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mercoledì 9 agosto 2017

Hemingway italiano ne sapeva di più

C’è un Hemigway parigino, uno spagnolo, uno cubano, uno africano, nella sua opera letteraria. Su fondo ben americano. E uno italiano:; in Itala esordì, col racconto di Caporetto e la Grande Guerra, e s’illustrò, tornandoci poi spesso in vacanza, se non per ragioni di vita. Sempre gradevolmente grato: “I miei scritti dall’Italia”, nota egli stesso, “hanno quel non so che di speciale che si riesce a mettere solo nelle lettere d’amore”.
Owern ricostruisce molti particolari dei suoi legami e le visite in Italia. La notte in cui si uccise passò moltotenmpo a salmodiare una canzone appresa in Guerra a Cortina. Ma trova anche una sorta di traccia indelebiole impressa nella sua visione di vita dal Tagliamento, dalla laguna di Venezia alle Dolomiti, la tela di fondo di “Addio alle armi”.
“Addio alle armi” riletto è il romanzo più vero della Guerra sul Carso, e sulla vergogna del dopo-Caporetto, delle fucilazioni all’impronta da parte dei Carabionieri, della guerra dei generali inetti che i soldati concepivano come massa, una sorta di barricata umana. Un capolavoro, di intriospezione, capa cità di giudizio, compassione. Che forse per questo si tace nelle tante evocazioni della guerra, anche, ora, del sinistro 1917 che Hemingway ragazzo, fresco volontario, si trovò a dominare per sopravvivere, da semplice lettighiere.
Richard Owen, Hemingway e l’Italia, Donzelli, pp. 227, ill. € 25

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