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martedì 14 ottobre 2014

La “linea” del petrolio a 100 dollari

È come se fossimo da quindici anni, il terzo millennio, in una storia da fantascienza: mercati inquieti e borse in calo perché il prezzo del petrolio scende, da 100 a 88 dollari il barile. Alla domanda in calo non fa seguito un taglio delle forniture e il prezzo potrebbe anche scendere a 86 euro, i mercati finanziari tremano, il mondo sta col fiato sospeso. Dove sembra di sognare, come in ogni storia di fantascienza: il problema reale è la domanda in calo, anche per effetto del prezzo alto del petrolio, e non il calo del prezzo, che resta sempre troppo alto.
Che il petrolio a 88 dollari al barile susciti allarme non è una bugia, ma l’indice di uno stato folle dell’economia, e di un’indigenza impensabile dell’informazione. Perché dire 88 dollari a barile un prezzo troppo basso è una bugia enorme. Assurda anche, benché non contestata da quasi un ventennio – e qui c’entra l’informazione. Nessun fattore economico giustifica il petrolio a 100 dollari al barile, nemmeno a 88. Nemmeno a 8.
A 75 dollari è la soglia della convenienza dello shale gas nordamericano, e questa è tutta la verità della storia. Compresa l’alleanza di fatto, ma anche di stretto vincolo politico, se non di diritto, tra gli Usa e l’Arabia Saudita. Che tanti lutti ci sta arrecando. In Africa e nel Medio Oriente, oltre che per la benzina e il riscaldamento. 
Il conto economico del barile è presto fatto – anche se le compagnie pretendono che non si possa fare, con esattezza. Le riserve si sono enormemente accresciute rispetto alla crisi di quarant’anni fa, nell’Asia al di fuori del Medio Oriente, e in Africa al di fuori del Nord Africa. Di greggio e di gas naturale. La produzione pure. Non ci sono mai state crisi di approvvigionamento nei tanti, troppi, eventi di questi venti anni che hanno ristretto l’offerta: l’embargo sul petrolio iraniano e su quello iracheno, le guerre in Iraq e in Libia, la guerriglia nell’Est della Nigeria, il crollo del nucleare. Né per l’accresciuta domanda di grandi consumatori di energia, quali la Cina, soprattutto, il Brasile e l’India. Il costo a barile è stimato in 8-10 dollari, al più, nelle zone di ricerca e produzione più difficili: l’Alaska, i giacimenti ad elevate profondità (seimila metri), e alcun zone del Mare del Nord. Va su 1-2 dollari nel Medio Oriente, eccetto alcune zone dell’Iran, e il Nord Africa.
L’economia del petrolio ha subito uno stravolgimento nell’ultimo ventennio. Il barile a 100 dollari è un artificio. Una razzia continua, a favore degli azionisti delle compagnie petrolifere (fondi pensione, fondi d’investimento, hedge fund, in Italia lo Stato, etc.). Delle finanze dei paesi produttori, in primo luogo i principati della penisola arabica, coi loro fittizi superboom - fittizi: costruiti sulla sabbia. Del settore dell’energia in Nord America, che può rendere coltivabili i costosi giacimenti di scisti bituminosi – con problemi ambientali non minori e anzi gravi, seppure non rilevati dall’opinione più avvertita, a cominciare dall’amministrazione Obama. Nonché di Putin, di cui il barile carissimo è la vera forza, anche con le sanzioni.
Un “miracolo”, se non si vuole dirlo una follia. Tenuto su restringendo l’offerta. Meglio: minacciando di restringerla. Poiché l’offerta, seppure già ristretta, è ancora eccedentaria sulla domanda. Minacciando bombardamenti, fondamentalismi, teste mozzate, guerre civili, e la dissipazione dell’ambiente.
Naturalmente non è così, naturalmente ci sono errori nella storia, ma tutto combacia a quel prezzo e sotto quel prezzo: la guerra continua nel Medio Oriente e in Nord Africa in questo millennio, avviata dagli Stati Uniti di Bush jr., l’uomo del petrolio, dei potentati arabi e del Texas, è l’unica base per il barile a 100 dollari. Tanto più tenuto conto che le forze eversive nelle stesse aree sono state e sono ispirate, finanziate e armate dagli stessi Stati Uniti e dai loro vassalli della penisola arabica.
L’assurdo bombardamento dell’Afghanistan dopo l’11 settembre, con l’occupazione dello stesso – per poi restituirlo ai talebani. La guerra all’Irak, che Saddam bene o male governava, per arsenali nucleari che non aveva, e arsenali chimici forniti dagli Usa e la Nato, per poi lasciarlo ingovernabile. La guerra alla Libia, che bene o male Gheddafi governava, in difesa dei diritti civili di bande di terroristi che da allora spadroneggiano. La guerra per la democrazia in Siria con l’Isis. Ora la guerra all’Isis. Una sola “linea” c’è, quella del barile a 100 dollari.

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