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giovedì 30 novembre 2017

Napoli immaginaria

Nella compiaciuta rievocazione del libro all’uscita, premessa a questa riedizione nel 2011 per i cinquant’anni, La Capria ricorda che il libro fu subito dei lettori. Benché complesso e anzi arduo.
Con argomentato sostegno critico (una corposa appendice riporta quello di Pampaloni, più una serie di altri recenziori, Pomilio, Starnone, Perrella Magris, Colombati), ma limitato.
Un primo modo di autofiction: I dieci anni dal 1943 al 1954 di un personaggio-narratore, per frammenti e flash, come di chi ricordasse: di un giovane napoletano che vive anche a Roma, e di un suo amore a mare irraggiungibile. Come la giovinezza trascorsa, “la bella iurnata”, ricorderà complice Magris, come il mare perduto. Dieci anni dopo l’esordio del La Capria narratore, una radicale curvatura a U.  C’era stato intanto Arbasino, coi racconti di “Anonimo Lombrdo”, la tecnica è quella: la scrittura asintattica, allusiva, di cose narrate-viste, con pennellate impressioniste - dette joycianamente epifanie.
O anche il romanzo di Napoli – “una città che ti ferisce a morte o t’addromenta”. Se ne vorrebbe un altro destino, meglio che addormentare, ma su Napoli La Capria è probabilmente imbattibile. Napoli quand’era snob – ci sono arbasiniane “mezzecalzetterie”. Che aveva lavoro ma lo disprezzava, mentre gli epigoni oggi se lo arraffano. Se non che tutti, locali e stranieri, si sf ilano il sotto del bikini – ma c’era allora il bikini, attorno al 1950? – sullo scoglio, e la cosa sembra scomoda. In mezzo alla città poi: gli scogli sono quelli artificiali di villa Peirce, che si è vista nella serie tv “Un posto al sole”, a Posillipo in fronte al mare ma villa tipicamente villa urbana, all’epoca villa Lauro. E anche questo è cambiato: allora c’era Lauro a Napoli, oggi?
Cosa resta? Un racconto d’epoca. Anni 1950 più che 1960. Da melodramma dolce vita.
Raffaele La Capria, Ferito a morte, Oscar, pp. 219 € 8,50

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