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domenica 11 dicembre 2016

Un popolo di reduci a vent’anni

A distanza dai fatti, nel 1930, Alvaro ricostruisce i suoi entusiasmi di ventenne allo scoppio della guerra, e le delusioni che ne seguirono, sdoppiandosi in due sottotenenti di complemento, due italiani laureati cioè, l’interventista e l’erede di un eroe del Risorgimento, entrambi delusi. Un tardo racconto della guerra – Jünger aveva pubblicato subito “Sulle scogliere di marmo”  e altre narrative di successo, e Malaparte “La rivolta dei santi maledetti”, Hemingway e Remarque ne avevano appena eguagliato il successo, con “Addio alle armi” e “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Ma non c’erano stati prima molti altri romanzi sulla Grande Guerra. Alla fine degli anni Venti, dopo i successi di Remarque e Hemingway, e per i timori insorgenti di una nuova grande guerra, ci fu in Europa e in Italia una serie di nuove narrative sul 1914-18, nota Aldo Maria Morace – Morace, che introduce il volume, e lo correda di una notevolissima bibliografia, del romanzo ha recuperato la versione originale, la Treves del 1930, a preferenza di quella Bompiani del 1953, rivista, privilegiando il “documento” storico.
Il 1930 fu anche un anno di grande produttività di Alvaro, che pubblicò tre volumi di racconti, “Gente in Aspromonte”, la raccolta che lo rese famoso, “La signora delle’isola” e “Misteri e avventure”. Il 1930 si può dire l’anno di Alvaro, incoronato col pingue premio “La Stampa”, di ben 50 mila lire, contro gli umori e le pressioni del regime. A Berlino, doveva aveva lavorato molto proficuamente, nota Morace, Alvaro avvertì il rischio di una nuova guerra. Ne nacque questa narrativa, che non è esattamente una memoria di guerra, né un reportage, seppure ex post: è  un’analisi storica e sociale in forma di romanzo. “Una quiddità nuova e diversa”, la dice Morace, “una sorta di docu-romanzo”. Ma seriosa, senza il selfie oggi di moda, l’inquinamento vanitoso della memoria storica.
L’analisi è inficiata, alla lettura, dalla vulgata – molto tedesca ma anche italiana - del “colpo alla schiena” o del tradimento dei generali, dell’impreparazione etc. (qual è la “preparazione” di una guerra?), che poi ammorberà un po’ tutta la narrativa di guerra, specie della seconda - con l’eccezione di Malaparte . Ma il senso è preciso e caldo della fine di un’epoca. Di illusioni forse, che però erano speranze. Attorno ai due giovani protagonisti, Luca e Attilio, un’umanità pullula, non caratterizzata, ma impegnata in qualcosa che la guerra oblitera, enorme spegnimoccolo.
Manca ancora l’analisi del Risorgimento. Dei suoi falsi presupposti e dei pregiudizi che lo seguirono, sul posto del Sud nell’Italia (dopo l’occupazione), e sul posto dell’Italia in Europa e nel mondo (la follia colonialista, le false alleanze). Manca la critica del nazionalismo in genere, i cui limiti pure erano molto evidenti (la vittoria mutilata”, eccetera), specie sotto il fascismo, imperial-romano e ostile al mondo. Ma c’è un senso come di soffocamento, in quell’Italia pure idolatrata dal giovane interventista: il fatto generazionale, dei reduci a vent’anni – le guerre hanno questo inconveniente, oltre allo sterminio umano: che tra i sopravvissuti i giovani reduci non hanno più energie, se non il risentimento.
Corrado Alvaro, Vent’anni, Bompiani, pp. 391 € 15

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