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giovedì 5 maggio 2016

Precarietà = populismo = digitale

È il segreto di Pulcinella: “almeno un quarto” della popolazione vive oggi, in tutti i paesi, anche i più ricchi, in condizioni di precarietà: occupazione a termine e occasionale, iperprofessionalità richiesta e inutilizzata, erosione delle aspettative e della personalità, demotivazione. Aggiungendolo a quell’altro quarto, o poco meno, che sono poveri, si possono “raddoppiare” le considerazioni di Standing, lo studioso della precarietà: la civiltà digitale e dell’affluenza per tutti crea povertà e precarietà. Crea cioè incertezza, disillusione, stanchezza, tutto il contrario di dell’innovazione sempre benefica e ricostituente. C ‘è da essere per perplessi del senso della storia, e del progresso.
Un altro dato si può aggiungere all’atlante della precarietà di Standing: principalmente sono le nuove professioni, legate alla civiltà digitale, a imporre l’incertezza. In Italia Eurostat censisce 558 mila precari nell’informatica, tutti giovani.
Il precario di oggi è uno  istruito e specializzato, giovane o giovanile, con retribuzioni incerte e occasionali, e comunque ridotte. Ancora più ridotte considerando la reperibilità costante, senza orario di lavoro, e quindi sena straordinari, vacanze, week-end, e in genere tempo libero. Dirla una schiavitù non si può, il precario è pur sempre libero, ma di fatto sì: una schiavitù senza l’obbligo del mantenimento.
L’esito più interessante della ricerca di Standing è il collegamento fra il precariato e il populismo – fino all’intolleranza. Che domina l’opinione in Europa, e ora anche negli Usa. Standing non può naturalmente anti vedere il fenomeno Trump, ma ne ha censito e analizzato i presupposti.
Guy Standing, Precari. La nuova classe esplosiva, Il Mulino, pp. 303 € 13

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