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venerdì 1 gennaio 2010

Vuoto di critica per Alda Merini

Poesie religiose, poesie d’amore: questo “Carnevale della croce” mette insieme, a cura di Ambrogio Borsani, “ventitrè poesie inedite”, e un florilegio delle ultime raccolte di ispirazione religiosa. È un’antologia affrettata (alcuni degli inediti sono nelle raccolte Acquaviva e Crocetti), in morte della poetessa, ma centrata sui suoi due temi, l’amore e la croce. E sottende la verità, che la brama d’amore della Merini, anche il più animale, quello che la raccolta cortiana “Vuoto d’amore” documenta in manicomio, è sempre a suo modo religiosa: è mistica e non è panica, è sempre indirizzato, anche quando non lo dice, a una particolare sensibilità religiosa, che è quella di Gesù e del Cristo, dell’uomo vivente e dell’uomo in croce (il sacro è legato al corpo, lo insegnava Giovanni Paolo II negli incontri del mercoledì, ma non ce n'era bisogno). Il titolo, “Il carnevale della croce”, riprende il commento finora più denso benché breve sulla poesia della Merini, quello di Luca Bragaja, che ha ordinato nel 2003 la raccolta “Nel cerchio di pensiero”: la poesia di Alda Merini come “un violento «carnevale della crocifissione», culmine della corporeità violata e simbolo denso del misticismo cristiano”.
Ma la cosa, ogni cosa di Alda Merini, va approfondita. La pubblicazione einaudiana avrà anche il merito di sottolineare, sempre per omissione, l’assenza di un approfondimento critico della poesia meriniana, l’assenza del Critico – ogni autore è il suo Critico, si sa, l’assestamento critico duraturo delle sue poetiche, dei loro esiti. Molto gettonata per i fatti della vita, la malattia, la solitudine, la povertà, gli amori, il manicomio, i matrimoni, la quasi riduzione a barbona, che lei stessa in vecchiaia ha dovuto alimentare per sopravvivere, l’amore di Manganelli e Quasimodo, o del pittore, o del ballerino, o dell’editore, il vino, i preti bellissimi Da Piaz e Turoldo. Ma mai studiata. Maria Corti, che l’ha seguita dagli esordi, ne dà utili notizie nell’introduzione al “Vuoto d’amore”, ma più, anch’essa, per montare il personaggio, “la cronaca” che dice di voler mettere da parte, e la sistemazione critica dell’“eccezionale sistema metaforico della Merini” rinvia, “non è questo lo spazio”, limitandosi al riduttivo “poesia istintiva e epifanica”. La mancanza è offensiva per una poetessa che “non esiste fuori della poesia”, come spesso di sé dice.
La storia di Alda è semplice. Ma neanche questa a ben vedere in tanto pettegolismo si dice: la si mostra marchiata dal manicomio, mentre era una bella ragazza, e la sua psicologia è a questa condizione legata. È la storia di una bella quindicenne, poetessa prodigio in ambiente milanese molto raffinato, Romanò, Spagnoletti, Luciano Erba, Turoldo, Maria Corti, che Manganelli si scopava il sabato pomeriggio nel pied-à-terre della Corti, o in camere a ore, dopo che aveva già avuto un ricovero per disturbi mentali, e talvolta portava a far vedere a Fornari e Musatti – chissà come analizzavano i grandi clinici questa minorenne. La poetessa adulta può perciò dire in “Alla salute”, la raccolta di versi e pensieri: “Alda Merini è stata in manicomio ma non è una pazza”. È anzi speciale. Per il senso religioso di ogni evento. E perché naturalmente dotata, da “ragazzetta” (l’apposizione di Pasolini, quando la ragazza prodigio aveva già ventitrè anni, è evidentemente per “chiara fama” – divulgata da Manganelli?) e poi dopo le lunghe degenze in manicomio, e perfino durante, del dono della poesia. Su richiesta ultimamente spesso degli amici, dalla ben intenzionata crudeltà. Una scrittura per evidenti aspetti automatica - “improvvisazioni” le definisce Bragaja, “di getto” Corti - e tuttavia consequenziale, per logica grammaticale e sintattica oltre che per musicalità. La parola come dono, tipica dei mistici, e di alcune forme di schizofrenia. E sempre densa, provvida di senso. Molte della sue ultime composizioni sono dettate al telefono agli amici, Arnoldo Mosca Mondadori, Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, don Marco Campedelli, della parrocchia di san Niccolò a Verona, Alberto Casiraghi, Borsani, le voci che a periodi Alda sentiva amiche. “Il mistero di ogni apparenza è corona alla nostra fantasia”, dice del suo dono. Che si spinge a individuare “il suono dell’ombra”.
È una poesia anche esemplare del “lombardismo”, un uso preciso e quindi irreale dell’italiano, senza faglie. Che ha in Manzoni momenti insigni, e anche nella regolare irregolarità di Dossi e Gadda, benché artefatto. In Alda Merini fa parte della “dote naturale”, manifestandosi nei racconti de “Il ladro Giuseppe” quasi da scuola.
I racconti sono peraltro deliziosi, commoventi. Per dei trent’anni che si possono comparare utilmente con altri trent’anni famosi, quella di Ingeborg Bachmann, per il diverso crogiolo o ambiente letterario. Il che riporta al discorso iniziale: milanesissima e celebratissima, Alda Merini soffre anche lei della disattenzione milanese. Ha avuto estimatori sempre emeriti, grandi critici, editori di ogni specie, e da vecchia molteplici dame e cavalieri di san Vincenzo, e mai attenzione verso il suo lavoro.
Alda Merini, Il carnevale della croce, Einaudi, pp. 985, €11
Alla tua salute, amore mio, Acquaviva, pp. 128, € 9
Io dormo sola, Acquaviva, pp. 80, € 6,50
Nel cerchio di un pensiero, Crocetti, pp. 80, € 10
Il ladro Giuseppe, Scheiwiller, pp. 82, € 10,33
Vuoto d’amore, Einaudi, pp. 136, € 13

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