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I Sei Giorni degli ayatollah
Non è detto che questa guerra duri Sei Giorni, come nel 1967, ma l’effetto
è già lo stesso. Israele non ha distrutto l’aviazione iraniana, missili compresi,
a terra, ma ne ha decapitato i comandi. Anche le giornate sono le stesse,
allora 5-11 giugno. E l’effetto politico: Nasser durò ancora tre anni, cioè
fino alla morte, nel 1970, ma il nasserismo finì con la guerra. Allora come oggi
l’appoggio russo si rivela inefficace – e la Cina è, e si vuole, distante.
Quanto dureranno gli ayatollah al dominio dell’Iran è problema minore –
il Medio Oriente non ha movimenti politici organizzati. Ma, mentre Nasser significava
molte cose popolari, la modernizzazione, un po’di socialismo, molto panarabismo,
con le quali aveva segnato il risorgimento del mod arabo, gli ayatollah si sono
ostracizzati tutti i vicini: Iraq, Siria, Libano, Afghanistan, lo stesso Yemen e
i potentati della penisola arabica, l’Egitto e il Maghreb (l’Algeria farebbe un
funerale di tutto il khomeinismo). La loro unica causa è l’islamismo, sharia
e jihad, col quale hanno solo alimentato morti, a milioni, e odio. Il loro
stesso Paese, antico, civile e di grande cultura, hanno violentato in tutti i modi, con la censura,
le impiccagioni, il carcere, la proibizione di pensare – e gli assassini mirati (uno ache a Roma, Hossein
Naghdi). Non reggeranno alla guerra.
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