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martedì 26 ottobre 2021

Del Novecento, del disagio

Una raccolta cui Tabucchi lavorò a lungo nei suoi ultimi anni (l’ultimo di una serie di volumi-spazzini, sistematori: “Racconti con figure”, “Viaggi e altri viaggi”), poi completata dalla sua studiosa Anna Dolfi, che la correda di una nota sui criteri della compilazione e i riferimenti bibliografici dei testi. Articoli e qualche saggio o conferenza che Tabucchi non aveva incluso in precedenti raccolte, di letteratura, di cinema, e di amicizia, apparsi per lo più su “la Repubblica” e il “Corriere della sera”. La vis polemica quale ancora usava ai suoi tempi (ma Tabucchi è morto nove anni fa, il tempo ha accelerato?): “Anni fa”, è l’avvio, “mi capitò di avere una polemica con un semiologo italiano che scrive anche romanzi”, che sarebbe Umberto Eco. Ma senza l’acredine politica che lo ha afflitto negli ultimi “interventi” – fece “fascista” pure il presidente Ciampi.
Più a suo agio, disteso, in materia di lettere e arti. Con “un poco” di molti, il suo Pessoa, ma anche Kipling, e perfino Céline, Borges e Cortázar e Guimarães Rosa ma anche Petroni (il dimenticato “Il mondo è una prigione” - con i “livellatori degli ideali”) e Primo Levi, Drummond de Andrade naturalmente, Mercé Rogoreda, Manuel Puig, e “gli amici”Vargas Llosa, Vila-Matas, Del Giudice, Norman Manea, Montalbàn. C on un ricordo lirico di Marylin Monroe, e una sorprendente analisi, vent’anni fa, di Pedro Almodovar. Con quattro necrologi, genere poco praticato che gli riesce, di Elvira Sellerio, Luciana Stegagno Picchio, Zanzotto e Antonio Cassese, con cui condivise le battaglie giuridiche, pacifiste. Con un gusto forse meno esercitato sui più giovani: di una mezza dozzina si leggono recensioni e prefazioni non più affidabili.
I quattro saggi iniziali, qua e là utilizzati in articoli di giornale e interventi vari, in continuazione rimpolpati e riscritti. sono di grande lettura. Nell’“Elogio della letteratura”, quello che comincia con la polemica contro Eco “maestro di scuola”, e nei due saggi che fanno un bilancio del Novecento, “Controtempo” e “L’araba fenice”, fa del Novecento il secolo del disagio. Dell’autore, dell’autore nel secolo. E dell’inevitabile deriva, nell’inquietudine di Pessoa, il “rimorso” di Gadda, la “rabbia” di Pasolini – il Novecento è molto altro, ma Tabucchi è persuasivo: la malinconia, l’incertezza - anche nella forma attenuata dela mancanza, della saudade , del desìo, dello spleen, dell’ansia di Auden (“The Age of Anxiety”) – domina il secolo.
Di Gadda e Pasolini in “Controsenso” delinea perspicui riferimenti alla classicità greca: “Pasolini e Gadda sono Prometeo ed Epimeteo, i gemeli con la faccia rivolta verso la comprensione del futuro e la comprensione del passato. Ma in realtà sono un’unica medaglia le cui facce sono indistinguibili”. Difficile coniugare insieme Pasolini e Gadda ma Tabucchi ci riesce.
“Chiardiluna” è un itinerario impertinente sulle tracce in letteratura del sole e della luna. A partire da Leopardi, “colui che con la luna ha dialogato (direi addirittura che con lei ha intrattenuto una corrispondenza postale) eleggendola al contempo a innamorata, confidente, sorella, madre putativa e a testimone impassibile della propria malinconia e delle disgrazie degli uomini”.
L’elogio di De André è da iperuranio. Il cantautore è il primo aedo. La poesia nasce e rinasce, in ogni epoca e luogo, con la musica.
Antonio Tabucchi, Di tutto resta un poco, Feltrinelli, pp. 303 € 12

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