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lunedì 12 marzo 2018

Secondi pensieri - 338

zeulig

Decostruzione – È più della detection? Derrida come Sherlock Holmes? Come Marlowe, più simpatico.

Filosofia - La filosofia, dice san Paolo, è follia agli occhi di Dio. E Dio non è folle?

Perché c’è sempre qualcosa, se c’è solo il niente? E come si fa a annegare nel niente, pensandolo? Questa si è già sentita. Nietzsche avrebbe voluto scrivere, nelle sue “transvalutazioni”, una “critica della filosofia come movimento nichilistico”. Non l’ha fatta, ma è presto detta.
Nessuno, Omero lo spiega, è un trucco, poiché è qui a raccontarla. Poi viene il tempo. Non si nasce in realtà, e non si muore, si è dentro il tempo. Anche prosaicamente, si è sempre affaccendati, anche nell’ozio. Ma questo annulla il tempo: lo dilata, lo accorcia. Il tempo è comprimibile, sia facendo che non facendo, e in durata – memoria, fantasia, ricostruzione – è estensibile senza limiti.
Ma il tempo è senza capo né coda, la stessa storia ha problemi a definirsi di un tempo preciso, e quindi non è. È questo il senso della vita. O della morte. L’eternullità che ha inventato Laforgue. O Falkenfeld, il kantiano: “Non posso credere che gli avvenimenti del mondo influiscano minimamente sulle nostre parti trascendentali” - che per questo non si può dire morto, dimenticato.
Si può continuare a volontà e finirla con Wittgenstein, l’idiota della famiglia, col noto superbo precetto: “Ciò di cui non si può parlare va taciuto”. Che già Alice spiega a Humpty-Dumpty.

O non sarà la filosofia la parola del silenzio? A Wittgenstein piaceva fischiettare la musica, usare le mani, educare i bambini, andare in barca, leggere i gialli comici di Norbert Davis e, probabilmente, “Alice nel paese delle meraviglie” – bisognerà cercarne le radici nella Symbolic Logic di Carroll, che il filosofo di Cambridge non menziona perché il reverendo era di Oxford. Ma il suo invito a tacere era già di Carlyle, teorico dell’eccezionale: la verità è cosa “di cui la logica dovrebbe sapere che non si può parlare”.
Wittgenstein non sapeva che si parla pure tacendo, Heidegger l’aveva appena accertato: “Il linguaggio parla quando si tace”.
Dio ogni tanto, anche nella Bibbia, si eclissa.

La filosofia è poesia per Hannah Arendt. Forse nel letto dei filosofi. In francese, la pensée, è la viola primaverile. L’italiano la dice “viola del pensiero” – o “tricolor”.
La viola mammola è nel Petit Robert pensée sauvage.
Mammola, mammoletta, è ragazza ingenua, disarmata – ma forse per finta.

Pretende di eliminare il badinage dell’immaginazione nel mondo dei possibili, niente giochi. Mentre la scienza se ne fa metodo, i filosofi se ne vergognano: la razionalità è il filo dell’ordine, del potere, mentre l’ordine reale, quello fisico, è il disordine.
Succede con la reductio ad unum, mania irrefrenabile. Con l’ontologia, che nessuno sa cosa sia, dalla Filosofia al Pensiero dell’Essere. Nemmeno Heidegger, il quale conclude: “Il pericolo per il pensiero è il pensiero medesimo” - crepuscolare fino alla fine: “Il dolore elargisce il suo balsamo là, dove\ Noi non lo aspettiamo”, nell’aldilà?

O sarà la filosofia la sentinella di Pompei che Spengler celebra, cadavere all’erta.
Oppure è mimo che, non trovando i capi della matassa della vita, gesticola senza soggetto, o oggetto.
Per Lévinas non è che una meditazione di Shakespeare. È una bella fine. Si potrebbe rifondarla sotto l’aspetto marivodiano dell’Indigent Philosophe, una gaia scienza alla Figaro: il vero falso non è il falso vero.

Filosofia tedesca - Il filosofo Falkenfeld, arruolato nel 1914 e mandato al fronte, dalla trincea scrisse all’amico Marcuse: “La terza antinomia di Kant è più importante di questa guerra”. Ma il dio tedesco, fra tutti gli dei imperiali, non ha lasciato tracce personali, un’estetica, un modo di vita, una pedagogia, uno sport, una cucina, una giustizia, una politica, se non la terribilità – sì le macchine, ma se ne fanno buone ovunque: finita quella guerra non c’era macchina migliore della Fiat. Il problema è nella filosofia.

Libertà - “La libertà non esiste finché non sia dichiarata dì’autorità”, afferma il signor Innocenzo, “uomo vivo” di Chesterston. E protetta, va aggiunto - con la violenza.

Opinione Pubblica – Un Weltjournalismus conia Heidegger nel “Quaderni Neri” 1942-1948, la parte ancora non tradotta. Per analogia col Weltjudentum, l’ebraismo mondiale, il complotto dei “Savi di Sion”, altgro suo rovello, ma non  senza verità nello specifico. C’è di fatto un giornalismo da tempo “mondiale”, anche da prima della rete, anche da prima dell’universo “in diretta” macluhaniano – della crisi dei missili a Cuba, della guerra al Vietnam. Una opinione unica e prevalente., Non critica. Ripetitiva – il “tormentone”.
L’opinione pubblica può essere molto “pubblicitaria”, cioè passiva. Riflettente. Messaggi trasmessi  (trasmissione di messaggi).

La Öffentlichkeit si pensa sempre più con Heidegger in Germania - dove più è stata pensata e  sistematizzata - e si traduce come “Pubblicità”, non più come sfera o opinione pubblica. Il timone è passato dalla ricezione critica alla trasmissione - ruminazione, amalgamazione. È lo strumento e lo strumentario di chi elabora e impone i messaggi.

Tribù - La percezione della tribù, dal vetero nazionalismo al vincolo fittizio del sangue e ora all’ideologia, una sovrastruttura senza necessità, se ce ne sono, e tuttavia urgente al pari della famiglia, appare nella forma della rigenerazione, di orrido battesimo di sangue. Una purezza acquisita nella distruzione. Non nell’annientamento, che è evento quasi naturale, a suo modo divino, ma nella distruzione pratica, gesto dopo gesto, vicino dopo vicino, giorno dopo giorno. La follia.
È questa purezza che ha contagiato Franz Fanon, psichiatra, negli anni delle indipendenze, dell’ultimo fuoco del nazionalismo – il nazionalismo è una forma di tribalismo? E gli psicagoghi di Parigi, per i quali nessuna rivoluzione era – è mai stata - quella giusta? La tribù come fatto rivoluzionario.

zeulig@antiit.eu

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