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I baroni coldiretti
Lo storico ritorna sullo studio
dei suoi esordi, che è anche il testo ormai canonico del Cinquecento di Napoli,
“Economia e Società nella Calabria del Cinquecento” (che ha avuto quattro
riedizioni, dal 1965 al 1995, di cui tre con parziale rifacimento), ridefinendo
alcune polemiche insorte successivamente. Specie sulla “rifeudalizzazione” al
tempo della prima monarchia spagnola del viceré De Toledo, e poi con i
successori.
Una storia che ha come tema la
Calabria ma si svolge per pratiche e normative che interessavano tutto il Regno,
tutto il Meridione. E un approccio, sulla rifeudalizzazione, che trova la conferma
ancora nella realtà della Calabria postbellica, a metà Novecento, quando le
riforme agrarie frantumarono marchesati e baronie, la cosiddetta “rifeudalizzazione”
consistendo nella moltiplicazione dei titoli baronali, una forma di
rimpinguamento dell’erario, mentre il vecchio come il neo barone si configura come
un proprietario terriero, a contatto quotidiano con fittavoli o braccianti, con
più o meno sagacia o fortuna – niente di più dell’odierno “coltivatore diretto”.
La feudalità è tutt’altra cosa – ed è, si direbbe a occhio, quella che è mancata
alla Calabria: una cornice di diritto, sia pure oppressiva, con debiti e non
solo crediti – storici, sociali, di classe.
Una trattazione piena di cose, oltre
che di polemiche accademiche più o meno scoperte. Galasso sarà stato uno dei pochi
storici che nel secondo Novecento hanno voluto e saputo frugare fra realtà vive
e documenti, non limitandosi, anzi escludendoli programmaticamente, ai facili paraocchi
ideologi, alle storie delle formule vuote.
Giuseppe Galasso, La Calabria
spagnola, Rubbettino, p. 238 € 12
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