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domenica 24 marzo 2013

Il mondo com'è (131)

astolfo

Autocritica – C’era, afflittiva, nel sovietismo regnante, non c’è più oggi. Sembra una liberazione, e invece era una pratica tutto sommato sana: oggi che è scomparsa sarebbe necessaria.
Si prenda la riforma delle pensioni. Pietro Ichino giustificava qualche mese fa il suo malaugurato passaggio nelle file di Monti scrivendone così sul “Corriere della sera”: “Per decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito, finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto”. Bene. Male: “Nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle pensioni necessaria. Ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè ai nostri figli e non a noi stessi. Il governo Monti, appena costituito, ha dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i governi precedenti nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti”. Ichino tace che quello che Monti-Fornero hanno fatto nel 2012 era stato proposto nel 1994. Da un governo che il presidente Scalfaro, la Cgil, Ichino e altri mandarono a casa per questo con vergogna.  E insinua che la riforma Dini delle pensioni nel 1995 fu una vera riforma, mentre sa che non risolse nulla. Ma soprattutto evita di ricordare le manifestazioni di milioni di persone, da lui patrocinate e organizzate dalla Cgil (decine di treni speciali, migliaia di pullmann), contro lo “scalone” di Maroni dieci anni fa, nel 2004 – una delle prime cose che il governo Prodi cancellò nel 2006.
Pensare che senza questa “volontà popolare” non avremmo avuto la recessione, i debiti, i licenziamenti, fa venire le vertigini. Ma il professore ha dimenticato.

Censura cosmica – Avviene di non poter riutilizzare un file, se si sta scrivendo in costanza di connessione internet, con il seguente avviso di word: “Impossibile aprire il file a causa di problemi nel contenuto”. Come se un occhio invisibile controllasse, attraverso alcune parole chiave, quello che stiamo scrivendo. Non è così naturalmente. Ma il senso è quello: troppe parole in libertà nell’etere.
Anche una reazione “stizzita” dell’etere stesso, mai così invaso, non è implausibile.

Informazione – Il modello Cnn, reiterato da Sky tg 24 ogni mezz’ora e da Radio Rai, benemerito in quanto fornisce le informazioni praticamente in diretta, diventa ossessivo e corruttivo.  Senza un filtro critico minimo. Le torri che crollano l’11 settembre, un atto di terrorismo, per quanto spettacolare, diventano un’invasione irresistibile. Così le tante morti in (quasi) diretta, di questo o quel grande personaggio, e le tante scene drammatiche, di delitti o di guerra: l’iterazione della notizia diventa invasiva, e la stessa moltiplicazione delle “grandezze”, e per le menti meno difese, meno critiche, cioè per la massa, sempre e comunque epocali e senza difesa. Il danno psicologico diventa culturale e storico, trasformandosi in un laico destino, povero cioè. La “notizia” diventa per il semplice fatto della ripetizione entusiasmante senza fondamenta o, più spesso, depressiva.
È il motivo per cui la aree e le popolazioni più ricche, prospere e in pace del pianeta, in Europa e nel Nord America, possono pensarsi vittime e diventare aggressive – più spesso contro se stesse.

Intellettuali – Il partito Democratico vi fa ampio ricorso nelle liste elettorali. Dando anche loro, a giornalisti, storici e filosofi, un posto in lista per la sicura elezione. Ma senza “usarli” per i loro saperi specifici, se non per il nome. Giusto per poter vantare: “Abbiamo eletto tanti intellettuali”. Senza però nemmeno più il riflesso propagandistico che c’era negli Indipendenti di Sinistra - Togliatti preferiva collocare gi intellettuali , in genere ex socialisti, tra gli “indipendenti”. Per abitudine.
Molti di essi peraltro sembrano aver operato, retrospettivamente, per prepararsi la chiamata. Il proprio dell’intellettuale è dunque il conformismo. Per un fine nobile naturalmente, ma sempre allineato a una “verità” sulla quale non può – non vuole? non sa? – incidere.

Internet - Nel 1990 la rete non esiste. Nel 1992 le riviste scientifiche rifiutano ricerche di fisica applicata e di matematica che la ipotizzano e la disegnano. Nel 1994 la rete esiste, ma come gioco, e passatempo, specie notturno. Nel 1999 era la stella della speculazione: solo in Italia una quarantina di titoli si vendevano in Borsa che promettevano guadagni fantasmagorici in (Tiscali centuplicò il valore di Borsa al collocamento, e ancora per alcuni mesi dopo). Poi il fenomeno in Borsa s’è sgonfiato. Infine si è rigonfiato, a valori paperoneschi (tiscalineschi?), anche basati su provider e venditori solidi di servizi. Ma nell’insieme la rete appare nell’adolescenza, non solo per il fatto anagrafico. Ha già avuto il suo sogno di libertà (evasione, immaginazione) e sta per entrare nella routine-ananke. Dove si timbra la mattina e la sera, la libertà avendo generato il suo mercato, come tutte le novità, nel quale il ruolo di attrazione (cosmetico) è stato rappresentato dall’informazione.
Adesso si applica alla costruzione di nuovi modelli di partecipazione: le reti invece dei partiti, dei sindacati, dei gruppi di pressione. Che sembrano “naturali”, e semplici. Mentre non sono ancora usciti dai vecchi modelli di partecipazione, solo il veicolo è cambiato – e nemmeno tanto: Grillo usa il comizio alla pari col blog.

Privilegia la scrittura lettura breve, spontanea, non curata, aforistica, apodittica, insensata. E semrpe del tipo “a me mi piace”. I blog sono i corsivi del giornale. “Informati”, moralistici, ironici, quei brevi pezzi che contrappuntano i grandi argomenti. Oggi raggruppati, sul modello americano, in una pagina o in una colonna. La parte vecchia (residuale, inutile) del giornale: serve a puntualizzare, e quindi a spiegare, ma non sposta, plauso e dissenso finiscono lì – non ci sono berlusconiani, è noto, tra i corsivisti dei giornali, nemmeno tra i loro interlocutori.

Moda  - Carlo V, che si ritirerà vent’anni dopo in convento e morirà beghino, si fa ritrarre nel 1534 da Tiziano, il suo “primo pittore”, in leggings colorati, con pantaloncini aderenti da ciclista, benché ancora non elasticizzati, e organo maschile ben disegnato, una sorta di sospensorio. L’imperatore esibisce lo stesso colore per le due gambe, e un colore sobrio, grigio-giallo – allora gli uomini vestivano coloratissimi, a “pezze”: colori diversi, tutti vivaci, per le gambe e le braccia, e anche per le diverse sezioni di gambe e braccia - e questo lo fa un po’ più serio, ma non tanto. Usavano anche molte essenze profumate. E capigliature o copricapi elaborati, anch’essi molto colorati. La moda è diventata femminile tra Sei e Settecento, in una con le femmes savantes (le précieuses ridicules  di Molière) – quando le donne cioè cominciavano a voler dire e operare come gli uomini, fuori casa.

Presidenzialismo – Non si vuole nella costituzione perché già c’è, di fatto? A opera di una parte politica, e a suo vantaggio: gli ex Dc e gli ex Pci trasformisti alleati nel compromesso – per dare un’altra arma a Berlusconi. La costituzione è stata cambiata di fatto in questi vent’anni da Scalfaro in poi. Con l’occupazione permanente delle istituzioni “irresponsabili”, e di nomina di lungo periodo: presidenza della Repubblica, Csm, Consulta – la giustizia politica ne è un’appendice. Sono stati accresciuti anche in modo sostanziale i poteri del presidente della Repubblica, e quelli discrezionali delle magistrature – onuste ancora di Anni Giudiziari, ermellini, e superstipendi non contestabili (le contestatissime retribuzioni parlamentari si agganciano a quella dei presidenti di Cassazione).

astolfo@antiit.eu

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