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sabato 2 dicembre 2017

Nabokov si diverte, di se stesso

“A Julia piacevano gli uomini alti con le mani forti e gli occhi tristi”. Il racconto procede così: la terza persona non basta a Nabokov, vuole oggettivare ancora di più.
Una sorta di autofiction per gioco di specchi – affidata per la pubbliacazione nel 1972, cinque anni prima della morte, al figlio Dmitri. Seppure al modo suo, tutto in esterni, si direbbe al cinema.   
Dedicato, come tutto di Nabokov, a Véra, la moglie manager, editrice e tradutrice, ma questo con più senso, il  racconto è del pensiero proibito di chi nella coppia si rivede solo, per un qualche incidente della vita. In Svizzera, paese di elezione, che il protagonista vede e rivede quattro volte, da ragazzo in vacanza, da giornalista per un’intervista, da marito quasi criminale, e da ultimo per una riflessione sulla vita, la sua e quella di tutti. Sorridente, anzi sornione, nome una parodia del “Nabokov”. A effetto paradossale: di ritrovarsi ingombro dell’altro, sempre nella sua compagnia, per quanto colpevole e non accidentale sia stato l’evento separatore..
Tradotto con la stessa eleganza dell’originale da Dmitri Nabokov, il figlio ora scomparso, che cantava da basso ed era fine italianista. C’è nudo il “metodo” di Nabokov, del tutto visto dall’esterno, senza l’artificiosità della École du regard, ma con lo stesso effetto straniante: lo scrittore non s’immischia nella psicologia dei suoi personaggi. Con, forse, un piccolo autoritratto, come romanziere russo a Ginevra, in viaggio, “novantuno, novantadue, forse novantatré anni fa”, verso l’Italia, con “i fogli sparsi di un embrionale romanzo dal titolo provvisorio Faust a Mosca”. Pieno di ardori ma confuse o poco passionale, al debutto in amore “nella sua cttà natale aveva corteggiato una madre di trentotto anni e la di lei figlia di sedici”” – “Per ragioni ottiche e animali l’amore sessuale è meno trasparente di molte altre cose ben più complicate”.
Un libro di divagazioni in realtà. La matita scorrre per tre apgine come nel famoso sketch di Tognazzi e Vianello, sul “troncio” etc. da cui l’esile manufatto viene fuori. E pensieri sparsi: “La notte è sempre un gigante”, etc.
Vladimir Nabokov, Cose trasparenti

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