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sabato 18 ottobre 2014

L’Italia che se ne va

La Fondazione Migrantes della Cei ha censito un’emigrazione in forte crescita nel 2013, del 16 o qualcosa per cento, esattamente di 94.126 italiani. E ha lanciato un grido d’allarma, ma senza dire la verità.
Gli italiani scappano sempre “in cerca di lavoro” secondo i vescovi. Se non che il lavoro non c’è in Germania, Gran Bretagna, Olanda, che la Cei presume luoghi privilegiati di questa nuova migrazione. La quale invece, indagata da presso, anche se purtroppo non con l’ausilio della statistiche sociali, infangate nel pauperismo vecchia maniera, evidenzia un altro dato.
La maggior parte sono cambi di residenza ai fini fiscali. L’Inps già paga mezzo milione di pensioni all’estero. Una cifra che i pensionati delle casse autonome, ingegneri, giornalisti, medici, etc., incrementano di almeno un decimo.  Il cambio di residenza è automatico in Europa con gli accordi di Schengen, e quasi automatico in paesi viciniori quali la Svizzera e la Tunisia, o i paesi latinoamericani della doppia cittadinanza.
La residenza all’estero consente quasi ovunque una tassazione Irpef ridotta – quasi ovunque dimezzata – rispetto all’Italia. E molti benefici collaterali. La Germania, malgrado il clima, è meta ambita perché le case costano un quarto, anche un quinto, rispetto all’Italia. La Svizzera perché il costo della vita è la metà rispetto a Milano – provare per credere. I benefici sono enormi, e di ogni genere (tassazione, costo della vita, costi sanitari) in paesi come la Bulgaria o la Tunisia.
Il bisogno è cambiato. L’emigrazione anche. Solo il punto di vista è immobile, e questo è quello che accascia l’Italia, la mancanza di verità - che la sua parte non migliore (ignorante, retrograda, ipocrita) si possa pretendere la migliore: se una cosa non è male non è.
In aggiunta ai pensionati, il grosso dell’emigrazione è di tre tipi, molto moderni. Di imprenditori piccoli e piccolissimi che lavorano meglio fuori, e degli ingegneri, tecnici, consulenti, che seguono da dentro o da vicino le tantissime fabbriche italiane sparse per il mondo – l’industria italiana è la più multinazionalizzata, centinaia di aziende hanno in Italia solo la sede e le fabbriche altrove. Poi c’è l’emigrazione intellettuale, di ricercatori che l’Italia ancora forma in gran numero, a differenza di Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svezia, che quindi volentieri se li accaparrano. E c’è ancora – ma ora sempre più controllata dai paesi di destinazione – chi emigra, specie giovani, in Olanda, Germania, Danimarca, Svezia, per i sussidi sociali, semplici e abbondanti.

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