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giovedì 28 ottobre 2021

Foucault affascinato dal potere religioso

Foucault reporter per il “Corriere della sera”, negli eventi tra fine 1978 e primi 1979 che portarono l’Iran dallo scià a Khomeiny, da baluardo americano e occidentale a nemico acerrimo dell’America e dell’Occidente, bacino di coltura del radicalismo o fondamentalismo religioso che infetterà presto l’Algeria e poi tutto il mondo islamico, e colpirà col terrorismo gli Stati Uniti e l’Europa tutta, Russia compresa. Un osservatore d’eccezione. Che prova, da teorico del potere, un’analisi sul campo, a Teheran, seguendo e commentando gli eventi. Un lavoro da cronista e insieme da analista. Entusiasta come tutti dapprima, poi perplesso, ma su qualcosa che non afferra.
Una lezione indiretta, a rileggerlo a distanza, sull’autonomia del politico. In questo caso sulla prevalenza netta dell’agente, Khomeiny, persona di limiti culturali dichiarati, voluti, sul filosofo – una riedizione in piccolo della disavventura di Platone, il teorico della Repubblica intelligente che finisce preda del dittatore, l’uomo d’azione.
Renzo Guolo e Pierluigi Panza, che hanno qui raccolto, vent’anni dopo la pubblicazione, le corrispondenze dell’inviato specialissimo del “Corriere della sera”, sono critici fin dalla breve introduzione. In due saggi in appendice, ne analizzano poi in dettaglio le deficienze, di acume critico e anche di impianto di pensiero. Partendo dalla proposizione errata dello sciismo come movimento degli esclusi che mettono a nudo le deficienze del potere. Quando si sapeva bene, qui in Italia dall’iranologo e islamologo Bausani per esempio, che il vittimismo sciita non è affatto sorgente di un potere democratico.
Foucault per la verità non seguì gli eventi da vicino. Fu in Iran nel settembre e nel novembre del 1978, poi continuò a occuparsene da Parigi. A fine ottobre, di ritorno da Teheran e Qom, la capitale religiosa, ha già chiaro di che si tratta. “Che cosa volete?”, ha chiesto ai suoi intgerlocutori, per lo più ayatollah. “Per tutto il tempo del mio soggiorno a Teheran non ho sentito pronunciare una sola volta la parola «rivoluzione»”, si risponde: “Ma, quattro volte su cinque, mi è stato risposto: «Il governo islamico»”. Foucault sa anche di che si tratta: “Provo imbarazzo a parlare di governo islamico come idea o anche come ideale”. Prima, altrove, “Poteri e strategie”, 1977, si era e aveva spiegato: “Significativo è il modo in cui la rivoluzione fa spettacolo, il modo in cui viene accolta da chi le sta intorno da spettatore, da chi non vi partecipa ma la osserva, da chi assiste e che, bene o male, da essa si lascia trascinare. Non è il sovvertimento rivoluzionario a costituire la prova del progresso”. Ma qui fa finta di nulla: “Un fatto dev’essere chiarito. Per «governo islamico» nessuno in Iran intende un regime politico nel quale il clero svolga un ruolo di guida o di inquadramento”. Ciò che contrasta con tutto quello che si vedeva, si ascoltava, si sapeva a Teheran.
Nello stesso articolo Foucault fa gran conto di Ali Shariati, il sociologo iraniano di formazione religiosa, che a Parigi aveva seguito i corsi di Gurvitch (socialismo non marxista), letto Fanon e Massignon, allacciato rapporti con i rivoluzionari algerini (ma negli anni 1970 ce n’erano ancora?) e i movimenti cristiani di sinistra, e a Mashad aveva poi insegnato uno sciismo socialista, il cui nome circolava come “ideologo della rivoluzione iraniana”. L’influsso se ne vede nel prosieguo del suo “imbarazzo a parlare di governo islamico”: “Ma come ‘volontà politica’ mi ha impressionato. Mi ha impressionato per il suo sforzo di politicizzare, in risposta ai problemi attuali, strutture indissolubilmente sociali e religiose; mi ha impressionato per il suo tentativo di aprire nella politica anche una dimensione spirituale”. Solo che Shariati era morto da due anni, non aveva seguito, il suo nome era tabù nelle moschee. E la “volontà politica” si articolava unicamente nel fanatismo, già visibile, per esempio nelle donne in piazza il venerdì, nei giovani barbuti, i pasdaran, nei mullah meno accomodanti dei cardinalizi ayatollah.
I curatori concludono che Foucault aveva la pretesa di sperimentare la sua metodologia  unificatoria della storia sugli avvenimenti dal vivo, e ha fallito - in realtà finisce per assoggettarla agli eventi, per organizarla. Ma forse si è solo lasciato prendere dai “fiori nel cannone”. La metodologia dello studioso assoggetta alle emozioni, in ambiente a lui esotico, e alla complessità di un mondo che vede ma non conosce, denso, stratificato, nella lingua, la storia, le forme religiose, e anche nell’organizzazione politica, al coperto dell’impero, del partito che non c’è, della vita minuta, quotidiana, attorno alla moschea e ai mollah.
Più da vicino Foucault riflette, benché teorico esperto del potere, l’infatuazione khomeinista nel senso rivoluzionario che si era prodotta in Francia. Dove Khomeiny era emerso, ospite inatteso e sconosciuto, dopo l’esilio anonimo di molti anni a Kerbala n Iraq, da un anno a Neauphle-le-Château, abbastanza vicino a Parigi per farne un altoparlante sul mondo. Da cui gradualmente emerse, ayatollah non di prestigio in patria, come il Grande Oppositore. Grazie a una diffusione artigianale ma amplissima del suo proprio messaggio: invettive giornaliere pronunciate dal balcone della villetta di campagna dove era ospite, riprodotte in milioni di audiocassette, subito disponibili in Iran.
Khomeiny è stato esumato in Francia da Giscard d’Estaing, presidente conservatore. Per motivi non noti: si disse per interessi petroliferi, che però poi non si sono manifestati, oppure per imponderabili orientamenti del cosiddetto Rito Francese, la centrale massonica a indirizzo socio-politico. I fatti sono che Khomeiny era uno sconosciuto. È stato introdotto in Francia dai servizi segreti francesi su indirizzo della presidenza. Ai servizi segreti  quali si deve anche la scelta dell’immobile rustico sulla collinetta di Neauphle-le-Château quale residenza di Khomeiny (“una residenza a malapena clandestina alla periferia di Parigi”, nota forse perplesso lo stesso Foucault) , il controllo dei visitatori, che sempre più numerosi affluivano, specie giornalisti, e la diffusione immediata degli audiomessaggi. Ma fu recepito in Francia come un Liberatore. Veniva anche a conclusione di un decennio in Europa in cui la libertà si pensava si affermasse con le armi, col terrorismo in Italia, Germania e Francia, ma anche, in Portogallo, con un intervento armato pacificatore.
I fatti testimonieranno presto in Iran in senso contrario alle attese. Il 16 gennaio lo scià si era esiliato in Marocco. Il 31 gennaio Khomeiny ritornò, trionfalmente, dalla Francia. L’1 febbraio prese il potere, forte di un partito della Repubblica Islamica, il partito degli ayatollah. Che lo sanzionò Guida Suprema l’11 febbraio. Due giorni dopo l’ayatollah Behesti, ministro della Giustizia in petto, avviava l’esecuzione sommaria dei prigionieri politici. Qualche giorno dopo, il 26 febbraio, riprendendo le corrispondenze dopo tre mesi, Foucault si limita a prospettare, senza impegno, “una polveriera chiamata islam”. Anche se non è stupido: “11 febbraio 1979, rivoluzione in Iran”, comincia col dire. Per poi chiedersi: “Siamo sicuri che sia così?”.
Foucault sa di che si tratta: “Fino all’attuale dinastia”, ha scritto l’8 ottobre 1978, nella prima corrispondenza, “i mollah nelle moschee predicavano col fucile al fianco”. Ma non se ne preoccupa, si inebria. Ottima anche l’immagine plastica del santo in armi, “il re e il santo”, il despota in armi e l’esule inerme, che lo sopraffà. Solo che Khomeiny non era Francesco, e non è  un santo – o allora  santi non sono inermi. Ma vede poco, e male.
Molto peraltro Foucault non vede. Non solo i barbuti col mitra. Ancora due mesi dopo si indirizza a Bazargan, l’economista fatto presidente cache-sex, sempre a nome del “Corriere della sera”, per spiegargli come fare la buona rivoluzione. Del tutto ignora le donne, che pure, coperte di nero, donne impavide che a viso aperto invece affrontano il matrimonio a tempo, affollano le manifestazioni, fanno massa – le ignorano un po’ tutti, però, dopo Foucault, che pure sono il tema sociologico di maggiore interesse, la donna nell’islam, nello sciismo, in Iran.
Michel Foucault, Taccuino persiano, Guerini e Asssociati, p. 128, ill. € 12

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