia (Grande Madre)? Ma si vede che andando sempre a Occidente ha completato il periplo su cui aveva ragionato Colombo, ed è ritornato alla casa madre. Lasciando macerie sul percorso. Senza che ci sia stato un terremoto. O forse sì, due guerre mondiali. E guerricciole continue al suo interno, commerciali e anche armate,  all’insegna del “celodurismo”, o nazionalismo – il disegno ottocentesco, collegato ai risorgimenti nazionali, dei primati.
 
Religione - L’incroyance si vuole di ambito laico. Ma pure la religione di Stato, oggi il mercato, altrove il marxismo-leninismo, o anche il marxismo-leninismo col mercato, e prima gli imperi-mondi (India, Cina), o gli imperi e basta (Russia, Cina), anche imprese disperate della storia (Vietnam), sono partorite e gestire in ambito laico.

Schiavismo – Di un capitale razionalizzato, da marxologi e anime pie, si è posta a fondamento la bufala dello schiavismo, la tratta più antieconomica che ci sia, utile solo alla gloriola e poltroneria dei padroni, gente oberata dalle ipoteche. Mentre la ragione dello schiavismo fu ed è culturale. Di colture e di cultura. Per il fine suddetto, di un mercato che si vuole nobile, e quindi poter fingere di non lavorare, non avere affanni. O per altre esigenze: gli africani servirono a popolare le Americhe di persone e miti, balli, suoni.
 
Con una derivata anti-Tocqueville, se lo schiavismo è la chiave dell’arricchimento: l’America dovrà attendere novecento anni per rinascere, essendosi liberata dalla schiavitù da cento anni – ottocentocinquanta risalendo alla guerra civile. La fine di Roma indica che ci vuole un millennio per riprendersi senza schiavi, coltivando in proprio grano, vite e ulivo. In quarantena millenaria sono pure gli arabi, e si vede.
E dunque l’America, al momento, non esiste? Mentre è diventata ed è una potenza dalla fine dello schiavismo, col duro e durissimo West, la fatica quotidiana.
 
Storia – Anche nella forma spicciola, événementielle, è segnata dall’eternità, da percorsi a noi esterni e ignoti.
 
È arduo, si direbbe impossibile, fare la storia di qualcosa che non c’è. Anche recente. Anche sorretta – provata – da testimonianze. Nei romanzi dell’Ottocento l’amore sta per follia, per quanto benigna, oggetto spesso di necrofilia, spiritismo, magia, giuliette e romei, e altre storie nere. Oggi la materia è sterile.
 
“La Storia si può veramente chiamare una guerra illustre contro la Morte”, o “una guerra meravigliosa contro la Morte”, o “una guerra illustre contro il Tempo”, sono tre incipit di Manzoni, di “Fermo e Lucia” e dei “Promessi sposi”. Era Manzoni hegeliano, per la storia della Provvidenza, ma incerto.
È anche vero che ogni storia vera, per quanto scontata, viene meglio d’un romanzo.
 
La storia del pensiero è piatta. Anche il progresso è zero, in quanto ragione.
 
Vuoto – Il vuoto non esiste in natura, e quindi nemmeno nell’animo umano – o nell’esistenza.
 
È uno sbocco – un punto di sbarco – del nichilismo. Che però è una forza (operosità, pensiero) attiva. Pensarsi nichilista è una contraddizione – il nichilismo è una deriva, informe.  
 
“A clean, well lighted Place”, 1926, uno dei primi racconti di Hemingway, che poi saranno detti “minimalisti”, in cui due camerieri si spazientiscono perché è tardi ma non possono finché un vecchio, che “ha tentato il suicidio tempo fa”, non smette di chiedere ancora bicchierini, e uno dei due s’interroga sul senso della vita. Per concludere che “lui lo sapeva che tutto era nada y pues nada y nada y pues nada” – e recitarci sopra un “Padre nostro” del niente – “nada nostro che sei nel nada…”. Sforzo notevole per questo nada – il racconto è stato “lavorato” a lungo, e Hemingway venticinquenne a Parigi era in full swing, anche come socialite.

zeulig@antiit.eu

Don Matteo made in Usa

“Don Matteo” rovesciato – il don Matteo di Raoul Bova: il carabiniere diventato sacerdote diventa il sacerdote diventato poliziotto. Lo svolgimento è un po’ più cruento, siamo in America, ci vogliono inseguimenti, scazzottate e sparatorie – e senza l’alleggerimento di Frassica. Ma gli svolgimenti gli stessi, tra ricordi, remore, crisi, e azione.
Brad Ingelsby, Task, Sky Atlantic, Now

mercoledì 15 ottobre 2025

Il mondo com'è (489)

astolfo


Plia Albeck – Un’avvocata, “oscura funzionaria del ministero della Giustizia americano” (R.Bergman - M.Mazzetti, “L’impunità dei coloni”), è diventata famosa ed è tuttora riverita in Israele per avere “scoperto” nel 1987, vent’anni dopo l’occupazione, la chiave giuridica che Israele fa valere per appropriarsi della Cisgiordania, tramite la colonizzazione. Sfogliando i regolamenti del vecchio impero ottomano, Albeck trovò la chiave nel Codice Fondiario Ottomano del 1858, un insieme di norme intese a promuovere una riforma agraria. Nella norma che prevedeva la confisca dei terreni di proprietari assenteisti – “qualsiasi terreno che non fosse stato coltivato dai proprietari per un certo numero di anni, e non fosse «a distanza d’urlo» dall’ultima casa del villaggio”. Di terreni abbandonati e remoti.
Il primo ministro Begin, impegnato dal presidente americano Carter a un accordo di pace con l’Egitto, che comportava la restituzione all’Egitto del Sinai e altre concessioni, cavalcò la “scoperta”: l’avvocata fu fornita di un elicottero militare per mappare la Cisgiordania e individuare gli appezzamenti che potessero consentire l’avvio degli insediamenti ebraici sulla base della riforma agraria ottomana del 1858. Ne tornò con l’individuazione di “oltre cento aree” che si potevano difendere in tribunale sulla base di quella norma, su cui si impiantarono “legalmente” i primi coloni – che l’avvocata amava definire “i miei figli”.
 
San Carlo Borromeo – Santo, annota la sua biocritica Fragnito, malgrado lo straordinario nepotismo – che eserciterà anche, un secolo dopo, il Borromeo buono di Manzoni, il cardinale Federico, grande acquisitore di beni e titoli – esteso a “parenti delinquenti”. Stile Innominato.
Fu santo per il “suo indubbio zelo apostolico, la grande carità che praticò e fece praticare, l’opera di acculturazione e moralizzazione del clero, la sua modestia e la sua fede, vissuta talvolta con sorda intransigenza”. Fu però il vescovo che rinobilitò Francesco Cittadini, un giovane milanese di buona famiglia che per non saper che fare se ne era andato a Roma, dove aveva fatto carriera in Vaticano, presto nominato vescovo di Castro, l’antica capitale degli ipernepotisti Farnese. Qui aveva fatto un figlio con una badessa, Elena Orsini, della potente famiglia romana (la vicenda è una delle “Cronache italiane” più note di Stendhal, “La badessa di Castro”), che lo fece imprigionare e processare per relazione sacrilega. Il futuro santo Borromeo si adoperò per sottrarlo alla condanna, gli affidò una parrocchia in Lombardia, e lo volle in molte cerimonie, subito dopo la liberazione, al suo fianco.
La protezione del vescovo Cittadini è però niente al confronto di quella che il santo spese in favore di un Giovan Battista Borromeo che aveva trucidato la moglie, Giulia Sanseverino, ed era stato per questo condannato alla decapitazione. L’uxoricida era un lontano cugino, ma era stato per un breve periodo accudito, bambino, organo di entrambi i genitori, dal futuro santo.
L’uxoricidio era stato particolarmente efferato. A conclusione di una lunga vicenda di sopraffazioni e violenze, compresa la reclusione della vittima in casa con porte e finestre murate. L’8 marzo del 1577 la uccise a pugnalate, davanti alle due figlie, bambine. Avvenne a Origgio, dove Giovanni Battista, “signore di Cannobio”, aveva residenza. Nel feudo Borromeo che prendeva il nome da Angera, sul lago Maggiore, sulla sponda di fronte al monumento che sarà eretto al santo, il “Colosso di san Carlo Borromeo”, bronzo alto 35 metri, in cima al Sacro Monte di Arona. I Borromeo, conti e marchesi, erano padroni di mezzo varesotto – lo “Stato Borromeo” nel Tre e Quattrocento contava più di mille kmq: il conte risiedeva ad Arona, il marchese ad Angera.
Lo “zio” cardinale fece espatriare il “nipote” subito a Locarno. Dove ricevette, una settimana dopo, l’ingiunzione del Capitano di Giustizia di Milano a comparire. E due mesi dopo, la sentenza dello stesso Capitano: decapitazione, e confisca dei beni. Il cardinale si agitò subito a svigorire la condanna, agendo sulla distinzione che la legge faceva fra l’assassinio premeditato e quello commesso in un impeto d’ira. E a questo fine raccolse molte testimonianze, senza difficoltà. Mentre le ebbe per salvare i beni, oltre la vita, e ottenere la libertà, con il perdono di tutte le parti offese. Su questo trovò l’opposizione della sorella e della madre della moglie assassinata, Barbara e Lavinia Sanseverino. Di quest’ultima soprattutto. Che tenne testa alle pressioni del vescovo fino alla morte, un anno e mezzo dopo, il 2 novembre 1578. Morta Lavinia, il vescovo cardinale ottenne rapidamente il perdono delle figlie, della sorella Barbara e di altri due parenti: ad agosto del 1579 il governatore Guzmán y Zuñiga condannava il nipote del cardinale a una pena pecuniaria e a cinque anni di residenza coatta fuori dello Stato – nel finitimo Monferrato.


Frascineto – Oggi borgo arbëreshë, in Calabria, alle pendici del Pollino, è il nome antico di Saint Tropez. Nato da una spedizione (“scorreria”) arabo-mussulmana nel secolo X, originata dal regno di Granada. La calabrese Frascineto viene da ginestra, “frasnita” in arbëreshë – il borgo aveva finito per chiamarsi, attraverso una serie di derivazioni, “Porcile” nel primo Novecento. Nella Frascineto-Saint Tropez i corsari cerarono una base, da cui partire per le scorrerie, sia via mare che via terra, risalendo i fiumi, e a cui fare capo intermedio al rientro verso le basi sicure. Un insediamento che nelle cronache latine dell’epoca viene registrato come Fraxinetum Saracenorum. Con due possibili etimologie. O dalla vegetazione, oppure dal castrum, oggi detto La Garde Freinet, al bordo nord dell’insenatura, sopra un rilievo roccioso – che però anche questo era protetto da una densissima spinarum silva.
L’insediamento fu stabile per un lungo periodo. Registrato da Ibn Hawqal, il mercante e viaggiatore originario di Bagdad che rilevò tutto il mondo mussulmano, Sicilia compresa, da Granada all’India, nel “Libro delle vie e dei regni”: “Il Ğebel ‘al qalâl (rilievo non identificato, ma sarebbe la Provenza, n.d.r.) era deserto da molto tempo, ma aveva acque, buone terre, culture e seminati in grado di alimentare chi vi riparasse. Sbarcato che vi fu un gruppo di mussulmani, ne fecero loro residenza e la mantennero. Anche contro i Franchi, i quali non poterono nulla contro di essi, e l’inattaccabilità del luogo”.
Fu la base degli arabi in Liguria dei racconti di Calvino. Da Frascineto-Saint Tropez fecero continue incursioni sulle coste provenzali e liguri, saccheggiando a più riprese la Riviera di Ponente. Più sistematiche le spedizioni nell’entroterra, tra il Rodano e le Alpi, fino all’Oltregiogo padano – in particolare su Acqui, Alba e l’alto Tortonese. Oltrepassarono anche le Alpi, in Svizzera si ricorda la devastazione del monastero di San Gallo.
 
Sionisti cristiani – Il movimento “evangelico” americano, sui cui orientamenti Donald Trump ha basato e basa gran parte delle sue decisioni, specie su Israele e il Medio Oriente, ha una forte componente sionista, ampia e di fede assoluta - e sarebbe stato la fonte di ispirazione, a metà Ottocento, dei sionismo propriamente detto, ebraico, israeliano. Lo storico israeliano Ilan Pappé ricorda (“10 miti su Israele”, p. 235) che “George W. Bush era fortemente influenzato dai sionisti cristiani, con cui forse condivideva l’opinione che la presenza degli ebrei in Terra Santa facesse parte del compimento di uno scenario apocalittico che avrebbe potuto inaugurare la seconda venuta di Cristo”.
Il sionismo non ha buona ricezione nelle confessioni protestanti e nella chiesa cattolica – salvo pochi, recenti, “mediatori teologali”. Ma ha diffusione in America. Specie in questo movimento “evangelico”, messianico - Martin Luther King si vuole sia stato anche lui un sionista cristiano.
I sionisti cristiani non si sa quanti sono, ma sono influenti. L’organizzazione cristiano sionista più grande, i Cristiani Uniti per Israele, che conterebbe dieci milioni di membri, è anche screditata: il suo creatore e organizzatore, John Hagee, un ultraottantenne pastore e predicatore tv, nel 2013 fu a lungo bestseller con un libro in cui profetizzava la fine del mondo a una certa eclisse lunare del 2014.
Hagee è famoso anche per avere stabilito che le persecuzioni degli ebrei, Olocausto compreso, nascono dalla disobbedienza del popolo ebraico a Dio – e in particolare che Hitler proveniva da una stirpe di “ebrei meticci maledetti e assassini”.
Ma nel 2023, secondo un sondaggio del Pew Research Center, oltre il 60 per cento dei cristiani evangelici e circa il 50 per cento degli afroamericani erano convinti che Israele adempisse la profezia biblica, trovasse le sue radici nella Bibbia, ad empisse una profezia biblica. Poco più delle metà degli intervistati, il 55 per cento, affermava di sostenere Israele in base ai racconti e ai precetti biblici. Un sondaggio più recente, 2017, di Life Way, rilevava una percentuale maggiore, l’80 per cento del dei cristiani evangelici convinti che la nascita di Israele nel 1948 fosse un adempimento della profezia biblica che avrebbe portato al ritorno di Cristo.
Il governo israeliano sostiene ufficialmente il sionismo cristiano. Nel 1980 è stata aperta una Ambasciata Cristiana Internazionale - a Gerusalemme, sede privilegiata, e non a Tel Aviv. L’ambasciata si è segnalata per la raccolta fondi destinati al finanziamento della immigrazione in Israele dall’Unione Sovietica e poi dall’ex Urss. E ha assistito e assiste i coloni israeliani in Cisgiordania.  
Il sionismo, l’attesa di una “restaurazione ebraica”, si sarebbe sviluppato per primo tra i cristiani, e in particolare nel pensiero puritano inglese del Seicento. I “circoli ebraici” ne sarebbero stati contagiati intorno al 1840, secondo la storica contemporaneista israeliana Anita Shapira  - la stessa studiosa, biografa dei più forti sionisti, Berl Katznelson, Ben Gurion, Yigal Allon, e analista dell’identità ebraica, in una ricerca specifica, “The Bible and Israeli Identity” nel 2005, rilevava che la considerazione della Bibbia era diminuita nell’identità israeliana.  
I cristiani evangelici, come i sionisti messianici, in realtà, come correttamente spiega lo storico Pappé nel recente “La fine di Israele”, si esercitano da un secolo o poco meno sulla fine dello Stato di Israele, e pregano ferventemente per un’apocalisse, “nella speranza che gli eventi in questi territori precipitino la fine dei tempi e preparino il ritorno del Messia cristiano o (l’avvento) di quello ebraico”.


astolfo@antiit.eu

La madre non si sostituisce

La famiglia allargata non esiste. Cioè esiste, è un dato di fatto, ma il padre è uno, e la madre è una. Rachel, bellissima, vivacissima, sapientissima, e anche saggia insegnante di letteratura in un istituto tecnico, si avvicina alla menopausa senza il figlio che vorrebbe. Il suo ultimo compagno si scopre avere una figlia, piccola, alla quale Rachel si affeziona, e che la corrisponde. Al suo modo,  con gli umori da bambina, ma con punte di grande affettuosità. Se non che Rachel non è “della famiglia”: non delle feste con i nonni materni, non del lutto per l’amica “di famiglia”, e viene dimenticata quando la madre, seppure non invadente, è presente. Il ragazzetto che a scuola lei ha letteralmente salvato, e ora ha già fatto carriera al lavoro, ne fa una santa. E questo (non) è di consolazione.  
Con una Virginie Efira perfetta in tutti i registri del personaggio – l’attrice belga da noi sconosciuta che ricopre da qualche anno i maggior ruoli femminili del cinema francese, collezionando più premi.
Rebecca Zlotowski, I figli degli altri, Rai 3, Raiplay

martedì 14 ottobre 2025

Etichetta islamica

“È giovane, bella e molto rispettata”, è il complimento di Trump a Meloni a Sharm el Sheikh, alla firma del Trattato di Pace per il Medio Oriente. Poi nella foto di gruppo lei viene confinata all’estremità – a una delle estremità, all’altra c’è il suo collega dell’Iraq. Era anche l’unica donna su 33 partecipanti. Non c’è male come diplomazia (etichetta, precedenze) e come galanteria (buona educazione).
A Ankara, o era Istanbul, il presidente turco Erdogan, islamista senza convinzione, per politicanteria, non ha dato una sedia l’altro anno a Ursula von der Leen, la presidente della Commissione Europea, in visita.
Un altro mondo? No, è il nostro. Un’altra etichetta.
Un po’ si capisce che Meloni sia (un po’) sovranista.

E ora la valanga di sinistra

Cominciano le sberle per Meloni. In Toscana era scontata, ma non in quella misura. Beffata dal generale Vannacci, dalle beghe leghiste. 
Fra un mese perderà, con un suo candidato, anche in Campania, con le stesse percentuali. Oltre che in Puglia, dove non ci prova nemmeno. E potrebbe perdere perfino in Veneto.
Nel Veneto naturalmente no, ma che se ne possa fare l’ipotesi è già una mezza sconfitta. Come lo è farsi imbrigliare, con tre anni di anticipo, sulle candidature alla Regione Lombardia. Giusto per scontare subito la lite che ci sarà con Salvini – forse senza più la posizione di forza della presidenza del consiglio (questa XIXma legislatura finisce un anno prima). 
Anche nazionalmente, il carniere è mezzo vuoto. È pieno sul lato diplomatico e del rigore contabile, che però non hanno mai fatto votare nessuno. Si vota per il benessere – per il reddito. E qui il bilancio è vuoto: più tasse e non meno tasse (il taglio Irpef è d ridere). Con molti artifici. I più odiati le bollette più care del mondo, piene di iva sulle accise (sic) e di false “tasse di scopo”, con una patrimonialina di 25 euro al mese sull’elettricità per le seconde case, che tutti gli italiani hanno. E lo svuotamento delle spese detraibili – ormai non ci sono più medicinali, solo parafarmaci.  


Se Veneto e Lombardia sono contendibili

Veneto e Lombardia sono contendibili, dopo quarant’anni, perché sono le regioni dove ci sono i soldi. Nessun governo si era mai spinto a manomettere le banche, Meloni ci prova ogni anno. In questo 2025, oltre che con la solita patrimoniale (una tantum per modo di dire) sulle banche, persino con l’assalto a Mediobanca-Generali tramite il piccolo e inesperto Monte dei Paschi. Con la farsa del golden power sul milanesissimo Bpm, contro Unicredit, che è pure milanese, a favore di Crédit Agricole, che è francese. E con un serie di leggi su cui sicuramente si faranno indagini penali: le norme che consentono il controllo azionario della gestione senza l’obbligo di acquisto dopo una certa soglia, e il nuovo Tuf, il testo unico di finanza, che si preannuncia rivisto per favorire il passaggio di Bpm sotto Crédit Agricole.  

Capri, di malavoglia

Capri, Anacapri e Caprile. E il monte Solaro, “greco” - “Che monte ridente! Che monte misurato! Che monte «greco»!”. Con “le donne dal collo robusto” di Omero. E i Teleboi – che sono di Virgilio, ma Savinio, pur professandosi latinista in gioventù, non ne fa cenno.
La partenza è promettente. Allo sbarco gli si erge la memoria di “quel principe del pompierismo letterario che risponde al nome di C.A.Sainte Beuve” – che dell’isola arrivando aveva visto “la silhouette severa, il profilo formidabile, Tiberio”, l’imperatore crudele in persona, “nel golfo della mollesse, il richiamo grave e terribile”. Subito poi ce n’è per Debussy, sentendo su per un sentiero “le notine perlate di un preludio di Debussy”: “Che musica da morticini! Che musica da piccoli annegati gonfi che galleggiano sopra un mare putrefatto” – ed è uno “uno dei più brutti, uno dei preludi più banali che abbia scritto magister Claudius: ‘Les collines d’Anacapri’”.
Pochi altri umori. Un Savinio ben disposto ma poco ispirato – una “guida” scritta nel 1926, ma pubblicata solo nel 1988. Anche lui ci trova Tiberio, naturalmente, il Salto di Tiberio – ma con la Madonna del Soccorso, che protegge dalle tentazioni (“se Tiberio faceva precipitare gli schiavi da questa rupe, era solo per sedare un poco il terribile desiderio che lo struggeva di buttarsi egli medesimo dal Salto di Tiberio”). Con più agio ci ha trovato Augusto. E poco altro. In una pagina si affastellano Shakespeare, Verne, Victor Hugo, Walter Scott e Barbarossa - Khaireddin, non Federico.
Alberto Savinio, Capri, Garzanti, pp. 80 € 5,90


lunedì 13 ottobre 2025

Le mani del governo sul risparmio

Su una cosa che ancora non esiste, una procedura Ue contro il governo italiano per la gestione politica, contro le regole, del golden power (contro Unicredit per l’acquisizione di Bpm, e a favore di Crédit Agricole, n.d.r.), due europeisti convinti come Osvaldo De Paolini e sul “Giornale” e Angelo Di Mattia sul “Foglio” si scagliano contro. Con virulenza. Con violenza.
“Che a Bruxelles si continui a mettere in discussione la sovranità nazionale in tema di sicurezza economica è ormai diventata una pericolosa abitudine”, è l’esordio di De Paolini. Il motivo? “Di nuovo nel mirino della Commissione è finito il decreto Golden Power applicato all’Ops Unicredit-Bpm”. Dove invece il governo ha solo difeso l’italianità di Bpm. Perbacco, contro il “lurco” Unicredit? E che diritto ha Bruxelles di intromettersi in una questione di sovranità? “Il ministro Giancarlo Giorgetti è stato molto chiaro: la sicurezza, anche economica e finanziaria, non è materia comunitaria, ma competenza esclusiva dello Stato nazionale. E l’Italia la difenderà «a ogni costo»”. Cioè, sottraendo Bpm a Unicredit, per affidarlo al Crédit Agricole.
Non è giornalismo (non c’è logica), e nemmeno politica. Non varrebbe soffermarvisi se fosse una bizzarra concezione del mercato. Del giornalista come di De Mattia – che pure da ex collaboratore di Fazio alla Banca d’Italia, dovrebbe ben sapere cosa succede quando la politica “si occupa” del risparmio (delle prepotenze disastrose della politica si ricorda solo quella contro Baffi e Sarcinelli, ma la persecuzione di Fazio, sempre alla Banca d’Italia, è stata ben peggiore). De Mattia riconosce che non sa di che lettera si tratti, ma ritiene necessario, non richiesto (la sua è una lettera al giornale), di schierarsi: la non-lettera Ue è “una conferma del modo inaccettabile del funzionamento di alcune strutture della Commissione”. Tale che “è da attendere una doverosa replica da parte del governo, essendo in ballo la tutela della sicurezza nazionale nei diversi aspetti, e, se necessario, il ricorso alla Corte di giustizia europea”. Diversi da che, dalle regole?
Malumori dell’età? Il giornalista e l’ex direttore centrale della Banca d’Italia sanno di che parlano – e non sono anti-europeisti. Sanno anche che in queste materie la Ue non si pronuncia per la prima volta – proprio Mario Monti nel decennio in cui fu a Bruxelles responsabile della concorrenza e dei servizi finanziari (“mercato interno, integrazione finanziaria, fiscalità, unione doganale”) ebbe più occasioni di intervenire nel  riavvio della “banca universale” e nelle ristrutturazioni bancarie, allora così radicali (l’opus magnum del governatore Fazio). Si schierano - De Mattia non invoca il santo Giorgetti (non è Unicredit una banca straniera, controllata dai diabolici fondi?), ma è come se. Non sul fronte del risparmio, evidentemente.
 
Il governo deve proteggere il risparmio. Come, con la mazza? Con le barricate? Il risparmio si protegge da sé, con le regole. Non con le manomissioni – al netto delle turbolenze interne a Forza Italia, e tra Salvini e i meloniani. Si fanno le baŕricate contro le prepotenze UE, che ancora non si vedono, per non parlare del nuovo Tuf, che sottomette il mercato al governo?

Se il covid non c’è stato

Una riflessione sui (non) effetti del covid, se non “gli adesivi sbiaditi”, e “qualche reparto di terapia intensiva potenziato” – oltre “a inedite definizioni di paure e fragilità”. Ovvero sull’effetto semplificazione, se non rimozione: della pandemia come una parentesi - un’influenza un po’ pestifera, come si voleva agli inizi. Mentre “aveva aperto questioni gigantesche e più generali, avendo imposto un corpo a corpo con il collasso di alcuni diritti fondamentali, con le epifaniche e amarissime disuguaglianze di quella che era per tutti la stessa «tempesta» ma non la stessa «barca»”.
Una riflessione propiziata dalla mostra “Venezia e le epidemie”. Che invece testimonia di una storia, una realtà politica, che si intendeva di epidemie, trafficando per i porti di tutto il Mediterraneo, e sapeva prevenirle e trattarle. Un’esperienza di secoli, che Gissi sintetizza come efficace. Intanto perché anticipa un concetto contemporaneo, “la comprensione della relazione reciproca tra salute ed economia, il valore della governance coordinata, l’esigenza di un’intelligence sanitaria sovranazionale” – che Venezia non trascurava, uno dei suoi tanti plus. Ma, soprattutto, si organizzava di conseguenza: “L’esperienza veneziana dimostra come l’eccellenza nel governo delle emergenze sanitarie non scaturisca soltanto da saperi scientifici avanzati – all’epoca certamente fragili – ma dalla facoltà di edificare istituzioni adattive, capaci di trarre insegnamento dalle emergenze e di trasformarsi”. Il contrario della realtà odierna, da Paese pure  “avanzato”, di una “sanità collettiva” che si affronta con “tagli e logiche di mercato”.
Con un interrogativo anche sulla funzione della storia, della storiografia. Che a volte è lì per rimuovere invece che per scoprire – rivelare, spiegare: “Rimozione e oblio sono evidentemente tentazioni potenti e già sperimentate nel caso della ‘spagnola’ d’inizio Novecento, nascosta a lungo nelle pieghe dei manuali di storia”.
Alessandra Gissi, Venezia e le epidemie, un viaggio nella storia e nell’ambiente, minima&moralia, online

domenica 12 ottobre 2025

Ombre - 795

La Francia non ha solo un problema di debito pubblico, è troppo alto anche il debito delle imprese, rileva “Il Sole 24 Ore”: “Ha raggiunto i 4.550 miliardi, il 155 per cento del pil”, un record – in Germania è all’89 per cento, negli Usa al 73,7, in Italia al 57.
La globalizzazione, il “mercato”, si è fatto a debito. Il Fondo Monetario Internazionale calcola l’indebitamento pubblico “globale” (mondiale) alla pari quest’anno col pil, con la produzione.


Si scopre, con lo scambio di prigionieri Israele-Hamas, che “migliaia” di palestinesi sono detenuti in Israele senza processo, e senza assistenza legale. Anzi in segregazione. E non se ne sapeva niente. Democrazia? Informazione?

Si modifica il Tuf, testo unico della finanza, per consentire alla francese Agricole il controllo di Bpm arrivando a un centesimo sotto il 30 per cento - elevando dal 25 al 30 per cento l’obbligo dell’offerta pubblica di acquisto dell’intero pacchetto. Dopo avere modificato le regole di gestione, per cui si controlla un’azienda col poco meno del 30 per cento. Da parte di un governo “sovranista”, che ha fatto guerra a Generali per l’accordo con Natixis, francese, e a Unicredit per l’ops su Bpm – dichiarando Unicredit banca straniera, che mette a rischio il “risparmio degli italiani”.
Sotto il sovranismo la vecchia manovra “bieca” di potere. A danno del risparmio – lo è sempre stata. Ma questo non si dice. C’è un perché?

Si litiga su una decisione di Bruxelles in materia di “golden power” che non è stata presa. Litigano Meloni e Giorgetti, e i loro fan nei media. Curioso. Anche perché non c’è mai stata tanta intromettenza politica, sull’informazione e sul risparmio - le banche, bene o male, ci tengono i conti. Neanche quando le banche erano pubbliche. Le Casse di risparmio rispondevano ai potentati locali di turno, ma con discrezione – anche perché le Procure all’epoca vigilavano. Dei grandi banchieri pubblici era soprattutto nota, e non contestata, l’indipendenza, di Mattioli, per dire, Cingano, Siglienti, anche Braggiotti, lo stesso Nesi, Sarcinelli – anche nelle contese, tra Cingano e Braggiotti, o tra Fausti e Arcari.


Meloni giuliva dei viaggi all’estero - unica peraltro viva (che se non ha qualcosa da dire sa però come dirla) nel cimitero europeo – non sa che Renzi arcipotente perse tutto imponendo le sue banche toscane. Dopo di che qualche centinaio di migliaia di famiglie ci rimisero molto e moltissimo.
Sembra strano oggi, ma in confronto al potere di Renzi, per dieci lunghi anni, Meloni non è niente al confronto, appena qualche nomina, da poco, di passaggio, Sangiuliano, Giuli, Lollobrigida, la sorella.  

Di una dozzina di frequentazioni abituali la metà hanno o hanno già avuto l’influenza. La Regione però ha prenotato il vaccino per novembre. Poi dice che la sanità pubblica non funziona perché troppo cara, troppo lenta, disertata dalle competenze, etc. Perché manca la testa, un minimo di giudizio.

Lo screzio fra Angela Merkel e la Polonia – il governo in carica e l’opposizione – sul mancato dialogo con Mosca tra il 2018 e il 2022  è intanto verosimile: Merkel dice che la Ue non parlò con Mosca per l’opposizione della Polonia. Ma è comunque uno dei tanti segnali che l’Est europeo – che determina purtroppo l’agenda della Ue da un quinquennio – è un verminaio. Il tono della contesa, se non la sua verità, parla chiaro.

Roma scopre di avere 1.859.221 autoveicoli immatricolati, per 1.600.000 patentati. Nonché essere anche “capitale dello sharing”, di auto, moto, bici e monopattini. Di questi soprattutto. Siamo in transizione, verso dove?
Roma ha anche 330 km di piste ciclabili, e prevede di costruirne altri 700 km. Al costo di 350 mila euro al km - un “investimento” da 350 milioni. Per piste che nessuno usa. Un investimento per restringere la carreggiate ed eliminare qualche centinaio di migliaia di posti macchine al parcheggio.
 
Ferrari dimezza gli investimenti sull’auto elettrica. Mentre per il decimo, o ventesimo, anno non fa più una macchina competitiva alle corse. Dopo Fiat, Jeep, Alfa Romeo e Lancia, Elkann affonda anche la corazzata delle vendite e dei profitti?
 
Continuano le ruminazioni sul voto alla Regione Calabria, dopo quello alla Regione Marche. Sapendo che domani il risultato sarà invertito in Toscana – e fra un mese in Campania e Puglia.
Giornali e tg fanno un subisso di politica, senza dire nemmeno l’ovvio – fare di tutto eccezione, anche dell’alba e il tramonto, è come abbaiare, senza senso.

Fine ingloriosa del candidato Pd-5 Stelle in Calabria, Tridico, dopo una serie di gaffes inimmaginabili. E non si dice che un quarto dei voti che ha raccattato, il 10 per cento del totale del voto, era di due liste socialiste, sotto mentite spoglie, Democratici Progressisti e Casa Riformista – questa con una spruzzata di Renzi, “Italia Viva”. Una delle due ha anche preso un consigliere, l’altra è andata poco sotto.  

Meloni da Vespa fa l’elenco delle accuse avventate che Conte, Schlein e Avs muovono al suo governo. Compresa una denuncia alla Corte Penale Internazionale per “complicità in genocidio” – per le forniture militari a Israele. Il “Corriere della sera” titola: “La premier in tv: presentata una denuncia alla Cpi. Un portavoce della Cpi: nessun atto formale”. Su un testo in cui il portavoce spiega: “Solo le decisioni hanno valore, e non esiste alcuna decisione”. Analfabetismo non è - per fare il caposervizio (quello che fa i titoli) bisogna sapere un po’più che leggere. Ma è sempre vero che la stupidità esiste, per quanto “impegnata”.

Si critica Trump per una serie innumerevole di motivi, compresa naturalmente l’economia Usa, ma non si dice che l’economia in A erica è solida, la più solida, cresce quasi al livello della Cina, gli investimenti in dollari al massimo, e l’euro, malgrado questa corsa al dollaro, pure ai massimi, nel cambio col dollaro. È opposizione? A chi, a se stessi?

Si critica Trump e poi si riporta un conto delle spese Nato che vede gli Stati Uniti finanziare l’alleanza per i due terzi, 997 miliardi di dollari su 1.506, il 3,4 per cento del pil – più di ogni altro (secondi solo alla Polonia, che si arma da tempo contro tutti, per ora contro la Russia).

Negli accordi mediati dalla Croce Rossa e dalla Turchia, la Russia ha restituito all’Ucraina nei tre anni e mezzo di guerra 13 mila corpi di soldati morti, l’Ucraina alla Russia “un migliaio”. Sono la verità della guerra, dietro le “notizie di guerra”, la propaganda, di cui siamo vittime - anche la restituzione dei prigionieri è stata salutata come un segno che la Russia sta perdendo la guerra, “troppi morti”.

Su Epstein, il ricco newyorchese che forniva ragazze, anche minorenni, agli amici, sono chiamati a dare contro alla commissione d’indagine del Congresso i Clinton, lui e ei. Ma i media parlano solo di Trump, se e quanto era amico di Epstein, e se ne aveva “approfittato”. C’è uno scollamento, una voragine, tra l’“opinione pubbica” mediata dai media, e l’opinione comune, sensata, democratica. I media classici si sarebbero detti del salotto buono. Ora sono del tinello, piccolo borghese.  

Il Napoli calcio indovina sempre tutti gli acquisti, pagando poco, la Juventus li sbaglia, li sbaglia tutti, spedendo molto. Una costante da troppi anni. C’è una ragione? Stupidità non è – quello che si è “sbagliato” di più alla Juventus, roba di un paio di centinaia di milioni, è un dirigente che se ne intendeva del Napoli.
Il problema del calcio è che non si conoscono i domicili fiscali dei mediatori – agenti, etc.. Cioè si conoscono, ma sono coperti dai paradisi fiscali.
 
 

La commedia del teatro

Uno smontaggio del teatro, della finzione teatrale. Del “Gabbiano” di Cechov e del “Santa Govanna” al cinema di Dreyer. Delle tante incongruenze e anche scemenze implicite nelle figurazioni, nei dialoghi, nelle situazioni canoniche dei personaggi. Legato dal filo medianico di una nonna defunta che tutta la vita volle essere attrice di teatro, benché star della radio, e morì con qualche particina nelle filodrammatiche. Come a dire che teatro siamo tutti noi, anche fuori della scena.
Una performance tenuta assieme, senza i sussidi teatrali, scene, luci, costumi, trucchi, macchine, da due attori giovani, Olga Mouak, franco-francese, e Arne De Tremerie, fiammingo. Lui più invadente, agitato. Lei più padrona, sottotono, con monologhi da applauso. E più nel ruolo, volendosi l’esperimento coinvolgente anche degli spettatori: al pubblico romano offrendo appigli svelta, in una battuta –“si chiude tutto” (i centri sociali? i teatri? non importa), “speriamo in CasaPound”, etc.. A loro sarebbe dovuta la scelta del “Gabbiano” e di Giovanna d’Arco: la nonna di De Tremerie è morta quando lui entrava alla scuola di teatro con un “pezzo” del “Gabbiano, Mouak è cresciuta a Orléans, il luogo della Pulzella, e ha avuto una nonna in Camerun che sentiva anche lei le voci, ed è morta bruciata. Ma questi pecedenti sono ininfluenti.
Un esperimento semplice, una “decostruzione” derridiana, a suo modo memorabile. Se non che il pubblico, impreparato (o troppo preparato, di addetti ai lavori, attenti ai meccanismi?), ha mostrato di seguire con apprensione. In attesa dell’esito, di un esito, che invece era nella forma – decostruzione non significa oggi più nulla, benché tardo novecentesca: il millennio non ha memoria. E quindi ha fatto mancare la sponda necessaria all’esperimento, la reattività, il ghigno, la risata, la protesta, il buu, l’applauso. Sordo anche alle tante “arie”, pezzi di bravura, dei due artefici – specie a quelle, gestite con piglio da primadonna benché sottovoce, sottotono, soave, di Olga Mouak.
Questa prima uscita dell’esperimento ha in Italia (la pièce è stata ordinata per il festival di Avignone) lo svantaggio di rimandare alle traduzioni in didascalia, su un pubblico franco-fiammingo potrebbe fare un ottimo spettacolo comico.
Milo Rau, La lettre, Romaeuropa Festival, Teatro Vascello

sabato 11 ottobre 2025

Cronache dell’altro mondo – di pace e bene (362)

L’approvazione del primo passo del piano di pace di Trump da parte di Israele è ventuta per un imprevisto empito di commozione. Lo raccontano Isaac Stanley-Becker e Vivian Salama sul sito dell’antitrumpiano “The Atlantic”:
“Prima che il governo israeliano approvasse la prima fase dell’accordo di pace con Hamas orchestrato dagli emissari del presidente Trump, il ministro intransigente Itamar Ben-Gvir aveva espresso la sua frustrazione. Solo il giorno prima aveva guidato un gruppo di ebrei in preghiera sul Monte del Tempio, il luogo focale di Gerusalemme che ospita anche la Moschea di Al Aqsa, e aveva invocato la «vittoria totale» a Gaza….
“Alla riunione, su invito di Netanyahu, erano presenti sia Jared Kushner, genero del presidente, sia Steve Witkoff, amico e inviato speciale di Trump. Erano arrivati ​​in Israele dall’estremità meridionale del Sinai, in Egitto, dove mercoledì avevano elaborato un documento di una sola pagina che sintetizzava i termini di un cessate il fuoco e di uno scambio di prigionieri, che potesse soddisfare sia Israele che Hamas.
“Ben-Gvir si rivolse ai due americani e disse loro che non avrebbe mai accettato un accordo… che libera detenuti palestinesi per atti di violenza contro cittadini israeliani inermi, e potrebbe in seguito portare all’amnistia per un gruppo terroristico responsabile dell’attacco più mortale nella storia del Paese. Witkoff, un investitore immobiliare newyorkese scelto da Trump per risolvere alcuni dei conflitti più complessi al mondo, rispose raccontando loro di aver perdonato la famiglia dello spacciatore responsabile della vendita dell’OxyContin che ha tolto la vita a suo figlio. L’inviato sembrava sull'orlo delle lacrime, ci hanno riferito due persone a conoscenza della conversazione. Ben-Gvir rimase impassibile, affermando che la differenza era che Hamas non si era pentita.
Alla fine, il governo israeliano ha approvato le prime fasi del piano di Trump: il ritiro delle Forze di Difesa Israeliane e la restituzione di tutti gli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi. 

Toni Morrison, che impose gli scrittori afro

Toni Morrison scriveva denso e impegnativo, ma agli autori che curava come redattrice di Random House consigliava linguaggi semplici, leggibili da un vasto pubblico: privilegiava gli aspetti commerciali, specialmente nei debutti. Senza nulla togliere ai debuttanti “autori”, che invece proteggeva in casa editrice con le direzioni commerciali – una lunga lista di autori afroamericani affermati curati inizialmente e imposti da lei viene fatta. Ma sì ai personaggi di cui curava, con insistenza, volte con insofferenza, le autobiografie: Angela Davis, Muhammad Alì, Huey P. Newton. Invece proteggeva i suoi scrittori, se neri e giovani, dalle strategie pubblicitarie e commerciali della casa editrice.
Un lungo saggio, in forma di recensione di “Toni at Random: The Iconic Writer’s Legendary Editorship”, la storia editoriale di T. Morrison, di Dana A. Williams. Morrison lavorò alla Random House nei suoi quarant’anni, per una dozzina d’anni, dal 1972 al 1983 (dieci anni prima del Nobel). Unica redattrice afroamericana.
“Oggi conosciamo Morrison per la sua scrittura iconoclasta, che le valse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1993 e consolidò saldamente il suo posto nel canone letterario americano. Tuttavia, Toni at Random sottolinea il fatto che la scrittura di Morrison fu molto più di un risultato individuale. Nel pieno del Black Arts Movement, Morrison fu una dei tanti scrittori che ampliarono le possibilità di ciò che la letteratura nera poteva essere e fare. Il suo più grande riconoscimento negli anni Settanta e Ottanta fu la sua capacità di aprire le porte dell'accesso istituzionale alla comunità di scrittori a cui apparteneva. La capacità di Morrison di pubblicare scritti neri innovativi dipendeva dalla sua capacità di proporre i libri al caporedattore della Random House, James Silberman, e poi di commercializzarli sia al pubblico nero che a quello bianco”.
Un caso viene raccontato esemplare del modo di fare di Morrison in casa editrice, e del suo successo.
“Forse la più riluttante a impegnarsi in pubblicità per vendere i suoi libri fu Gayl Jones, che aveva solo 25 anni quando il suo primo romanzo, Corregidora (1975), fu pubblicato con grande successo di critica….. Nonostante (o forse proprio a causa) dell’estrema timidezza di Jones, Morrison si impegnò ancora più duramente del solito per ottenere blurbs da affermati scrittori neri – tra cui James Baldwin e Alice Walker – e si unì a Jones per interviste a sostegno di lei”. Il rapporto si dovette interrompere per le intromissioni dell’agente di Jones, “poi diventato suo marito, Robert Higgins, che Morrison considerava instabile e autoritario. Senza gli sforzi pubblicitari di Morrison, l’attenzione della critica si spense e Jones cessò di pubblicare per due decenni dopo il suicidio del marito nel 1998. La pubblicazione del romanzo Palmares (2021), iniziato sotto la direzione di Morrison alla fine degli anni ‘70, inaugurò una recente rinascita nella sua carriera e un ritorno ai riconoscimenti ottenuti con il suo primo romanzo”.
Marina Magloire, 
“To Free Someone Else”: Toni Morrison the Book Editor, “The Nation” 7 ottobre (leggibile anche in italiano)

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