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mercoledì 4 marzo 2015

Letture - 206

letterautore

Bloomsbury – È l’eredità di Oscar Wilde, operosa e molto trasgressiva, ma senza scandalo. È un sodalizio di Cambridge, più tardi trasferito a Bloomsbury, a Londra vicino all’università. Di menti solide, Forster, Keynes, Moore. Radicate nella stagione fertile e anticonformista di Cambridge, tra Bertrand Russell, Whitehead, Lytton Strachey, e lo stesso Wittgenstein. E poi a Londra con la fertile e ramificata famiglia degli Stephen, Virginia (Stephen) Woolf e Vanessa (Stephen) Bell. Innovatore presunto delle lettere inglesi, col flusso di coscienza, la psicologia, e la sintassi, nonché la frivolezza esibita. Ma unito al fondo da un decadentismo affettato - da non-decadentismo. E più vero nel taciuto radicamento: che è Wilde, nelle giuste proporzioni, di allusioni senza scandalo. Per l’omosessualità e la licenza intellettuale. E soprattutto privato: di persone e personaggi più repressi, e autorepressi, che liberati.
Si vede alla scrittura. Le migliori (Forster, V.Woolf) sono inattuali, irrecuperabili – datate, deboli. Inerti, se non come divertimento. Tutto, sempre, artefatto, molto. Molto Inghilterra, molto di maniera, con la puzza al naso della non puzza al naso. Moderata e allusiva ma dura, come per l’omosessualità.

Esilio - È sempre una sofferenza, una privazione. La patria ha una sua consistenza, per quanto discutibile. Si vede dagli iraniani emigrati a Parigi, da due scrittrici in particolare, Abnusse Shalmani e Goli Tarachi. Che, benché onorate in Francia, dove hanno ricevuto notorietà e stima, Tarachi a settant’anni, tuttavia vi risiedono  disagio. Anche, anzi specialmente, quando sono oggetto di buona volontà, di disponibilità. È sempre l’afflizione di Ovidio confinato nel Mar Nero. Fatto rivivere da Vintila Horia nel 1960, un altro che alla Francia doveva quasi tutto (compreso il premio Goncourt, che poi lo stalinista Sartre lo costrinse a rifiutare), e Christoph Ransmayr una trentina d’anni dopo.
Diversa l’emigrazione. L’emigrato si integra volentieri. L’elenco è ormai lungo degli immigrati che dopo pochi anni sanno e vogliono esprimersi in italiano: Helga Schneider, Ornela Vorpsi, Helena Janeczek, Amara Lakhous, Younis Tawfik, Talye Selasi, Helene Paraskeva, Christiana de Caldars Brito, e numerosi altri scrittori, soprattutto del Nord Africa e dell’Est Europa, che hanno scelto, come già Edith Bruck,  l’italiano da immigrati recenti. Fino a Jumpha Lahiri, che da autore di successo in inglese negli Usa, ha scelto l’Italia e l’italiano, come spiega nell’emozionante “In altre parole”.

Furto – È il meccanismo principe del mercato dell’arte. Le copie non solo, ma il vero e proprio furto. Specie delle istituzioni museali, grandi ricettatori. Il British Museum ha 3.200 pezzi “di incerta provenienza”, scrive Fabio Cavalera in un agghiacciante reportage sul “Corriere della sera”. E 75 mila monete di “fonte inappropriata”. La storia della turpitudine, se non della criminalità, va riscritta.
Si rubava due volte in guerra: Hitler rubava, inglesi e americani compravano. Le istituzioni non i mercanti.

Germania – La prima controversia nazionale nel Novecento non fu quella famosa tra gli storici venticinque anni fa, nel 1986-7, sul nazismo, ma avvenne cinquant’anni prima , nel 1934, all’interno del regime nazista ma altrettanto furibonda, fra i partigiani della “razza tedesca” e quelli della “razza nordica”. Teorico della prima era Fritz Merkenschlager, biologo, membro del partito nazista e delle Sa, mentre la razza nordica, cui tenevano le SS, era teorizzata da Hans Günther. A Jünger e Carl Schmitt fu chiesto di schierarsi. Merkenschlager, per il quale essi tenevano, perdette la contesa. Fu arrestato e detenuto per tre anni, senza capi d’accusa né condanne – poi liberato per essere arruolato in guerra nella Wehrmacht.

“Metafisica nordica” è titolo nel 1938 di Oskar Becker, filosofo nazista. La teorizzò in forma di critica a “Essere e tempo”, l’opera capitale-rivelatrice dieci anni prima di Martin Heidegger, come non abbastanza fondatrice, di una, appunto, metafisica nordica. Heidegger non obiettò, limitandosi ad aggiungere che i tedeschi sono “un popolo metafisico”.
Becker oggi è dimenticato. Nella sua celebrazione di Gerhard Gentzen, “Il genio perduto della logica”, Eckhart Mentzler-Trott dice Becker en passant di “fisico estremamente delicato, natura quasi timida”. Fu apprezzato nel dopoguerra, professore confermato e poi emerito a Bonn, per aver ammesso di essere stato nazista. Ma era polemico, da quello che racconta poi Mentzler-Trott, non timido: dopo la notte dei Cristalli il 9 novembre del 1938, il pogrom di Stato antiebraico, protestò con la rivista di “Storia della matematica”, con la quale collaborava, perché aveva un redattore ebreo.
Becker è uno che si era laureato nel 1922 con Husserl, che poi sarà radiato dall’insegnamento in quanto ebreo, con la tesi “Esistenza matematica”. Poi assistente di Heidegger, uno dei discepoli mandati in cattedra da Husserl. Infine professore a Bonn.  Nella “Metafisica nordica” oppone il “ricercatore nordico” al mondo magico del “negro del Congo” e “gli uomini produttivi nordici” alla “interpretazione-esistenza del mondo del deserto mediorientale”. Benché apprezzato nel dopoguerra per la dirittura morale, il professor Becker non era molto esplicito.  
Inoltre, benché assistente a lungo di Heidegger, apprezza nello stesso saggio la tecnica che il suo maestro esecrava: “La tecnologia fondata sulla scienza naturale nordica ha conquistato il mondo”. Ma anche Heidegger in quegli anni apprezzava la tecnica (“l’aereo che ha portato Hitler all’incontro con Mussolini fa la storia”, la motorizzazione della Wehrmacht). Tornerà a esecrala dopo la guerra, in quanto yankee.

Joyce – Perché la chiave di “Finnegans Wake” non sarebbe Lucia? Lucia Joyce era psicotica, con James parlavano in una lingua chiusa a loro due. Lo dice Carson McCullers, che di mondi proibiti se n’intende. All’interramento di James Lucia dice: “Ora è sepolto nella terra, e sente tutto quello che si dice. Furbo, no?” Senza ombra d’incesto, è l’amore filiale, una forma di esclusione, e in questo caso un dolore, non un desiderio proibito.

Recensioni – Emmanuel Carrère firma il blurb per il nuovo libro di Marco Missiroli, e Missiroli fa un capolavoro su “Sette” del nuovo libro di Carrère su Gesù e la fede – non si capisce se acquistata o perduta, m questo è irrilevante. Unisce i due la Scuola Holden, è vero.

Talk-show – Usano le interviste agli scrittori sui libri appena pubblicati. Che fanno aumentare le vendite, ma sono spettacolo freddo. Si suppone che qualcuno abbia letto il libro di cui si parla. Se non il conduttore qualcuno per conto suo. Ma non è la stessa cosa. Il libro è stato protagonista in televisione solo con Bernard Pivot e “Apostrophes”, perché Pivot leggeva i libri di cui discorreva, tre e anche quattro a settimana, ne sapeva il senso, il contesto e le sottigliezze, e aveva letto i precedenti libri degli autori che invitava. Non succede lo stesso nei programmi di Rai Tre, di Fazio o Di Gregorio come prima di Augias, o della 7. L’autore famoso, Eco, etc., fa audience ma la trasmissione sarà sempre impacciata e fredda. Ci vuole anche una certa sensibilità: saper parlare di libri non è la stessa cosa che parlare di un film, per esempio, o di un evento sportivo.
Non è una novità. “Ciò che è di grande e disastrosa importanza è la provata incapacità di persone supposte istruite di leggere”, lamentava Dorothy Sayers, la giallista, in un lungo saggio del 1941, “The Mind of the Maker”. E continuava: “È risaputo fra gli insegnanti che una larga percentuale di bocciature deriva dal «non leggere la domanda»”. Per quanto il redattore-collaboratore che propone il libro e prepara la scheda sia stato esauriente e perspicace, il conduttore non può padroneggiare la materia. Peggio ancora: non sa ascoltare, o non può. Che in una conversazione è letale. Succede spesso da Fazio, come succedeva con Biagi, che l’intervistato sollevi parlando un tema o riveli un fatto sorprendente e il conduttore non se ne accorga. Deve calcolare la lunghezza della riposta, introdurre un’interiezione qualsiasi, conteggiare il minutaggio residuo, rimemorizzare la scaletta.
Ma, poi, non è la stessa cosa perché nessuno, nei talk-show televisivi, ha letto il libro di cui si parla.

letterautore@antiit.eu

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