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venerdì 17 marzo 2017

Il buonsenso è minacciato dall’istruzione

Tre lezioni sull’insegnamento, in un arco di quasi mezzo secolo. Quella del titolo è un conferenza alla Sorbona, nel 1895. Un intervento all’Accademia nel 1923 è a favore dell’insegnamento del latino e greco: “Un declino, e a maggior ragione la cancellazione di questi studi, ci farebbe nel mondo un torto irreparabile”, lo farebbe alle culture figlie della classicità. Non solo la lingua, anche la letteratura e le arti s’innestano nella tradizione, e più in generale il modo d’essere e pensare, reagire, agire. Un assunto perfino ovvio, non si può sradicare una cultura, come nessun altro organismo vivente, eppure… Una conversazione alla radio nel 1934 enuclea il proprio della filosofia francese nell’accostamento con la scienza, e non nell’opposizione, da Descartes e Pascal, e a un nutrito parterre tra Sette e Ottocento.
Il buonsenso si lega alla concezione della cultura come modo di essere e di agire. La ricetta è semplice: “L’educazione al buonsenso” punta ugualmente a “liberare l’intelligenza dalle idee ricevute”, come “dalla idee semplicistiche”, ma anche “a bloccarla sulla china scivolosa delle deduzioni e delle generalizzazione” – dalla troppa, si direbbe, intelligenza. Dell’intelligenza Bergson ha un’idea precisa, come quella che conosce la materia e insieme vi interagisce - che meglio spiega in riflessione apposita, “La Pensée et le Mouvant”: “Che cos’è l’intelligenza? La maniera umana di pensare. Ci è stata data, come l’istinto all’ape, per dirigere la nostra condotta… Precisa o vaga, è l’attenzione che lo spirito presta alla materia”.
“Il buon senso” di Bergson “è nella vita pratica ciò che il genio è nelle scienze e nelle arti” – per genio intendendo l’invenzione, l’innovazione. Qui tratta il buonsenso in riferimento agli studi classici, “se gli studi disinteressati hanno efficacia pratica”.  La risposta è ovviamente positiva, poiché forgiano il carattere, e cioè la base dell’equilibrio della persona e dell’attività bene indirizzata. Ma con paletti. Il buonsenso è minacciato dall’istruzione: “Il più grande rischio che l’istruzione può far correre al buonsenso sarebbe d’incoraggiare la tendenza a giudicare uomini e cose da un punto di vista puramente intellettuale”. L’intelligenza serve, ma “la vita reale” è più complessa, “è rivolta verso l’azione”.
La perorazione per le ligue classiche Bergson condisce con la sua esperienza, all’epoca, di insegnante dei licei: “Una riforma pedagogica è nello stesso tempo una esperienza pedagogica”. Questo avveniva all’indomani della riforma del 1891, che aveva sdoppiato i licei, introducendo quello senza studi classici. Lo sdoppiamento apre un abisso: le lingue classiche “svilupano lo spirito di precisione”. Il filosofo conviene che non si può pretendere di fare di tutti i giovan dei classicisti, neppure degli studiosi, ma si chiede: perché la scuola dovrebbe rinunciare al meglio?

Henri Bergson, Le bon sens ou l’esprit français, Mille-et-une-nuits , pp. 77 € 3,50

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