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sabato 30 marzo 2013

Tedeschi poveri, profondamente ingiusti

In Germania la ricchezza è fortemente sperequata: il 10 per cento più ricco della popolazione ha il 58,2 per cento della ricchezza netta di tutte le famiglie. È il risultato, a sorpresa, dello studio condotto dalla Bundesbank tra settembre 2010 e luglio 2011, su una campione di 3.565 famiglie, sulla consistenza e la natura del patrimonio familiare a fine 2010. La ricchezza media lorda per famiglia viene stimata a 222.200 euro, quella netta (il patrimonio meno i debiti) a 195.200.
Sembra molto ma è un valore ipotetico, avverte lo studio: la ricchezza nazionale divisa per il numero delle famiglie è un indicazione statistica di scarso senso. Un valore di riferimento più veritiero è la mediana, la ricchezza cioè posseduta, o non posseduta, dalla metà della popolazione. Questo valore è molto più basso: la ricchezza mediana lorda si situa a 67.900 euro, quella netta a 51.400. Non è un fatto eccezionale, avverte lo studio: i valori mediani solitamente sono molto inferiori a quelli medi, e la distribuzione della ricchezza (il reddito accumulato nel tempo) è solitamente distribuita meno equamente che il reddito annuo. Il fatto inatteso è che ben il 73 per cento delle famiglie tedesche hanno una ricchezza media al di sotto della mediana.
Lo studio arriva a questa conclusione anche applicando l’indice Gini, il metodo statistico di calcolo riconosciuto della distribuzione della ricchezza, che pone a 0 una distribuzione “perfettamente eguale” e a 100 una distribuzione “perfettamente ineguale” della ricchezza. Il coefficiente Gini per la distribuzione del reddito in Germania è risultato pari a 42,8, quello della ricchezza lorda a 71,3, quello della ricchezza netta a 75,8. Un 10 per cento delle famiglie è peraltro risultato all’indagine campionaria possedere il 55,7 per cento della ricchezza lorda, e il 59,2 per cento della ricchezza netta totale.
Il risultato è sorprendente perché la distribuzione della ricchezza non è in realtà comparativamente più sperequata in Germania rispetto agli altri paesi europei. Anzi, secondo Eurostat, che compila periodicamente quadri comparativi, è relativamente più giusta – l’ultima elaborazione Eurostat è del 2008, ma non è pensabile che la situazione si sia deteriorata in due anni). L’indice Gini Eurostat 2008 vede il coefficiente tedesco a quota 29,1, il più basso fra i grandi paesi europei – la Francia era a 29,8, l’Italia a 31,5, la Spagna a 32,3, la Gran Bretagna 32,4.
Nuova politica del debito?
Sia il valore medio che quello mediano si collocano però indubbiamente, nota lo studio, al di sotto della media europea, degli altri “grandi paesi dell’area dell’euro con i quali i dati sono comparabili”. Una differenza da prendere con riserva: “La ricchezza privata delle famiglie offre una prospettiva limitata degli standard di vita o della ricchezza di una società. Specialmente nelle comparazioni internazionali. Altri settori, per esempio, lo Stato, possono influenzare la ricchezza delle famiglie, positivamente o negativamente”. E tuttavia, in fatto di patrimonio, quello delle famiglie tedesche è inferiore a quello delle altre grandi economia dell’euro, per la scarsa diffusione della proprietà immobiliare. Solo il 44,2 per cento delle famiglie tedesche possiede una casa (il 33,7 per cento nella Germania dell’est) contro il 58 per cento dei francesi, il 69 degli italiani e l’83 per cento degli spagnoli (una caratteristica “nazionale”: anche in Austria possiede la propria casa solo il 48 per cento delle famiglie, in Svizzera il 40). E solo un 18 per cento delle famiglie tedesche ha investito in immobili non di residenza.
L’indice Bundesbank non tiene in conto le pensioni – solo quelle private. E questo è un fattore esplicito di distorsione. E c’è forse nello studio il frequente paradosso della Germania che si vuole povera, mal governata, sfruttata, etc, una sorta di sport nazionale a denigrarsi-per-commiserarsi. Ma ci potrebbe anche essere l’accettazione surrettizia – un inizio di accettazione – della posizione italiana sui fondamenti della contabilità monetaria. La chiave è nella spiegazione del significato “economico” della ricerca: “Facilitare, tra l’altro, una migliore valutazione degli effetti della politica monetaria o della stabilità del sistema finanziario”.
Un patrimonio solido dà più garanzie. Il patrimonio viene in considerazione tanto quanto il reddito nel giudizio sulla sostenibilità di un debito, sia esso aziendale o nazionale. Sulla capacità di fare fronte agli oneri del debito. È la posizione che il governo italiano ha tentato di far valere in sede Ue negli anni 2010 e 2011, su input della Banca d’Italia di Mario Draghi. Allora inutilmente. Ora forse qualcosa cambia.
La conclusione dello studio è ambigua. Anche perché vi si parla di banche centrali nazionali come se ancora ce ne fossero nell’euro, mentre c’è una Banca centrale europea. Ma dà corpo alla teoria che il governo di Angela Merkel, e la Bundesbank che ne è emanazione diretta, lavorano, nella loro intransigenza fiscale, che pure tanti lutti ha provocato e sta provocando in Italia e in Europa, a tenere sotto controllo un’opinione pubblica ferocemente sciovinista e razzista, se non a domarla.
Bundesbank, Private Haushalte und Ihre Finanzen (Households and their finances), bilingue, online

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