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domenica 12 ottobre 2014

Ci furono una volta le riforme, col centro-sinistra

Una rara storia del vero centro-sinistra, che rinnovò l’Italia - rimosso totalmente dalle storie canoniche della Repubblica, di Ginsborg, Ridolfi et al. Anche questa riduttiva, specie nelle “riflessioni sul caso italiano” di Marchi, “Centro-sinistra” e storia nazionale”. Ma, se non altro, un bilancio se ne propone, e non la semplice cancellazione.
Le riforme sono possibili in Italia, poiché furono fatte. Radicali anche, smontavano interessi solidi. Nel primo centro-sinistra, benché avversato con asprezza, fino a un progetto di colpo di Stato, e tuttavia politicamente accettate. In una stagione in cui la politica non era ancora plebiscitaria, degli uomini della provvidenza, e nemmeno giornalistica, con gli equivoci interessi proprietari dell’editoria - era quella un’epoca in cui l’opinione pubblica si formava nel dibattito e non nello scandalismo, era articolata e non confusa. Non costretta. Senza cioè la minaccia costante della crisi, necessaria oggi per ogni legge, sia pure quella sul diametro dell’uovo, o del “vincolo esterno”. I partiti erano in grado di elaborare e attuare la politica. All’epoca, negli anni 1960, non era ancora invalso il potere di nuocere degli interessi costituiti. Attraverso i poteri enormi poi attribuiti alle commissioni, dove tutto si può ri-governare o insabbiare. E in aula attraverso l’ostruzionismo. 
Moro chiede il permesso ai vescovi
Marchi fa indossare il centro-sinistra a Aldo Moro, fra il congresso Dc di Firenze dell’autunno 1959 e quello di Napoli di fine gennaio-inizio febbraio 1962. Cancella Fanfani, che vi ebbe un ruolo decisivo. Cancella i socialisti, salvo registrane la divisione nel 1963. Dichiara morto il centro-sinistra nel 1964, mentre durò ancora otto anni, col varo infine del Sistema Sanitario Nazionale, dello Statuto dei Lavoratori, e del nuovo diritto di famiglia – che i due referendum sul divorzio e l’aborto sanciranno definitivamente. Strano modo di fare la storia politica. Col santino di Moro: “Moro è un attento osservatore di ciò che accade nel mondo comunista ed è consapevole della criticità di un centro sinistra che a priori escluda l’ipotesi di qualsiasi genere di collaborazione con il Pci”. Nel 1962? Ma, se non altro, Marchi accetta che il centro-sinistra sia esistito. E individua nella storia della Repubblica un punto di svolta: l’esaurirsi della “supplenza delle gerarchie ecclesiastiche” su cui avevano infine puntato gli angloamericani, essendosi dimostrato inconsistente il vecchio ceto liberale, per stabilizzare l’Italia dopo Mussolini, la sconfitta e la guerra civile.
La stagione delle riforme era partita prima, nel 1958, a opera di Fanfani. Con una serie di novità dirompenti: la scuola media unificata, il piano Verde (finanziamento della piccola proprietà e i nuovi patti agrari, il piano Casa (edilizia popolare), le Regioni, la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la programmazione dell’economia, la normativa urbanistica. Nel 1964 Moro aveva fatto già molto per annacquarla. Fece anche una crisi di governo – nel mentre che Segni teneva le forza armate in allerta per un possibile golpe, cosa di cui Moro era a conoscenza - per dare fondi alle scuole cattoliche. Ma era comunque, sconfitto Fanfani, finalmente il suo governo, e leggi importanti dovette avallare. Tra le tante una curiosità: il grandissimo parco dell’Appio-Tuscolano a Roma, decretato da Giacomo Mancini, ministro socialista dei Lavorii pubblici, di cui oggi si discutte se realizzarlo o no... (ma intanto nell’area non si è costruito).
La timida apertura a sinistra di Fanfani nel 1958 col bicolore Dc-Saragat suscitò una forte reazione della destra Dc, capeggiata da Segni. Fanfani dovette cedere il posto allo stesso Segni, cui succedette  Tambroni – che questo fascicolo dimentica. L’avventatezza di Tambroni portò all’autosconfitta della destra. Ma bisognò aspettare fine 1962 per il primo governo sostenuto in Parlamento dal Psi, a guida Fanfani. Dopo un monocolore Fanfani di decantamento, centrista, con l’astensione del Psi. Erano gli anni di Giovani XXIII, ma Moro interpellò nel 1962 i vescovi a uno a uno, il futuro papa Montini si disse molto preoccupato. Moro aveva proposto già al congresso Dc del 1959, 24-29 ottobre, un accordo in prospettiva con i socialisti, ma senza crederci, in chiave antifanfaniana. E senza recidere i suoi rapporti con l’area moderata che lo esprimeva. Dopo il congresso di Napoli che sancì l’apertura, fece eleggere Segni presidente della Repubblica.
L’Europa si adegua
Sul piano internazionale altre novità sono da registrare. Che il fascicolo contestualizza in numerosi saggi di storici europei. Giovanni Bernardini, “Il primo centro-sinistra italiano nell’epoca del «riformismo» europeo”, collega la riforma politica italiana a quella britannica e a quella tedesca. Avrebbe potuto fare di più, dopo aver rimarcato “il diradarsi del clima plumbeo della Guerra Fredda”.  È in Italia, a opera di Fanfani e Nenni, che si rimuove la pregiudiziale antisocialista, o\e i timori americani, mettendo a frutto dal 1961 anche l’apertura di credito, per quanto cauta, dell’amministrazione Kennedy. È dopo l’esperienza italiana che  il laburismo andò al governo a Londra nel 1964 con Harold Wilson, e nel 1966 si formò a Bonn la prima Grande Coalizione, con Brandt vice-cancelliere. Quello italiano fu un forte, malgrado la neghittosità di Aldo Moro, e importante riformismo, del diritto familiare e civile, del diritto al lavoro, alla salute, alla retribuzione, all’ambiente, alle pari opportunità. Nonché di rilancio del boom, con la linea Carli-Lombardi – prima che Carli non si spostasse anch’egli a destra, diviso tra Colombo e Andreotti, per una politica di deflazione..
Ad agosto del 1971 Rumor deve cedere il posto a Colombo, con una maggioranza di centro-sinistra, ma con la linea Carli-Colombo accentuata. A fine 1971 Andreotti fa eleggere Leone al Quirinale. Che scioglie le Camere. Alle elezioni vince la destra. Andreotti governa dapprima con la destra scissionista del Msi. Poi col compromesso storico, cui imporrà la grande bonaccia. Ci saranno ancora delle novità con Craxi, 1983-87. Con “i meravigliosi anni Ottanta” (Dario Di Vico, “Piccoli”, pp. 160-161), segnati da innovazione e mobilità sociale, “quando non era reato confrontare Milano con Londra”. E la Dc passa dal “tintinnar di sciabole” (Segni, 1963) al “tintinnar di manette” (Scalfaro, 1992).
C’è una vasta rimozione, determinata, nella storia della Repubblica, e riguarda una formula e una politica, il Centro-sinistra. Che è tornata sui giornali ma per dire tutt’altra cosa. Storicamente non si potrà fare che il Centro-sinistra non sia quello del 1958. Per almeno tre motivi: 1) ha rinnovato la politica italiana, 2) ha rinnovato l’Italia, 3) è l’ultimo (l’unico) periodo di riforme in Italia, malgrado tutto. Malgrado i dorotei di Segni e Moro, cioè, malgrado Gronchi, Tambroni e Andreotti, le bombe e, infine, il terrorismo. C’è molto da contestualizzare.
Giovanni Bernardini-Michele Marchi (a cura di), A cinquant’anni dal primo centro-sinistra: un bilancio nel contesto internazionale, “Ricerche di storia politica”, 2\2014, Il Mulino, pp. 131-290 € 26,50

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