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venerdì 13 giugno 2025

Berlinguer, famolo santo

“Il film indaga perché Enrico Berlinguer è il politico più amato a quarant’anni dala sua scomparsa” – questo il blurb di presentazione. La  nostalgia si può capire, magari in chi nasceva quando Benigni furbo si affermava col “Berlinguer, ti voglio bene”, 1977. Ma a quarant’anni di distanza c’è appunto la distanza. E non si capisce.
Forse perché visto dopo la scorpacciata di apologie del papa Francesco, sa particolarmente di falso. Un’apologia si regge se in qualche misura, per qualche aspetto, anche solo per la distanza o la lontananza, è condivisa, accomuna  Ma qui quello che va in scena non è Berlinguer, sono gli autori e i loro – possibili, previsti – spettatori.  Per dire: anche di paga Bergoglio si sono fatti una decina o dozzina di film tutti insieme, come per Berlinguer, ma non altrettanto stucchevoli.
Pesa poi anche la distanza, la prospettiva storica. E non si vede come si possa glorificare un leader  vita di partito che ha distrutto il suo partito. Letteralmente, volutamente. Che si voleva lontano dal sovietismo ma il suo partito non lo voleva altrettanto lontano, nei finanziamenti, nell’organizzazione, nelle procedure. Che piuttosto che farne un partito socialista o socialdemocratico lo ha appaltato all Dc. Alla Dc? Si veda ancora oggi a Roma, nella comune, irrefrenabile, spudorata corruzione, in opere e omissioni, in appalti e trabocchetti.
Una trama di ricordi personali scelti e montati ovviamente “al punto”. Un’enfatizzazione del disacco dal sovietismo – quado tutti sanno che il partito fu finanziato da Mosca fino al 1989. Un personaggio che sarà stato anche simpatico (in Parlamento e coi cronisti non lo era), ma al congresso del 1975, quando già aveva lanciato il “compromesso storico”, al congresso del Pcus, il partito comunista sovietico, ribadiva la la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Superiore negli anni di Breznev? Mah.
E la “questione morale” come scudo?. Morale di chi riceveva e gestiva non solo le tangenti pretese da Eni e Finsider dal Pcus e depositate in Svizzera, ma anche oro, pelli, e perfino dollari, in mazzette? Onesto a suo modo: nel 1984, poco prima della morte, a Minoli che in tv gli chiedeva quale era la personalità internazionale che più ammirava rispose: Janos Kadar, il capo del partito e del governo ungherese che aveva rovesciato con i russi al rivolta del 1956. Uno che chiuse il partito, piuttosto che farlo socialista, in “deriva solipsistica” (Piero Fassino), con la sempre incresciosa “autoconsolatoria riaffermazione di diversità” (id). Maneggiato peraltro da Tonino Tatò, un filibustiere politico, la quinta colonna “democristiana” al suo fianco.
Per quale motivo Miriam Mafai, buona comunista da una vita, chiedeva di “Dimenticare Berlinguer”, nel 1996? “Col passare degli anni quella opzione strategica (il “compromesso storico”, n.d.r.) appare sempre più chiaramente come uno dei fattori – se non addirittura come una delle cause principali – della difficoltà della sinistra italiana, e della crisi politica e  istituzionale che ancora travaglia il nostro Paese”.
Un film “con il contributo della presidenza del consiglio dei ministri” - nel 2025? Prodotto dalla Fondazione Cespe, che dunque ancora esiste - la creazione di Eugenio Peggio (quanti problemi con Enrico...).
Farina, “sociologo e saggista”, che “nel 2009, a vent’anni, crea enricocoberlinguer.it, il primo sito web su Enrico Berlinguer”, è anche autore con Bianca Berlinguer di un “Per Enrico, per esempio. L’eredità politica di Enrico Berlinguer”. Qual è? Ma gli autori vanno a passo di marcia, “Enrico Berlinguer continua ad essere il leader politico più amato della storia repubblicana”, e si risparmiano la risposta.
Pierpaolo Farina, Berlinguer. A Love Story

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