Cerca nel blog

mercoledì 21 ottobre 2020

Flaiano l’africano

Un romanzo “africano”, l’unico prodotto dall’Italia nel suo mezzo secolo di avventura coloniale, anche se fuori tempo, scritto e pubblicato dopo la guerra. Del personaggio solitario, già non più eroe ma perplesso e indifferente, alla conquista dell’impero, in un mondo di amplessi facili, omicidi, stregonerie, e la lebbra in agguato.
L’approccio è flaianeo: il tenente ha mal di denti, e deve muoversi alla ricerca del dentista. Il racconto sarà di un uomo svagato, “senza qualità”, in un progetto militare che per lui non ha senso, niente ne ha, che attraversa eventi immaginari e reali anche drammatici, in Africa. Che c’è, in ogni piega della narrazione, che sia la terra, l’humus, la donna, il mondo elusivo dei suoi uomini, i rumori, delle acque, dei venti, i timori. Una sorta di Candido in un’impresa che gli sfugge - anche se non è il migliore dei mondi possibili: la sua Africa è un miracolo di onestà, a petto delle bugie con cui si nutriva il colonialismo, fango, deserto, coccodrilli, ragazze disponibili per un piatto di riso, e forse lebbrose.
Questa riedizione, di Anna Longoni, completa l’Africa di Flaiano con il taccuino “Aethiopia, appunti per una canzonetta”, pubblicato tra gli “Scritti postumi” nel 1988, ripreso nella edizione Rizzoli del 2013, curata d a Marco Montanaro. Flaiano vi annota in diretta, fra il 13 novembre 1935, Massaua, e il 27 aprile (1936), Axum, l’avventura coloniale nei suoi reali, diminutivi, connotati. Terre aride, mal coltivate, incoltivabili: ad Axum, “osservando i terreni, incolti, due soldati pensano all’Italia. «È poco fertile questa terra», dice uno. «Poco fertile?» ribatte l’altro. «Se si fanno due e persino tre raccolti di pietre all’anno!». Propaganda: Adua, che ai giornali si fa dire terreno di grandi battaglie - e tale sarà anche nel racconto di Montanelli, “XX Battaglione Eritreo” - è “conquistata” dalle salmerie, che per un errore di percorso vi si trovano dentro. Ovunque corruzione, dei generali, maggiori e capitani (“in Italia c’è gente che si leva gli anelli dalle dita”) e africani (i trasporti rendono molto; un eritreo che si è arricchito col camion, cerca con un avviso sul giornale un “autista bianco”, per 5 mila lire – cinque milioni, cinquanta? – al mese).
Ma c’è l’Africa – e non ce ne sarà un’altra altrettanto vera nelle lettere italiane fino a oggi. Flaiano finge di affrontarla blasé: “Tutte si chiamano Mariam quaggiù”. Ma invece la trova e la rappresenta, quale era, ed è. La protagonista Mariam dorme: “Profonda bellezza di lei nel sonno. Soltanto nel sonno la sua bellezza si rivelava completamente, come se il sonno fosse il suo vero stato e la veglia una tortura qualsiasi. Dormiva, proprio come l’Africa, il sonno caldo e greve della decadenza, il sonno dei grandi imperi mancati che non sorgeranno”. Il risveglio? “Quando il «signore» non sarà sfinito dalla sua stessa immaginazione”. Ma non è un miraggio; le acque non lo sono, i coccodrilli, la malattia, il riserbo. Con tutte le frasi fatte del tempo: l’Africa è “lo sgabuzzino delle porcherie”, le sue giovani “semplici come colombe, dolci, disinteressate, incluse nella natura, non restava che coglierle”. Ma la forza latente e il mistero-non-mistero del continente Flaiano fa palpabili a ogni rigo. Compreso il delitto di cui l’ufficiale coloniale non sarà chiamato a rispondere.
Si torna a riproporre Flaiano, per la cura di Anna Longoni che è rimasta la sua sola specialista, con questo che è il suo solo romanzo, e fra le sue opere quella che ha avuto innumerevoli edizioni negli anni, ed è un buon inizio: è un romanzo, e resta complesso alla rilettura, come si voleva, si legge a ogni piega con interesse. Enigmatico, ma di una sorta di disfacimento morale, storico, epocale, più che personale. Pubblicato nel 1947, non ha la contemporaneità degli “Indifferenti” di Moravia, che aveva colto i suoi anni in diretta. Ma di quegli anni dà, spessa, la coltre di superficialità e indifferenza, di individui senza progetto in un mondo nel quale sono estranei, ospiti avventurati. “La mitologia flaianea”, ha scritto Pautasso nella riedizione Bur 1976 del romanzo, dopo la morte dello scrittore, “vuole che «Tempo di uccidere» sia stato scritto in venti giorni, su invito di Longanesi”, in tempo per avere il premio Strega alla sua prima edizione, si suppone, altrimenti perché tanta fretta, “e che la sua stesura non sia passata attraverso elaborazioni successive”. Un romanzo lungo di getto? Le biografie non dicono (ma non c’è una biografia di Flaiano…) se questa Africa non sia autobiografica. Ma è sicuramente l’Africa. Così come è “reale” il protagonista, il giovane ufficiale italiano in Africa – la conquista dell’impero non c’è, si sa ma non si dice. E non è una stesura di getto, di occasione - Flaiano, che del premio dirà spesso di vergognarsi, sapendolo una operazione editoriale, di Longanesi, ci è tornato sopra più volte, ma poi non ne ha proposto modifiche. 
Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi, pp. 329 € 19
 




Nessun commento: