Cerca nel blog

lunedì 16 giugno 2025

Russia sconosciuta e incompresa

“Se c’è al mondo un Paese che è, per gli altri paesi distanti o confinanti con esso, più sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile di tutti gli altri, questo Paese è indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali”. Parte pimpante Dostoevskij, emergendo a San Pietroburgo dal confino militare a Semipalatinsk, da poco finita la guerra di Crimea, tre anni di stereotipi antirussi in Francia e in Inghilterra, che però non ebbero niente come “I racconti di Sebastopoli”, come Tolstoj, in questo saggio che doveva aprire una lunga riflessione sulla Russia e inaugurava nel 1861 la rivista “Vremja” ideata e editata col fratello Michail. Anche arrabbiato: “Essi anche tra di loro non si conoscono bene del tutto”. Il che è pure vero un secolo e mezzo dopo. Ma senza acredine, le nazionalità sono diversissime in Europa. E sono cattive in epoca di nazionalismi, esclusive e ostili: “L’idea dell’umanità universale sempre si cancella fra di loro”.
Sarà un tema costante in Dostoevskij, la misconoscenza della Russia in Europa. Lo riprenderà in più passi del “Diario di uno scrittore”. Estate 1876: “Per l’Europa la Russia rappresenta un dubbio, ogni sua azione rappresenta un dubbio, e così sarà fino alla fine”. Non perplessità, è disprezzo, aggiungerà a gennaio del 1877: “Grattate, dicono, un russo e vedrete il tartaro”. E aggiunge: “E intanto, noi non possiamo in nessun modo rinunciare all’Europa. L’Europa è la nostra seconda patria, io per pimo con passione lo confesso e l’ho sempre confessato. L’Europa ci è quasi cara come la Russia”. Qui contesta l’immagine che della Russia viene data in conseguenza della guerra – che non cita. Anche in campo militare: “Da dove avete appreso che noi siamo dei fanatici, cioè che il nostro soldato è mosso dal fanatismo… Se c’è al mondo un essere che non è affatto partecipe di alcun fanatismo, questo è proprio il soldato russo”.
Seguono pagine divertenti sui “viaggiatori” e “specialisti” europei al soccorso della Russia, nonché sui ciabattini e altri in cerca di lavoro. Specie i tedeschi – i ciabattini dettano legge, i dotti si fanno carriere catalogando moscerini, oppure “prendono la ‘Russiada’ di Cheraskov e la traducono in sanscrito”, un dotto tedesco sa bene il sanscrito. Particolarmente incapaci di capire i russi sono i tedeschi, che sono anche quelli che in più gran numero affluiscono in Russia, ma tutti, dal ciabattino al ciambellano, invariabilmente invasi da un senso di superiorità
Molte le amenità anche sui francesi, che sanno già tutto, non hanno bisogno di imparare. Molto poi è dell’animo russo, “popolare”, boiardi e servi, niente classismo. Specie nella letteratura, con molto Gogol’ – che ora si vuole ucraino (quale era, ma ora quasi antirusso) e Lermontov. Incidentalmente Tolstoj, come Autore Supremo, e infine Puškin, un cenno. “Qual boiardi qui! ... In tutti i nostri ceti ci sono più punti di contatto che di separazione…. Ogni russo è anzitutto un russo e quindi già appartiene a una certa classe”.
Con un lungo appello, pagato un tributo al nuovo zar, Alessandro II, all’alfabetizzazione obbligatoria.
Nella pubblicistica di Dostoevskij il nazionalismo mancava – perlomeno del Dostoevskij conosciuto, questa è la prima traduzione italiana. Non trinariciuto, anzi con una vena di humour, e molta conoscenza di mondo.   
A cura e con la traduzione di Lucio Coco, lo studioso della religiosità russa. Che ha corredato il testo di molte - necessarie, informative - note. Con l’originale a fronte.

Fëdor Dostoevskij, Russia, Aragno, pp. 188 €18

Nessun commento: