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venerdì 6 marzo 2015

L’artista, trinitario scaleno

L’autore è creatore. L’analogia non è nuova, ma l’autore di Dorothy Sayers è anche trinitario, e spiega la Trinità, il mistero dei misteri religiosi: una triade governa il processo creativo, Idea, Energia (la carica creativa) e Potere (la capacità di modellare). Non impersuasivo, e per di più divertente.
“Suppongo che di tutti i dogmi cristiani la dottrina della Trinità goda la peggiore reputazione di oscurità e lontananza dall’esperienza comune”, la scrittrice non bara. Con “l’effetto per chi la contempla di cecità, per assenza o per eccesso di luce”. Ma questo è quello che si propone, di “dimostrare” la Trinità. Non solo in Dio ma anche nello scrittore – che fa Dio.
Un saggio fuori tempo, fuori misura anche – sicuramente fuori dalla speditezza di lord Wimsey, il gentleman per caso detective per cui Sayers è famosa. Ma divertente, seppure non facile. E ad ogni piega vero, seppure paradossale. È anche tortuoso, ma si vorrebbe non averlo finito. Per l’assunto bislacco, e per le tante scoperte – riconoscimenti, ritrovamenti.
Non è un divertimento. La Trinità Sayers affronta da conoscitrice della materia, figlia di pastore. Dal credo di sant’Attanasio alla Theologia Britannica, la Theologia Germanica, sant’Agostino naturalmente, san Tommaso d’Aquino, e i molti aristotelici di Oxford. Dove si laureò in lingue e letterature medievali – nel 1913 una donna non poteva laurearsi, il titolo le fu riconosciuto dopo la guerra. Ragazza madre, poi sposata a un divorziato, Atherton Fleming, un giornalista, femminista, insegnante (anche in Normandia), pubblicitaria (accreditata di slogan ancora famosi), drammaturga, filologa (tradusse la “Divina Commedia”, “la mia cosa migliore”, con tre volumi di “dantesca”), pedagoga (il suo manuale “The Lost Tools of Learning”, 1947, è stato a lungo libro di testo negli Usa), un’attività non smise mai: la controversia religiosa. Elisa Grimi, “The Dragon Lady”,  la ricorda combattiva al Socratic Club di Oxford ancora nel 1948, in una celebre contesa con Elizabeth Anscombe attorno a “Miracoli”, il trattato filosofico con cui C.S. Lewis, filosofo in cattedra e presidente del Club, intendeva consacrarsi – una contesa al termine della quale Lewis abbandonerà di colpo la filosofia per buttarsi nella fantasy, con le “Cronache di Narnia”, l’Harry Potter degli anni 1950. Ma è anche un divertimento.
Niente beghinismo. “Dio è misterioso”, esordisce, “e così, per quel che vale, è l’universo, e ogni altro uomo e ogni altro sé, e la biscia sul viottolo in giardino; ma nessuno di questi è così misterioso da corrispondere a niente nell’umana conoscenza”. Si usa far discendere da Dio tutte le cose. Dorothy Sayers vuole fare il cammino inverso: ascendere a Dio, anzi al Dio più misterioso, della Trinità, attraverso il suo lavoro. Di scrittrice. Quindi creatrice, anche lei. Sfidando il giapponese della barzelletta: “Onorevole Padre, benissimo. Onorevole Figlio, benissimo. Ma Onorevole Uccello non lo capisco”.
Lo fa per analogia. Stabilito preliminarmente che tutta la conoscenza, di Dio e dell’ultimo essere, dell’ultima parola, è analogica: Dio si conosce per analogia, il linguaggio è analogico. Non però un archetipo platonico: la Trinità è qualcosa derivata dall’esperienza. Di autore: “L’esperienza dell’artista prova che la dottrina trinitaria dell’Idea, Energia, Potere è, piuttosto alla lettera, cosa intende essere: una dottrina della Mente Creativa”. Idea, Energia, Potere è il processo creativo quale Sayers  individua d’acchito. Tre categorie – momenti della creazione - arbitrarie e fattuali. Come le tre unità drammatiche di Aristotele, che sono “affermazioni di fatti”  non “editti arbitrari”. In compagnia di molti ricostituenti exempla.
Analogamente, se l’autore è Dio, Dio è lo scrittore. L’analogia si realizza in forma di autobiografia. Nella creazione Dio scrive la sua autobiografia. E come l’autobiografia (lo scrittore non può darci due autobiografie, non può cioè mostrarsi come due persone con due vite differenti), la creazione è unica. Potere, power, ha in inglese connotazione simile all’Energia, e in italiano all’organizzazione politica e sociale, ma qui è la capacità di rileggersi (analizzarsi, emendarsi) e di comunicare agli altri.
Tutto-padre e tutto-figlio
Unica avvertenza: la Trinità dello scrittore è “scalena”: “La co-parità della Trinità Divina è rappresentata in pitture e negli emblemi massonici come un triangolo equilatero; ma la trinità dello scrittore è raramente altro che scalena, e talvolta è fantasticamente irregolare”. Con l’avvertenza, per di pi più, del “Credo” di sant’Attanasio – di cui fa molto caso, a partire dall’esergo: “Un Padre, non tre padri; un Figlio, non tre figli; uno Spirito Santo, non tre spiriti santi”. Che detto della divinità sembra strano, ma dell’autore no. Il tutto-padre è quello che con l’Idea ha già risolto – a volte è anche un critico, l’ “erudito secco-come-polvere”, a volte quello famoso che “ha l’idea più meravigliosa di un libro, se solo avesse il tempo di sedersi e scriverlo”. Un patripassiano. E così il tutto-figlio, che si riempie di se stesso (Swinburne, gli eufuisti, “Meredith al suo peggio”, in parte Joyce, “la verbosità attaccapanni”, con due pagine di Anna Livia Plurabelle e il Liffey, il fiume, che a Dublino chiamano anche Anna Liffey…).
Un trattatello ricco di umori, e di intelligenza critica. A partire dalla “lettura” della nostra ricezione. Di “Amleto” che “sappiamo a memoria”, e delle novità. Non per altro, per “il potere di associazione delle parole”. L’analogia con la creazione artistica è deliziosa. Fluida, magnetica. Molto fattuale peraltro: è come il paradiso del Dio dei teologi, “immanente e trascendente”.
L’analogia accompagna di persuasive verità, in forma di linguaggio corrente. “L’universo non è un lavoro finito”. E se è un dramma, possiamo recitarlo, anche bene,  senza averlo “letto”, senza sapere di che si tratta – succede agli attori del cinema, e anche del teatro (una famosa attrice lo fece per decenni, Mrs. Pritchard, l’“ispirata idiota” di Jonson). Per il creatore è diverso: la creazione è un “atto d’amore”, e “l’amore è la più crudele delle passioni” – oggi “inflazionata di ogni sorta di associazioni, dalle più banali alle più tremende”, ma anche qui l’analogia aiuta: è anzitutto l’amore di se stessi.
Molto si tratta di teatro, la passione più vera, inappagata, dell’autrice non ne resta nulla, giusto la menzione di alcuni drammi radio per la Bbc sulla vita di Gesù. Con un capitolo sul problem solving o la detective-story. Ma con insorgenze, da conversatrice amabile. Immaginazione è fantasia? “L’immaginazione creativa è la nemica della fantasia, e il suo antidoto”. Il potere della parola è evocativo (T.S.Eliot), associativo (Joyce), trasfigurativo (Sayers – ma comune: un passo non rilevante del suo “Nove Sarti” fa ascendere al Libro di Giobbe, al Libro di Isaia, ai Salmi di David, e a Milton, Keats, Browning, Tennyson, Camile Doyle, T.S.Eliot, Donne, nonché agli angeli del soffitto della chiesa in parrocchia…). E c’è un potere cieco della parola, denso: “Quando Salomone o chi per lui scrisse il “Cantico dei cantici” non intese scrivere un epitalamio del Cristo con la sua chiesa”, e tuttavia. O la fenomenologia: “Cominciamo a sospettare che l’approccio puramente analitico ai fenomeni ci sta portando solo più e più in là nel’abisso della disintegrazione e della casualità”. E se “è vero, come i panteisti dicono, che il creatore è semplicemente la somma di tutte le sue opere”, allora Shakespeare è il tomo con tutte le sue opere?
La teologia alla fine non c’entra – c’è all’inizio per rompere le difese? È giusto un vangelo per autori. Di una messia un po’ caustica. Soprattutto per aver agganciato i lettori fedeli all’amo indigesto della teologia – non siamo tutti laici e anzi agnostici?
Dorothy Sayers, The Mind of the Maker, HarpeOne, pp. 229 € 12

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