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venerdì 23 ottobre 2020

Letture - 436

letterautore

All’italiana – S’intende, a letto, la penetrazione anale. Almeno nella tradizione francese, censita da Diderot in uno dei dialoghi dei “Gioielli indiscreti”. Malraux se ne serve ne “La speranza” per una digressione salace dalla narrazione bellica, di un volontario della sua squadriglia aerea arrestato su protesta di alcune prostitute con le quali aveva pattuito, secondo lui (ma non sapeva lo spagnolo) di farlo “all’italiana”, e per questo aveva pagato. Per un aio di pagine non fa che ripetere ogni due frasi “all’italiana”: siccome né l’una né l’altra voleva farlo “all’italiana”, lui voleva i soldi indietro, da qui l’appello delle prostitute alle forze dell’ordine.
 
Arte – È, può essere, rivoluzionaria, ma per sé: “L’arte non è un problema di tematiche”, spiega il compagno pittore di Malraux, “La speranza”, il romanzo della guerra di Spagna: “Non c’è grande arte rivoluzionaria, perché?”

Chiaromonte – È lo Scali di Malraux nella guerra di Spagna, “La speranza”? Molti tratti del personaggio rinviano a lui. Che non era l’unico italiano nella “Squadriglia España”, o “Squadriglia Malraux”, che operò sul fronte repubblicano da luglio 1936 a febbraio 1937, come le biografie dicono, ce n’erano altri. Malraux menziona nella sua squadriglia altri nomi italiani, un Camuccini e un Marcelino. Proprio così, un nome spagnolo per “il miglior bombardiere della squadriglia internazionale e eccellente capo equipaggio”. Di cui ha dato specifici connotati: un pilota d’idrovolante, che dopo Lauro de Bosis aveva ritentato l’impresa di buttare i volantini su Milano, era stato intercettato e atterrato dagli aerei di Balbo, era stato condannato a sei anni di confino, era evaso da Lipari, e s’era arruolato nella squadriglia España nella guerra civile.
Di Scali Malraux parla nel romanzo a più riprese. Con questi connotati quando si presenta in squadriglia, e si discute se è italiano o spagnolo: “Il viso un po’ mulatto di Scali era in effetti comune a tutto il Mediterraneo occidentale”. Caratteri somatici che ribadisce quando lo nomina ufficiale di collegamento con la Direzione operazioni e con la Sicurezza (incarico specialmente delicato questo, la Sicurezza dovendo controllare i tanti volontari, per evitare il facile intruppamento delle spie): “La sua cultura facilitava i rapporti con lo stato maggiore dell’aria, composto quasi interamente da ufficiali del vecchio esercito. La sua cordialità piena di finezza, di uomo ancora tozzo ma che crescerebbe grande, rendeva facili i rapporti con tutti, Sicurezza compresa. Era più o meno amicone di tutti gli italiani della brigata, e della maggior parte degli altri (l’esclusione riguarda i tre-quattro membri supposti essere comunisti, n.d.r.). Infine, parlava molto bene lo spagnolo”. Subito dopo, in altra circostanza, Malraux ribadisce: “Quando Scali sorrideva, aveva l’aria di ridere, e la gaiezza, restringendone gli occhi, accentuava il carattere mulatto del suo viso”.
Scali ritorna nel racconto quando si parla di ideali e idee. Talvolta una sorta di alter ego di Malraux, in quanto esperto d’arte, e rivoluzionario senza paraocchi.  Nel dibattito centrale sul ruolo dell’intellettuale, per esempio, nella politica e nella rivoluzone – partendo dalle riflessioni e le prese di posizione di Unamuno, prima a favore, poi contro, e in definitiva a favore, seppure di malavoglia,  della Repubblica – la Repubblica di Azaña, che non stimava, massonica, divisiva. Una volta è incaricato di  interrogare un pilota italiano abbattuto. Il pilota non sembra impressionato (essere prigionieri in guerra è una sinecura) quanto incuriosito:  “Ciò che lo meravigliava era forse lo stesso Scali: quell’aria da comico americano, dovuta meno alla faccia, dalla bocca spessa ma dai tratti regolari malgrado gli occhiali di tartaruga, che alle sue gambe troppo corte per il busto, che lo facevano camminare come Charlot, alla giacca di camoscio,  così poco «rossa», e alla matita sull’orecchio”. Scali deve portare gli occhiali in avanti per controllare i documenti del pilota: “Non era miope, era presbite”.
 
Croce – Se ne minimizza la filosofia, se ne critica la storiografia, se ne contesta la poetica, l’impatto sulla storia letteraria. Ma se ne trascura la prosa, che invece mantiene la compattezza di Manzoni. Con beneficio dell’italiano, della scrittura, argomenta il linguista Devoto in “Civiltà di persone”, p. 32. Attaccato da Carducci (da sinistra?) e da D’Annunzio (da destra?) il “modello linguistico” manzoniano rischiava il sacrificio: “Solo la prosa crociana, composta, sovrana, vi si è allineata da pari a pari”. Con la forza che derivava dalla proiezione di Croce come figura pubblica di riferimento nel primo Novecento.  
 
Dante – Manzoni, a proposito della “Divina Commedia”, assicurava la sua ammirazione per il poeta ma, quanto a ispirazione cristiana, si mostrava perplesso. Come di un conservatore, ligio a catechismo, rispetto a una fede in movimento – personale, fluida? No, Dante era un fine teologo, la sua caratteristica meno analizzata.
 
Guerra – “È fare l’impossibile perché pezzi di ferro entrino nella carne viva” (A . Malraux, “Ls speranza”).
 
Impalamento – La tortura turca è ricorrente nel Cinquecento nella poesia e nel teatro. Nela poesia burlesca e nel teatro comico – non si prendono mai sul serio i turchi?
 
Italiano - Manzoni e D’Annunzio “i due dittatori dell’italiano” – W. Pedullà, “Il pallone di stoffa”, 185.
 
È “lingua morta” per Manzoni nella prima lettera a Fauriel, 1806, “lingua povera” nella seconda, 1826, poco adatta a servire lo scrittore. Subito poi, nel 1829 progetta con Giacomo Rossari una “lingua toscano-milanese”.
Manzoni non sapeva pensare e scrivere che in milanese, ma sapeva di restare così provinciale. Ancora pochi anni e si adagiò sul modello toscano e anzi fiorentino, scrivendone a G. Borghi.
 
Manzoni – È uno degli “eroi” della piccola enciclopedia di Devoto, “Civiltà di persone”, 1973. Insieme con Carducci, Mazzini e Gobetti.
 
Potta – Toscano per vulva, è anche sinonimo di grandezzata, vantone, persona vanesia.
 
Passato remoto –Tratteggiando Manzoni in occasione di un centenario a Firenze, Giacomo Devoto si dice “sordo, come italiano del nord, al passato remoto”. Genovese di nascita, cresciuto a Milano, fiorentino di professione e adozione, Devoto lo ricorda a proposito della lapide sulla casa di Manzoni, che leggeva ogni mattina andando a scuola, in cui il “visse” non gli suonava, al punto che lo leggeva “vissé”, come una confusa forma straniera: “Era una specie di muto rifiuto nei riguardi di una forma che io non avrei mai pronunciato”.
 
Razzismo – Si è razzisti per essere fascisti? È argomento che Malraux, “La speranza”, fa sostenere al comunista Manuel in dialogo pedagogico con l’anarchico Alba: “I fascisti, in fondo, credono sempre alla razza di chi comanda. Non è perché i tedeschi sono razzisti che sono fascisti, è perché sono fascisti che sono razzisti. Ogni fascista comanda di diritto divino”.
 
Tacito – “Senza dubbio il più chiacchierone dei mentitori”, Tertulliano, “Apologetico”, cap. XI (“sane ille mendaciorum loquacissimus”). Lo dice a proposito dell’accusa ai cristiani di adorare un asino, che Tertulliano attribuisce allo storico. Un repartee polemico, che però toglie allo storico l’aura di serenità e rigore, e anche di veracità.


Tommaseo – Anche lui “eroe” di Devoto in “Civiltà di persone”. Per essere di Sebenico, campione di una  civiltà morta, la Dalmazia. E per avere in “Fede e bellezza”, “titolo infelice”, “passi di perfezione e di patos struggente, degni della Germania di Tacito”. Manzoni invece ne temeva la grande erudizione: “Mi dolgono i tommasei”, pare dicesse per il fantomatico toscano “zebedei”. 

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