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sabato 10 novembre 2018

Italiane le radici della filosofia della storia


“Machiavelli, il primo filosofo della storia dell’epoca moderna, e un pioniere della società borghese nella sua fase ascendente”. Avviandosi ad analizzare Hobbes, Horkheimer è ancora sotto il fascino di Machiavelli, che ha appena esaminato: c’è Machiavelli all’inizio dela “filosofia della storia” borghese, dichiarando in apertura. Seguito un secolo dopo da Hobbes, che il nuovo ordine e la ragione però riporta allo Stato, assoluto, non ponendosi il problema della libertà. E due secoli dopo da Vico, che la storia abbandona alla provvidenza, ma a quella del suo significato lessicale, dell’uomo che proved e ai suoi bisogni, e gli studi storici impianta come analisi critica delle fonti storiografiche.
La filosofia della storia è la “filosofia borghese della storia”, Horkheimer non cessa di ribadirlo. Non perenta: “I problemi “storico-filosofici” di oggi, del 1930, originano “nella stessa situazione storica”, dei sommovimenti della società borghese. Col contrappunto degli utopisti, che invece idealizzano una società senza steccati, e senza diritti proprietari: nell’ideale universalista della chiesa Moro e Campanella, in quello della rivolta Müntzer. L’ultimo saggio è una critica breve, quasi derisoria, di “quello strumento magico che è il concetto idealista della conoscenza” in Hegel, nella “dottrina dell’Identità” soggettiva. La stessa metafisica incatenando al “mito idealista dell’unità del pensiero e dell’essere”.
Riflessioni sparse, “”a propria edificazione” avverte Horkheimer. A riscontro della sua convinzione che la filosofia della storia mette radici “nelle formazioni ideologiche particolarmente important della prima epoca borghese”.
Di Machiavelli è “la concezione psicologica della storia, la storia fatta dagli individui. Hobbes introduce la società, nella ‘Dottrina del diritto naturale’”, e “segnala anche il problema dell’ideologia, funzione determinata nella lotta sociale”. In parallelo si sviluppo l’utopia: “L’ideologia produce l’apparenza dell’ordine «vero» e giusto dell’esistenza; l’utopia al contrario ne è il sogno”. La “nuova scienza” di Vico, “e il suo pezzo di bravura, è quando analizza la mitologia come riflesso dei rapporti politici”.
Prosa chiara e spedita. Un riconoscimento di Machiavelli pieno, senza riserve. Come quello che applicò per la prima volta alle scienze umane i criteri della nuova scienza che si venivano formulando nel primo Cinquecento. Un libro che non si ristampa più da quarant’anni, allora proposto da Giorgio Backhaus, col titolo completo, “Gli inizi della filosofica borghese della storia”  – in Germania non più da cinquanta, dalla prima edizione nel 1969.
Più distesamente, e più a suo agio, Horkheimer tratta di Machiavelli: “Il grande merito d Machiavelli è di avere riconosciuto, all’alba della nuova scietà, la possibilità di una scienza della politica corrispondente nei suoi principi alla nuova fisica e alla nuova psicologia, e di averne espresso, in modo semplice e preciso, i tratti fondamentali”. Avendo coscienza di ciò che intraprende, in tutti gli scritti, eccetto quelli “artistici”, e compresa la sua “eccellente ‘Storia di Firenze’”. Una possibilità basata sul “principio dell’uniformità del corso delle cose” e della “invariabilità della natura umana” - «Tutti gli uomini nascono, vivono e muoiono  seguendo sempre le stesse leggi»”.
La “virtù”. Concetto centrale, e controverso, di Machiavelli, ha “però giocato un ruolo decisivo nella storia della filosofia”.  Di senso evolutivo più che controverso, andando rapportato “all’insieme dei rapporti che condizionano l’esistenza dell’epoca determinata”. Al tempo di Machiaelli è “la libertà borghese”. In generale, “una buona forma di Stato possiede della «virtù» se realizza le condizioni per cui i suoi cittadini possano svilupparvi le loro virtù”. Il machiavellismo, il “cinismo politico estremo”, liquidando come imteso a un fine non cinico, “la realizzazione e il mantenimento durevole di uno Stato forte e centralizzato come condizione della prosperità borghese” – “se si vuole riassumere il contenuto del ‘Principe’ e dei ‘Discorsi’ nella formula il fine giuistifica i mezzi, però bisogna precisare almeno che questo fine è l’instaurazioe del migliore dei mondi possibili”. Nel quadro delle “tendenza materialista”, che lo accomunerà Spinoza e Hobbes, ma senza l’irreligiosità, o riduttivismo razionalistico.
Resta il problema “a chi serve la scienza politica”. Al principe per fare l’unità dell’Italia. Ma repubblicano e perfino democratico. Nella coscienza che nessuna forma di governo è la migliore o definitiva. Molto Machiavelli ha capito partendo dal fatto che “la prosperità dell’insieme dipende dallo sviluppo delle relazioni sociali, dalla soppressione degli ostacoli allo sviluppo delle capacità borghesi nel commercio e nell’industria, dal libero gioco delle forze economiche – questa evoluzione della società non potendeo essere assicurata che da un potente potere di Stato”.
Di Hobbes non ci sono punti controversi, se non l’assolutismo – molta scienza a un fine discutibile.  La sua novità  è, con l’illuminismo, l’aver “posto per la prima volta nella storia della filosofia moderna  il problema dell’ideologia,  delle idée riconosciute come false che però dominano la realtà sociale”. Anche in lui, “ciò che si esprime senza ambiguità negli scritti, come in quelli di Spinoza e dei «philosophes», è la fiducia nella forma di organizzazione della società borghese”. L’iter si perfezionerà nell’idealismo, di Kant e anche di Hegel, dello Stato Borghese compiuto. Che gli utopisti, agli inizi, si erano eretti per contestare.
Gli utiposti nascono mentre la società borghese si impone, per contestarla. I due fedeli cattolici, Moro e Campanella, richiamandosi all’ideale cristiano della comunità di eguali – Müntzer, poco considerato, proponendo invece la rivolta. Anticipatori della “teoria di Rousseau, degli uomini buoni per natura, corrotti dalla proprietà”.
Vico è “il primo vero filosofo della storia dell’epoca moderna”. Per il suo assunto, la provvidenza – per la quale ha ancora molto da dire . Che alla p. 123 della “Scienza nuova” spiega esemplare: il verso enso della parola è quello che le è valso l’appellativo di “divinita”, da divinari, il verbo latino per dire “capire ciò che è nascosto”. E per “le ricerche empiriche che ha effettuato a questo scopo”.
L’ammirazione è senza reserve per Vico. Di cui si compiace di elaborare la “teoria della mitologia”, uno dei “quattro elementi fondamentali del mondo sociale”, come Vico li chiama con i matrimoni, i rifugi, e la prima legge agraria.”Un precursore dell’interpretazione antropologica della religione di Feuerbach”.
Max Horkheimer, Les débuts de la philosophie bourgeoise, Payot, pp. 189 € 8,50

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