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sabato 23 agosto 2025

Cronache dell’altro mondo – circoscrizionali Democratiche (354)

I legislatori della California hanno votato in prima lettura (altre due sono necessarie) un piano di ristrutturazione delle circoscrizioni elettorali del governatore Gavin Newsom per passare cinque seggi finora detenuti dai Repubblicani ai candidati Democratici al voto di medio termine fra un anno.
L’iniziativa eguaglia quella presa dal governatore Repubblicano del Texas, di ritagliare cinque circoscrizioni Democratiche in modo che i seggi passino ai Repubblicani.
I deputi Democratici del Texas si erano assentati dimostrativamente dal voto sulla ristrutturazione passando in California. Un gesto a uso dei media.
Anonima invece, nella disattenzione, la ristrutturazione avviata da Newsom – futuro candidato alle primarie presidenziali Democratiche.
Anche il termine gerrymandering, gergo critico delle ridefinizioni dei collegi elettorali a uso politico, viene evitato nei pochi echi del caso California.

Diderot, recalcitrante, fa il manuale del buon attore

All’origine una recensione, richiesta da Grmm per la sua “Correspondance littéraire”, di un libro inglese, tradotto da Antonio Sticotti, su Garrick, “Garrick ou les acteurs anglais”.Opera “contenente riflessioni sull’arte drammatica, sull’arte della rappresentazione e sul gioco degli attori”. Garrick è l’attore-produttore inglese di teatro che dominò le scene a metà Settecento, di fama dilagante da Londra in tutta Europa. Sticotti è della grande famiglia di comici italiani in giro per l’Europa nel Settecento. Diderot era anche autore, anche lui, di teatro, ma senza grandi soddisfazioni.
Dopo “Il nipote di Rameau”, dodici anni prima, la recensione è una ripresa, in sordina, dell’interesse per il teatro. Ma distaccato, come se avesse perduto l’ambizione a dominare le scene. Non aveva nemmeno pubblicato la sua terza è ultima commedia, ”Est-il bon? Est-il méchant?”. Come una caduta del desiderio, o della soddisfazione del soliloquio, senza interlocutore reale. Aveva cominciato anche a non andare più a teatro, a meno di obblighi sociali. Ma – aggiunge il curatore dell’edizione  francese, Jean Godsznik, non si dice anche che “si ama sempre più (e più a lungo) il teatro quanto meno lo si frequenta”?
Il fatto è che Diderot tornò a lavorare sulla recensione per un decennio, tra il 1770 e il 1780, ingrossandola e molto affinandola. Ma non si curò di pubblicarla – è avvenuto solo nel 1830. E ora si può affermare - è stato fatto: “Non esiste opera di Diderot più letta, più commentata, più contestata e più sicura di sopravvivere”.
In forma di dialogo, opinioni non sempre omogenee sul mestiere della recitazione. Ma soprattutto aneddoti e notazioni sulla vita letteraria e teatrale del secondo Settecento. In forma di dialogo fittizio, fra un Primo Interlocutore e un Secondo Interlocutore. Con l’interpolazione di una o due scene del Moliére minore, “Il dispetto amoroso”, “un attore” e “un’attrice”. Oltre alle osservazioni sul mestiere della recitazione,
Denis Diderot, Paradosso sull’attore, Editori Riuniti, pp.181 pp. vv.

venerdì 22 agosto 2025

Letture - 588

letterautore


Biografie – Bisogna fare la tara del biografo, prima di accedere al biografato, spiega Lauren Kane, slla “New York Review of Books”, recensendone alcune – “Get a Life”Fatti una vita”.  Spiegano le opere, ma anche no – sicuramente riflettono l’autore, il biografo non il biografato. n
 
Bovary – È il prototipo della “donna perduta” all’opera nel secondo Ottocento?
È il tema di alcuni seminari di studio della  “New York Review of Books”, in particolare su “Lucia di Lammermoor” – che però è molto anteriore a “Madame Bovary” – insieme con “La Traviata” e con “Madame Butterfly”.
 

Céline – “Céline con le unghie sporche”, registra E. Jünger a un certo punto dei diari parigini (“Irradiazioni”, p. 192: “Entro ora in una fase nella quale la vista dei nichilisti mi diviene fisicamente insopportabile”.
Qualche pagina prima ne registrava invece un’immagine positiva: “A sera da Armance, che è inferma: si è ferita a un piede a casa di Céline. Mi ha raccontato che questo autore, nonostante le sue grandi rendite, è sempre a corto di denaro, poiché lo distribuisce completamente alle prostitute, che, con tutte le loro malattie, ricorrono alle sue cure”.
Poco più in là, avendo conosciuto Céline personalmente, resta tramortito dal suo feroce antisemitismo, aggressivo, che imponeva agli interlocutori. E prndee a chiamarlo Merline, per poterne parlare male senza rischio di denunce (se non che Céline essendosi querela contro la traduttrice in francese dei diari, che al posto di Merline aveva addirittura scritto Céline, dopo la causa anche Merline fu cambiato. Più tardi, in una lettera del 1994 (a Helmut Krausser), Jünger confermò: “
Merline”, personaggio sgradevole, era Céline. In vari passi. Il più noto ricorre il 7 dicembre 1941, un pomeriggio all’Istituto tedesco, Céline si dilunga con discorsi “selvaggiamente antisemiti”:”Fra gli altri c’era Merline, grande, ossuto, forte, un po’ goffo, vivace nella discussione, anzi nel monologo. È caratteristico quel suo sguardo da maniaco introvertito, che riluce come dal fondo di una caverna. Non guarda né più a sinistra né a destra: si ha l’impressione che cammini incontro a una meta sconosciuta. «Io ho la morte sempre al mio fianco», e indica una sedia come se ci fosse seduto sopra un cagnolino. È sorpreso, urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a disposizione, non ne faccia un uso illimitato. «Se i bolscevichi fossero a Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si pettina la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. E avessi io la baionetta, saprei cosa farne».
È qui che Jünger rivela che la Banine, la traduttrice dei diari in francese del 1951, detestando anche lei Céline, utilizzò il nome vero al posto dello pseudonimo, per cui ci fu una causa per diffamazione contro Jünger. Il quale, per mettere fuori bersaglio la sua amica intima  Banine, all’interrogatorio disse che si doveva essere trattato di un refuso.
Céline, se una cosa fu sempre, nella vita agitata e scombinata, prima e dopo il Grande Romanzo,  prima e dopo l’antisemitismo e il collaborazionismo, fu il medico dei poveri. Il suo antisemitismo è dubbio che sia stato filotedesco - era ferocemente anche anti-boche, antitedesco, come combattente mutilato della Grande Guerra. Ma è possibile che fosse invadente, perché fu feroce - come era nel suo stile di scrittura, aggressivo - e costante. Per almeno quattro libelli. E della stessa tipologia dei poveri suoi pazienti, sicuramente, dubitare e imprecare contro gli ebrei erano discorso comune.  
Risentito nella vita quotidiana, come un piccolo borghese qualsiasi - quelli di "Morte a credito", che erroneamente si sottovaluta. Nel cui armamentario rientrava l’abominio dell'ebreo, in quanto presunto soggetto di privilegio. Con l’aggiunta del complottismo - dell’ebreo che trama guerre e rivoluzioni. Una deriva da cui Céline era inizialmente esente - lo è anche nel romanzo. Che però maturò col soggiorno a Mosca nel 1935 per godere dei diritti d’autore del “Viaggio”, col libello “Mea culpa” – che Giovanni Raboni ha voluto tradurre. Su cui ha concatenato la paura, in lui molto viva, quasi paranormale, e motivata, della guerra imminente, e poi della guerra già perduta, nei tre altri pamphlet, uno ogni due anni, “Bagattelle per un massacro”, “La scuola dei cadaveri”, “Le belle bandiere” (o “La bella rogna”).  Il tutto innestandosi sull’esperienza dello stesso Céline medico alla Società delle nazioni, funzionario dell’organizzazione della sanità, quella che poi sarà l’Oms. Ed è questo il primo risentimento raccontato, ne “La chiesa” – in forma drammatica perché Céline cullava l’illusione di farsi ricco col teatro. L’operetta del 1926, sette anni prima del “Viaggio”, rifiutata dagli editori e dai teatranti, è probabilmente il primo testo letterario del dottor Destouches, il futuro Céline, nel 1926, contemporaneo al “Progresso”. Due abbozzi di commedia, definiti dall’autore farse. Dove però non si ride, al più si ghigna: due testi satirici. Uno contro il vizio del voyeurismo, suo proprio, dell’autore, e “La chiesa” contro il carrierismo alle Nazioni Unite, all’insegna ipocrita della pace e lo sviluppo, ambiente che il dottore conosceva per averci lavorato a più riprese per un decennio (a quella che sarà l’Oms, l’organizzazione per la sanità): “Il tema della farsa è esplicito: sollevare il velo sulle buone intenzioni degli uomini chiamati a compiti di responsabilità negli organismi internazionali che si occupano dello sviluppo e del progresso delle popolazioni più indigenti”. La “farsa” ha, tra i luoghi comuni sulle massonerie, l’ebreo cinico Yudenzweck (“la cosa ebraica”), uomo senza emozioni.

Ma, ecco il punto, quello di Céline non era un (ri)sentimento isolato. Su Yudenzweck sembra ricalcato il Solal di tanti libri di Albert Cohen, anch’egli per qualche tempo ginevrino, anch’eglig alla Società delle nazioni (all’Ilo, l’organizzazione del lavoro).

 
Dante – “Quanti libri su Dante possono uscire in un trimestre?”, si chiede Boitani sornione (“Sole 24 Ore Domenica” 17 agosto). E si risponde: “Sembra ci siano periodi dell’anno in cui essi planano con la stessa frequenza delle stelle cadenti attorno al 10 di agosto”.
A proposito  di “Dante e il mare”, di Donato Pirovano, e di “La materia di Dante. Dante e la materia del mondo”, di Ambrogio Camozzi Pistoja.
 
Filologia – Serve alla creazione meglio degli stessi autori, che spesso si confondono, e quasi sempre non sono organizzati – non mancando i motivi per mentire. Gabriele Pedullà, “Domenica” del “Sole 24 Ore” 17 agosto, lo spiega con un caso famoso, la poesia di Saba “A mia moglie”. Recensendo un’opera di ricostruzione filologica al poema dedicata, a opera di Stefano Carrai, il titolare di Letteratura alla Normale di Pisa, “L’autografo di «A mia moglie»”, che dimostra tutto il contrario di quanto andava dicendo Saba: “Per chi si interessa dei segreti della creazione artistica le carte e le ricerche dei filologi rimangono, a conti fatti, più affidabili degli autori stessi”.
Saba ha sempre sostenuto di avere composto la poesia “di getto”. Per esempio in “Storia e cronistoria del Canzoniere”: “Devo averla composta in uno stato di incoscienza,  perché io, che quasi tutto ricordo delle mie poesie, nulla ricordo della sua gestazione… Né la poesia ebbe mai bisogno di ritocchi e di varianti”.
Carrai ha invece rinvenuto tra le carte di Saba cancellature, anche radicali, riscritture, e varianti (indecisioni), molte. Anche a distanza di tempo. G. Pedullà è così portato a concludere: “Per chi si 
interessa ai segreti della creazione artistica le carte e le ricerche dei filologi rimangono, a conti fatti, più affidabili degli autori stessi”.

L’autore è un fingitore – si direbbe con Pessoa, o Tabucchi.
 
Principe Nero -  Sono tanti, nella storia e nella fantasia. G. Greene, “Un americano tranquillo”,135), ha quello di Limoges – quello “che ha massacrato tutte le donne e tutti i bambini di Limoges”.
 
Romanzo politico – “Viviamo in un mondo politico”, per dirla con Bob Dylan (1989: “We live in a polical world\ Love don’t have any place\ We’re living in times\ Where men commit crimes” -nulla di eccezionale, eccetto la rima times-crimes. E su questo tema la “NewYork Review of Books” tiene una serie di seminari, uno a settimana, sugli autori che meglio ne hanno fatto uso - “Stranger than fiction” è il filo conduttore: narrazioni di date, personaggi, eventi irreali e normali, senza cadere nell’irreale, utopico o distopico. Tra i primi autori studiati Conrad (“Cuore di tenebra”, “L’agente segreto”, “Nostromo” ), H.G.Wells (“La macchina del tempo”, “L’isola del Dr.Moreau”), Anthony Trollope e Ursula Le Guin (“The Dispossessed”).
Il romanzo, in realtà, non è da secoli che vi si è adattato – forse già dalle “Lettere persiane” di Montesquieu, dal “Candido” di Voltaire – perfino da Sterne, “Vita e opinioni di Tristram Shandy”?

letterautore@antiit.eu

Dante e l’indicibile

Acclamato dal “Financial Times per la fedeltà e la chiarezza, David Macleod Black, poeta e psicoanalista scozzese di origi sudafricana, completa a 83 anni la sua traduzione della “Commedia”. Già acclamato per il “Purgatorio”, pubblicato in traduzione nel 2022, premiato col National Translation Award in Poetry britannico. La nuova traduzione era stata avviata col poeta irlandese Ciaran Carson, cui si deve l’“Inferno” – deceduto dopo la pubblicazione.
È la ennesima traduzione di Dante, della “Commedia”, disponibile in inglese, segno di una forte domanda. Questa si segnala, spiega Black nel saggio che la accompagna, per esaltare in questo ultimo Dante un mondo angelico, di libera volontà, grazia, e amore. Con la forma dell’universo e come trovare posto in essa. Con “inventive daring” e “linguistic ingenuity” , audacia inventiva e robustezza linguistica. E per l’aspetto quasi avanguardistico, di ricerca: “Dante stira il linguaggio ai suoi ultimi limiti, provando a rendere vivido e tangibile l’ineffabile e il sublime”.  Confortato da T.S.Eliot: “La Divina Commedia è un richiamo costante… a esplorare, a trovare parole per l’inarticolato, a catturare quelle sensazioni che si possono con difficoltà avvertire, perché non ci sono parole per esse”.
D.M.Black (a cura di), Dante Alighieri in Paradiso, “The New York Review of Books”, pp. 400 $ 14,95

giovedì 21 agosto 2025

Meloni al tramonto - 2

E così tutto l’intrigo bancario del suo governo sarà stato di donare Bpm ai francesi di Crédit Agricole, e Mps-Mediobanca-Generali agli eredi Del Vecchio. Un po’ da perecottari, si direbbe nel suo gergo, della presidente del consiglio Meloni, ma non è poi la conclusione che la mette in ginocchio, è l’approccio che Meloni ha sbagliato, il pauperismo-populismo dell’antico fascio sociale buttato, come nella vecchia tradizione populista, sopra alle banche – un po’, anche, come al tempo dei demo-pluto-massonici, i riflessi condizionati si autogestiscono. Gli affari non perdonano, e Milano è specialmente sensibile su questo.
Meloni non sa e non capisce che la banca è tutti noi, e che le intromissioni politiche sono viste – non lo sono? – come veleno.  Senza alcun effetto a suo vantaggio (non ha una banca, non ha niente, solo paura) ha spaventato i più – cioè tutti quelli che hanno un conto (che a regola delle leggi Monti e Draghi dovrebbero esere tutti gli italiani, tutti con carta di pagamento
 e onusti di un conto corrente, anche per pochi euro di reddito). Il potere delle banche è evidente a tutti, solo a Meloni no? E comunque n
on sa che i suoi stessi beneficiati, soprattutto in Bpm, sono democristianissimi che mai la voteranno –una romana, per di più. Le 1.500 filiali del gruppo, tutte più o meno sopra l’Appennino, e i suoi quattro milioni di clienti saranno certamente diffidati dal votarla - è ben una ex Popolare. La Lega si riprenderà la Lombardia e anche Milano, dopodiché non ci sarà Meloni, ci sarà Salvini.

Ma, certo, il capolavoro è avere di fatto donato tutto ai figli Del Vecchio, che non si sa nemmeno chi somo, e al Crédit Agricole. Si capisce qui che non ha capito. che cosa ha messo in moto. Si ritroverà contro tutta la banca, non solo Intesa e Unicredit in odore di Pd, ma anche i suoi beneficati, i furbi che si sono avvalsi della sua dabbenaggine, Bpm e Del Vecchio-Mps-Mediobanca-Generali. Questi non vogliono briglie, politiche poi. E il perché di tanto errore è semplice: non sa di finanza, zero totale, e non se ne occupa - penserà che le banche siano catene di negozi? – se non per lo show off, la manifestazione di forza. È come gli italiani più  ricchi degli inglesi, la bufala dei giornali - e come no, gliele suoniamo sempre, alla perfida Albione. Oppure non capisce: se Cairo e Elkann, suoi nemici giornalieri, esultano per Mps, qualcosa non vorrà dire? Finora ha profittato della pochezza di Schlein, la vispa Teresa del Pd, ma al voto sarà diverso.

Del resto, a testimoniarne la statemanship bastano gli sgomberi: il Leoncavallo (Milano) sì, CasaPound, de noantri, no.
Poi vengono le regionali. Dove si muove-non si muove per far vincere il Campo Largo, come in Sardegna e a Genova, o il Pd che sia, anche in Campania, e nelle Marche malgrado tutto, e perfino in Calabria – non ha capito che Tridico vuole dire “reddito di cittadinanza”.
Inutile insistere sull’incapacità di spesa. Dagli alluvionati alle strade franate e alle Ferrovie. Che mandavano i treni veloci e puntuali, e ora sono tomate alla “Freccia del Sud”. Con migliaia di miliardi, da ultimo del Pnrr, non spesi. Per l’idrologia per esempio, invasi, acquedotti, condutture urbane (non c’è sistema idrico che non perda la metà del trasportato…..): non sa spenderli, e non si cura minimamente di come fare. E questo tutti i Comuni lo sanno.
Vanta l’aumento dell’occupazione – che non dipende da lei. Parla bene l’inglese, è l’unica donna, e giovane, fra i Sette, e all’estero tutti spendono contenti qualche parola con lei. Così in politica estera se la cava – anche perché bene e male rappresenta l’Italia, che non è San Marino. Ma forse non ha capito che la politica è politica interna.

Celebra il voto al Senato sulla riforma della giustizia, che però arriva dopo due anni, necessita di un secondo sì alla Camera, di un terzo al Senato, di un quarto alla Camera, e di un referendum. Che il governo perderà – ammesso che riesca a “bruciare le tappe” nei venti mesi restanti della legislatura (ma siamo già ai primi del 2026, i restanti mesi del 2025 andranno alle leggi finanziarie). E il premierato, la sua bandiera? 

Cronache dell’altro mondo – patinate (353)

Prima del 2024 e del 2016, prima di “The Apprentice” in tv, c’è stato “The Art of the Deal”, bestseller del 1987, pubblicato da Random House, rispettabilissima casa. Samuel I. Newhouse, l’editore di Random House e dei periodici Condé Nast – tra essi “Vogue”, “Vanity Fair”, “The New Yorker” - era un amico di lunga data di Roy Cohn, l’anima nera di Trump.
I direttori di Condé Nast, tutti ben scelti, furono i migliori negli anni pre-millennio – Anna Vintour, Tina Brown, eccetera.. Su “Mademoiselle” hanno esordito Truman Capote e Carson McCullers. Su “Vogue” hanno scritto Joan Didion, Alice Munro, Penelope Mortimesr, Jane Bowles. Ma la scoperta di maggior successo di Newhouse fu Trump.
(“The New York Review of Books”, una delle riviste più anti-trumpaine)

La scoperta dell’Aspromonte

Una drammatizzazione del poema cavalleresco, a fine Duecento, in francese, “La Chanson d’Aspremont”. commissionato dai re Normanni di Calabra e Sicilia per  la terza crociata, in partenza nel 1189 da Messina, dove  convennero i re d’Europa. Una sorta di incoronazione trionfale dei Normanni.
Un poema voluminoso, in XVII canti, che traspone localmente le gesta di Carlo Magno e i paladini di Francia, solo modificando alcuni nomi - il principale è la città di Risa, Reggio Calabria (come si pronunciano in francese le iniziali della città). Uno spettacolo multimediale, voce, immagine, presenza scenica, da un’idea di Dario Zema, attore, educatore, che fa da aiuto al regista. La sceneggiatura è opera di Francesco Sgrò, docente all’Accademia di Belle Arti a Reggio. Con molte immagini, interpolazioni video, e quattro voci narranti, Giusva Branca, Adriana Cuzzocrea, Francesca Russo, e lo steso regista.
Una proposta degna di nota se non altro perché è una prima presa di coscienza di questo poema di grande rilevanza storica, e anche poetica. Che potrebbe essere servito di ispirazione al Boiardo e all’Ariosto, forse nell’adattamento successivo in volgare, un secolo dopo, a opera di Andrea da Barberino (lo studio delle fonti dei due poemi la trascura, ma la “Chanson d’Aspremont” resta sconosciuta anche gli studiosi). Il Sud si trascura, più che essere trascurato.
Un poema relativamente molto studiato in Francia, dove è anche edito, con notevoli commenti. Ma non in Italia, per non dire localmente – se ne è occupata, a tratti, Carmelina Sicari, laureata in  Lettere, già preside dell’ex liceo magistrale a Reggio.
Andrea Francesco Calabrese, La battaglia d’Aspromonte, hotel Centrale, Gambarie d’Aspromonte

mercoledì 20 agosto 2025

Problemi di base - fuoriserie

spock


“È difficile che il vertice Putin-Zelensky si tenga a Roma”?
 
E perché dovrebbe, per arrestare Putin?
 
Gli eredi Del Vecchio vendono occhiali audio a mille euro che non servono a niente, nemmeno a vedere, per comprarsi le banche?
 
Furbi, però: se Caltagirone a Milano era da ridere, ora l’hanno azzerato anche in Mps?
 
E il Del Vecchio padre che ha salvato, lacrime, l’ospedale all’Isola Tiberina di Rom
a, mentre invece lo ha fatto il Vaticano, tramite il Gemelli?

 
Gli eredi Del Vecchio ci pagano per celebrarli?
 
E il ministro Giorgetti, che considera Unicredit una banca russa
, da colpire col “golden power”, e Crédit Agricole una banca italiana (sarà della valle d’Aosta?) ci è o ci fa?


spock@antiit.eu

Israele, ultimo colonialista

Ora in classifica col bestseller “Quando il mondo dorme – Storie, parole e ferite della Palestina”, da tempo la relatrice speciale dell’Onu per i territori occupati da Israele in Cisgiordania ha un giudizio molto radicale sull’Israele di Netanyahu, di colonizzazione e violenza. Con una posizione a sua volta radicale di condanna.
Pubblicato a novembre del 2023, a ridosso dell’attacco di Hamas, il “J’accuse” è in realtà una sorta di background della guerra scatenata dalla formazione palestinese - che tuttora è classificata terrorista. Dettaglia la politica spinta di colonizzazione seguita dai governi Netanyahu, entro un progetto politico che intendeva, e intende, sradicare i residui palestinesi dalle loro terre. Che peraltro, radicalismo o no, è la verità del giorno - di ogni giorno, da troppi anni. 
Francesca Albanese-Christian Elia, J'accuse.
Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l'apartheid in Palestina e la guerra, Fuori Scena, pp. 176 € 16

martedì 19 agosto 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (603)

Giuseppe Leuzzi


Quando si tratta di Ucraina, anche al vertice Trump-Putin in Alaska, l’Italia geme per i “Nordici”: appelli si susseguono strappalacrime a favore dei Nordici e dei Baltici contro la Russia. Nordici, maiuscoli, e baltici come se fossero all’ora di Carlo XII di Svezia. Quello che, con gli ausiliari baltici e ucraini, pensava di prendersi la Russia.
Curiosamente, in Italia i “Nordici” (scandinavi e baltici) sono socialisti e progressisti, mentre sono di destra, da almeno trent’anni. Non si riesce a non fantasticare sui “Nordici” – li vogliono fare antipatici, e magari non sono nemmeno leghisti, saranno di destra in proprio.   
 
“Sarà un Ferragosto bollente. Fino a 40 gradi al Centro-Sud”. Paginoni e primi titoli  dei tg il 7 agosto. Poi viene Ferragosto, e il Centro-Sud lo passa in tranquillità, nemmeno troppo caldo. Certo, la meteorologia in Italia è all’età della pietra. O si fa giornalismo solo seminando paura? Certo, c’è la fomula “fino a”, p.es. 32 gradi, o trenta, perché no.
Queste non è una questione di Nord vs. Sud, ma è ugualmente superficiale: che si trova di buono al Sud? Caldo – quando le città più calde sono Firenze, Bologna e Milano, da qualche secolo.
 
Qualcosa di strano in questa inchiesta sulla Nuova Urbanistica ambrosiana effettivamente c’è: non c’è un meridionale. Fra i rei. Al tempo della giudice Boccassini, appena ieri, non sarebbe successo. Oppure quando il il gioco si fa duro, la mafia è lasciata alla porta?
 
La Sicilia si celebra in Polonia
Giusto Arbasino, alla scoperta della Sicilia alla bellezza di settant’anni (“Passeggiando tra i draghi addormentati”), e dopo di lui il maestro Pappano con l’orchestra di Santa Cecilia, per l’inaugurazione della stagione 2017-2018, “celebrano la celebrazione” che della Sicilia fece un secolo fa il compositore polacco Karol Szymanowski, “Król Roger”, re Ruggero (d’Altavilla) : l’unica opera dedicata ai re palermitani. Che Arbasino ha visto vent’anni prima, a Londra, al Sadler’s Well, e di cui conserva memoria vivida. Che evoca e spiega lungamente.
Un re  “già carico di ‘problems’” deve farsi carico delle fantasie della romantica sposa Roxana, che “nella notte, in un magico e profumato giardino moresco al centro di Palermo… gorgheggia fra i melograni e i gelsomini”, mentre “il savio astronomo islamico suggerisce di far le cose con cama”.  Un pretesto, per un  patchwork di riti e miti, e di vario genere di musiche – “una “Bayreuth zingara dove Tannhäuser si prende delle  confidenze con Manon Lescaut, Skrjabin fa amicizia con Bartók, e Richard Strauss col Pierrot Lunaire….”.
L’opera di fatto è diversa, a parte il mix di stili musicali. Meditata nel tema, non superficiale. Fondata anche su un’esperienza di almeno due viaggi del compositore in Sicilia, nel1911 e nel 1914. Certo, la Sicilia emerge come fondale – l’opera è un rifacimento delle “Baccanti” di Euripide.
Però è un nome di richiamo. E non per fatti di sangue, nell’attardata Mitteleuropa post-bellica (post “fine dell’impero” che angosciò J.Roth). “Sia pure nei frivoli e gay anni Venti” del secolo passato, per dirla con Arbasino - “un’opera impressionistica e bizantina, greca antica e arabo-orientale, indo-bretone-normanna, apollinea, dionisiaca, cristiana, pagana, siddhartica, mitteleuropea, decadente, onirica d’altronde come la Sicilia stessa”. Onirica.
 
Il Sud si è spostato al Nord
Nel primo quarto del millennio “oltre un milione” di persone si è spostato dal Sud al Nord Italia. In prevalenza laureati. Il calcolo è della Svimez, e quindi attendibile. Con un’accelerazione ultimamente: nel biennio 2023-2024  hanno lasciato il Sud per il Nord 241 mila persone. Di questo passo, al 2080, diciamo nell’arco di cinquant’anni, mezzo secolo, “la popolazione a Sud del Lazio diminuirà di otto milioni e il Sud avrà quindi la metà esatta dei residenti di oggi”.
Un’emigrazione ora di tipo particolare. Fino a fine millennio era laureato un emigrato meridionale su quattro, ora lo è il 42 per cento, poco meno di uno su due.
Questo è male o un bene? Si direbbe un bene, molti più giovani al Sud vano all’univesità – molti di più di quanto il tessuto economico possa poi assorbire, nel mercato del lavoro locale.
Le ragioni della fuga sarebbero, oltre alla “produzione” in eccesso di laureati sul fabbisogno locale, la possibiltià di carriera e il maggior reddito che il Nord offre. Ma non si sa. La carriera è sempre difficile, anche al Nord. Il reddito? Pure. Non c’è confrono,  dice la Svimez, fra Milano, dove il reddito medio è di “oltre” 34 mila euro, e Foggia, con i suoi 14.554 euro.
Un calcolo corretto vorrebbe il reddito valutato sul potere d’acquisto. Sul costo delle abitazioni soprattutto, sui trasporti, sugli stessi consumi alimentari. A Milano l’abitazione costa tre e quatttro volte più che a Foggia. E anche l’alimentazione. E il pendolarismo urbano. Si prenda un professionista dipendente pubblico: un conto è lo stipendio a Milano, quanto vale, e un conto a Foggia – dove il dipendente pubblico, un maestro p.es., è “ricco”. E bisogna inoltre valutare anche il peculiare contesto italiano, del lavoro “nero”, ancora molto diffuso al Sud, soprattutto fra gli artigiani, e della doppia o triplice occupazione.
La storia sarà come la Svimez prevede. Ma il fatto è insomma complesso. Senza contare che molti degli emigrati sono già ritornati, con la scusa del lavoro da remoto. E poi l’emigrazione non è un condanna, non necessarimente. Spesso è una vocazione. O un’evasione, come andare fuori di casa. Anche fuori d’Italia, perché no. E come si fa a pensare un’area vasta come il Sud abitata da -7 milioni di persone, rispetto ai 13-14 di oggi. Le città, p.es., che oggi ne hanno un milione, Napoli,  Palermo, Catania.
 
Dove è bastato poco
La Puglia sembrava abbandonata ancora negli anni 1970. Dotata solo di “complanari” – una serie di circonvallazioni – diposti dall’Anas per l’interessamento dell’onorevole Moro. Il Gargano si limitava a Pugnochiuso, e anche il centro turistico di Pugnochiuso, creato e gestito dall’Eni, rifiatava grosso. Vieste aveva solo una pensione. I centri come Manduria, nel 1946 o 1947 il più “ricco” d’Italia, perché produceva di che sfamarsi e anche attrezzi agricoli, erano rimasti com’erano. Mentre il Salento restava quello della memoria, torrido, desertico, sito di un congresso eucaristico vent’anni prima. Ora contende alla Toscana i favori del turismo residenziale affluente, per bellezze naturali e artistiche debitamente valorizzate, e una capacità minima di buona amministrazione.
In Calabria l’Alto Jonio cosentino era desertico e anzi malarico ancora negli anni 1980. Che ora fiorisce di una coltura specializzata di agrumi, anticipati e tardivi, per una più corretta valotìrizzazione dei prodotti. E si è dotato di musei in linea con la storia antica, da Sibari a Crotone. Ha l’acqua corrente, le strade rinnovate, e una pulizia svizzera. Perfino il mare, che ovunque in Calabria largheggia di belle spiagge, che qui latitano, sa valorizzare. Aveva un unico resort, dei fratelli Chidichimo – in realtà un giardino di piante grasse, tropicali, esotiche, con costruzioni minime in pietra e legno (voluto e curato dalla sorella, la madre di Carlo Rivolta),  oggi è ricco di accoglienza, decoro e coltivazioni curate.
 
Cronache della differenza: Calabria
Gianni Melidoni, il cronista sportivo del “Messaggero”, oggi novantenne, ricorda: “A 17 anni ho raccontato il Giro della Calabria vinto da Bartali”. Quindi nel 1951 si faceva un Giro della Calabria. È vero che il ciclismo allora si combatteva anche per strade sterrate. Ma non c’era l’isolamento: c’era, si riusciva a organizzare, un Giro della Calabria. Con Bartali poi.
Ora è un giro della “città metropolitana” (provincia) di Reggio. Di nessuna attrattiva. Senza nemmeno i paesi “metropolitana”. Giusto per filmare una volata sul celebrato Lungomare della citta. Venti secondi sul Tgr Calabria. Per la propaganda del sindaco “metropolitano”.
 
Caffo (“L’amaro del Capo) di Limbadi. Vicino a Spilinga, il posto della ‘nduja, due miracoli sul niente, solo ingegno – pochi capitali, niente mercato locale. Caffo, 45 milioni di fatturato, si compra Cinzano, 100 milioni. Che è sinonimo di vermuth, necessario 
se non altro per il Martini, e vende in tutto il mondo.

 
“Sono acuti d’ingegno e pieni d’astuzia”, scriveva dei calabresi Camillo Porzio, l’avvocato cinquecentesco di Napoli, storico celebrato della congiura dei baroni un secolo prima: “Forti e  nervosi, atti a patir sete e fame, coraggiosi e destri nel maneggiar le armi, e s sarebbero senza dubbio  i migliori sodati d’Italia se non fossero instabili e sediziosi” - la regione dicendo “sempre piena di fuorusciti e di ladri”. Lo stereotipo viene da lontano.
 
L’economista Giuseppe Maria Galanti due secoli dopo, nel e a proposito del reggino, l’area oggi di mafia,  parla di abitanti “vivi ed elastici….. facinorosi per essere mal governati…servi degradati…rozzi, queruli, di malafede, spergiuri,  denunciatori, calunniatori…. Indocili, ostinati nelle loro idee, rissosi e vendicativi”, e “nell’amore e nell’amicizia tenacissimi…sensibilissimi all’onore domestico”.
 
Tra i tanti monasteri fondati in Calabria da Gioacchino da Fiore o dai suoi successori Ulderico Nisticò (“”Controstoria della Calabria”, 60) include una Santa Mafia d’Altilia. È solo il refuso sdi qualche pubblicazione. Ma lui stesso suggerisce un’altra denominazione per la Madonna di Alltilia: Calabro-Maria.
Tanto regionalismo, anche sui santi – ma sul vuoto?
 
 “Basta con la la cultura della legalità che tanti danni ha fatto”. Alla messa a porte chiuse per i partecipanti alla tre giorni di Forza Italia a Reggio, “Stati General del Sud”, il celebrante don Nuccio Cannizzaro esordisce così. È stato processato per mafia e poi naturalmente assolto (indicato dal pentito, o suggerito al pentito dal giudice massone? l’antimafia è questa). Si può prenderla come sfogo. Ma lui dice sul serio: “Gesù è stato il primo a inveitre contro il farisaismo”.
 
Galasso ricorda, in “Calabria , paese e gente difficile”, pp. 180-182, don Luigi Nicoletti, il sacerdote di Cosenza, addottorato in teologia alla Gregoriana di Roma a 22 anni, che si fece consigliere provinciale, eletto per San Giovanni in Fiore, nel 1910, il secondo sacerdote in politica dopo Sturzo nel 1905, al di sopra e contro il non expedit deel Vaticano. Fondatore del partito Popolare a Cosenza nel 1919, e poi attivo antifascista, in parole e opere. Esiliato per questo a Galatina, in Puglia. Già nel 1943 fondatore della Democrazia Cristiana in Calabria. E parte nello stesso anno di un Comitato provinciale di Liberazione, col socialista Pietro Mancini e il comunista Fausto Gullo.
Sarà rimasto solo il sacerdote la “figura tipica”, anche in Galasso, della Calabria: ribellistica, sempre e comnque, e perdente?
 
S’illustra ora turisticamente, da ultimo sul “Venerdì di Repubblica” la zona dei laghi Prespa, tra Grecia, Albania e Macedonia del Nord. Una trentina o quaranta anni fa era una gita in solitario. Si oltrepassava salendo un sorta di blocco militare geco - la Grecia contestava la denominazione Macedonia del Nord, e non voleva immigrati clandestini. Che porgeva la domanda di rito: “Ma che ci andate a fare, non c’è niente”? E si continuava a salire. Finché si apriva l’altopiano, deserto e piatto, senza un albero, un cespuglio, ma con la targa su una palina solitaria, Platì - così, certo col p greco.
 
Che, poi, anche in Calabria più che altro è un nome. Un attraversamento dimenticato della statale Bagnara-Bovalino, desueta da tempo per i suoi mille (990 e qualcosa) tornanti. Una punta del “triangolo dei sequestri” di persona San Luca-Platì-Natile, della c.d. Anonima Sequestri, un gruppo piccolo di delinquenti da poco, cui si consentì nei trent’anni fino ai primi 1990, ben 191 sequestri a scopo di riscatto, alcuni durati anni. Paura dei sequestri? No, ma si veniva fermati a ogni incrocio dai Carabinieri.
La lotta al crimine è strana - meglio starne fuori (omertà?).
 
“Nel mondo aumenta l’obesità, soprattutto nei Paesi in via di sluìiluppo”. E dunque, che dobiamo pensarne? I ragazzi in Calabria usavano magri, scattanti, un po’ nervosi-nevrotici. Ora sono grassi, grossi, lenti, affaticati, lo sguardo appannato. Quando il medico insiste, fanno la dieta, imbelliscono, ma  non insuperbiscono, no si impongono. Dopo due mesi, o due settimane, sono di nuovo gonfi e goffi. Vivaci forse ancora di occhi ma lenti, e inattivi più che attivi. Figli della Grande Madre Mediterranea di Ernst Bernhard in senso proprio?


leuzzi@antiit.eu

uiando ilgcop si fa duro la mafioa non

 

 

 

 

 

Esta ea sfiggita Deaglio, stidioso dle mafie,

 

 

 

 

 

 

 

 


AI bambino mai nato di tante donne

Rizzoli annuncia per settembre una riedizione speciale per il cinquantesimo anniversario della fortunata opera di Oriana Fallaci, 1975-2025.  Doppiata dalla “commovente bozza” autografa del racconto, la stesura manoscritta – leggibile perché Fallaci all’epoca scriveva a penna, pulito e spaziato. Con una prefazione nuova, di Francesca Macciocchi. Perché ci sono novità, a parte l’aggiunta autografa – non nel testo, quello del 1975 è quello autografo.
Il racconto è una testimonianza personale, assicurano i nipoti eredi della scrittrice. Anche se lei comincia negandolo: “Non sono io la donna del libro. Tutt’al più le assomiglio”. Oriana inseguì con costanza la maternità, ma subì molti aborti spontanei.
Il padre del bambino mai nato non è Panagulis, il giovane greco della Resistenza al regime dei colonnelli col quale Fallaci ebbe una relazione famosa nel 1974-1975. Il racconto è del 1967, e Oriana stessa era incerta da quale rapporto sessuale fosse nata la gravidanza. In questo senso ha ragione: non sono io la donna del libro.
Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, Rizzoli, pp 240, ril. € 14 

lunedì 18 agosto 2025

L’Ucraina a specchio dell’Europa, monca e debole

 “Kiev pagherà a caro prezzo la strategia fallimentare dell’Occidente per indebolire Mosca”. Siccome lo dice il premier slovacco Fico, che va bollato come “il piccolo Orbàn”, la cosa viene derisa. Ma è la verità. Soprattutto ora che lo stesso Occidente ha bisogno della Russia – o così ritiene – per fronteggiare la Cina.
L’Ucraina è stata spinta ad antagonizzare Mosca con le famose rivolte di piazza, arancioni o gialle, o comunque colorate, come vuole ora il linguaggio dei servizi segreti, fomentate e anche organizzate dall’America di Bush jr. e di Biden, il vice bellicoso dello svogliato Obama, e dalla cancelliera Merkel. E ora l’Ucraina ne fa le spese. Mentre l’Europa abbaia e gli Stati Uniti, esaurite le vecchie scorte, risparmiano sugli armamenti.
La Russia, di Putin o di chi sarà, resterà il nemico dell’Europa, invece di esserne la miniera. L’Ucraina non sarà comunque di Zelensky, il furbo saltatore sulla “rivoluzioni” arancione o gialle. E aspetterà impoverita. Di vite e di miniere. Ammessa alla carità Ue, semmai riuscirà a scombinare la corruzione che fa premio nella sua politica.
Dirlo viene bocciato come propaganda russa, ma è la situazione come è, e sarà.

Problemi di base amorevoli - 876

spock


La vita fa di noi più di quanto noi vogliamo farla?

La bellezza è desiderio?

Il desiderio fa la bellezza?

Si ama in immagine?

Non importa quanto reale - in autoproiezione?

Si è amati quindi in immagine, da qui il peso del primo approccio?

spock@antiit.eu

L’inferno sotto l’Africa

“No Way Out. How South Africa’s illegal gold rush became a subterranean horror story” è il sommario. Un anno fa il governo sudafricano decise di stroncare il fenomeno degli zama-zama, i minatori contrabbandieri che s’intrufolavano nelle miniere non ben custodite o in quelle abbandonate. Con il blocco di una delle maggiori, Buffelsfontein, una miniera con 37 piani di profonddità, circa un chilometro. Bloccandoil sistema di rifornimento, anche questo di contrabbando, di generi di prima necessità, soprattutto cibo, attraverso un saliscendi di cavi – che serviva anche come saliscendi, per portare i minatori su e giù. “Tagliando i rifornimenti, la polizia puntava a forzare i minatori a tornare uìn superficie. Ma bloccò anche le squadre clandestine addette alle funi per riportare i minatori in superficie.E senza le funi, le vie d’uscita non erano facili. La polizia obiettava che i minatori potevano muovevrsi sottoterra verso un altro pozzo, da dove era possibile uscire, e che si rifiutavano di uscire perché temevano l’arresto”. 
Questo succedeva ad agosto. “A fine novembre la polizia finalmente consentì ai residenti di una township  vicina di mandare giù un gancio. Ci vollero 20 uomini e cica 40 minuti per tirare su un minatore. Nel caldo estivo poterono cavarne solo pochi al giorno”.
Un reportage freddo, nel senso anche di agghiacciante. “I rifornimenti erano troppo scarsi, i salvataggi troppo lenti. Sottoterra  si lottavano pet il cibo. E morivano: alcuni di fame, altri di malattia, qualcuno per la cadute mentre tenttava di risalitre in superficie. George e Alfred (due sopravvissuti, n.d.r.) dissero che alcuni minatori cominciarono a mangiarsi i morti, scambiando tre grammi di oro per un pezzo di carne”.
Sotto forma di reportage piano, di trascrizione di frasi dette, cose viste, atteggiamenti, minacce, salvataggi casuali, in extremis, e di descrizione di cose mentre avvengono, un racconto in diretta differita di una tragedia “normale”: nessuno nel lunghissimo testo si pone il problema se gli zama zama vivono o muoiono. “La maggior parte erano immigrati dal Mozambico, il Lesotho o lo Zimbabwe. George e Alfred erano sudafricani. Per tutti quei mesi si erano illusi che il loro governo non li avrebbe mai uccisi. Ora non ne erano più sicuri”.
Non detta, l’Africa delle indipendenze, da un mezzo secolo, vive di violenze di ogni tipo, affarismi, improvvisazione, e morte, nell’indifferenza. Qui è raccontata pianamanete, da cose-come-avvengono, per un pubblico evidentemente che sa cosa è e fa l’Africa, come è evidentemente quello del periodico “culturale” dell’“Economist”. Impressionante in Italia, dove dell’Africa si è persa perfino la conoscenza geografica, sulla carta appesa al muro – quella dell’hic sunt leones, che invece sono anch’essi perseguitati (le “riserve naturali” non piacciono a gran parte dell’Africa).
Liam Taylor, Hell under Earth, “The Economist 1843”, 26 luglio

domenica 17 agosto 2025

Ombre - 787

Non sappiamo che cosa Meloni, e gli altri europei, si sono detti con Trump, a proposito del vertice con Putin. Ma “la Repubblica” lo commenta aspramente con Provenzano, una pagina – Provenzano, chi?
 
Curiosa lettura unanime –in Italia – del vertice Trump-Putin come una disfida, stravinta dal russo. Invece che come una scelta russa di farsi garantire dall’Occidente, dagli Stati Uniti, piuttosto che cercare la sponda cinese. Dopo il tentativo del guerrafondaio Biden di portare la Nato sotto il Cremlino. Al costo della neutralità ucraina, ma con la garanzia di Usa e Ue.
Il vertice come una partita, non c’è altra lingua e altra capacità di lettura – di vivere?
 
A margine, non si tace l’appello strappalacrime: “Nordici e baltici contro la Russia”. L’Europa all’ora degli odi tribali slavi (Russia, Polonia, Ucraina, Serbia, etc.) e del revanscismo nordico. Come se fosse quello di Carlo XII, il re di Svezia che, con gli ausiliari baltici e ucraini (i cosacchi), pensava di prendersi la Russia.
Curiosamente, in Italia i “Nordici” (scandinavi e baltici) risultano  socialisti e progressisti, mentre sono di destra, da almeno trent’anni.
 
Una giornalista afroamericana, Rachel Scott, si segnala alle conferenze-stampa con domande-risposte strampalate, “provocatorie” – domande che si rispondono, non chiedono risposte. Per ottenere notorietà. E la ottiene: ogni volta le dedicano un titolo, con fototessera lusinghiera. Naturalmente era anche ad Anchorage.
 
Il ministro israeliano Ben Gvir va a irridere Barguti, un leader palestinese da vent’anni in carcere, “molto magro e sofferente”, ci fa un video, e lo diffonde, solo per dirgli: “Non vincerai, vi spazzeremo via”. Poi non si potrà dire che Israele “non sapeva” – la Germania a lungo si è difesa nel dopoguerra dicendo che i tedeschi “non sapevano”.
 
Sinner stravincente diventa antipatico agli specialisti. Che poi sono giornalisti. Umorali evidentemente, non sapendo disarticolare l’analisi tecnica dalla simpatia\antipatia. E questo, ora che c’è l’immagine diretta ovunque, anche sulla tazza al gabinetto, dice quanto il giornalismo sia superficiale, se non esce dal bozzolo dell’io.
 
Renzi che critica l’inglese di D’Urso, e con questa critica ottiene una pagina, dice tutta la miseria, non di Renzi. Di cui non si ricorda quando pretendeva di parlare inglese nelle sedi internazionali, balbettava, con lunghe pause, parole incomprensibili, e non si accorgeva di fare il comico. O quando debuttò come testimonial milionario dell’Arabia Saudita per dire che l’Arabia è come Firenze, regno del Rinascimento, e non gli riusciva. Ora questo ex sindaco di Firenze che non ha mai fatto nulla per Firenze, si è impadronito del Pd peggio di Schlein, e lo ha distrutto, pontifica sui grandi giornali: una pagina al giorno del Renzi-pensiero. Che poi è uno: buttare giù i governi. Come se ci riuscisse.
 
Il giudice del Riesame a Milano smantella la sentenza del gip sulla Nuova Urbanistica, per motivi che dirà fra un mese e mezzo. Può darsi con ragione. Ma intanto mina l’inchiesta, e rafforza la politica al governo della città. Poi si dice che la giustizia non è una cosa politica – per la carriera dei giudici.
 
“Trovo divertente il fatto che i ghigliottinai a 5 Stelle, quando una vicenda riguarda loro, diventino attendisti”: parla toscano – oggi difficile – ma si diverte e diverte l’ex generale Vannacci ora in politica a proposito di Alessandra Todde, la presidente 5 Stelle della Sardegna dichiarata decaduta dall’incarico per vicende poco legali, che fa finta di nulla e non se ne va.
Vannacci è il solo che lo dice, che denuncia l’inghippo.
 
Vannacci si diverte anche con Erika Saraceni: “Appena 18 anni, ha conquistato una spettacolare medaglia d’oro”, etc. etc,, “talento cristallino”, etc., “in un Paese normale questa notizia riempirebbe le prime pagine”. Mentre si celebra “a dismisura qualche altra atleta altrettanto brava ma che, guarda caso, si distingue per le sue origini non italiane… Forse perché bianca? Cristiana? Di origini italiane? Magari anche eterosessuale?”. È Vannacci. Ma i giornali hanno messo Erika in copertina il giorno dopo. Anche i milanesi, “Gazzetta”, “Corriere”, altrimenti solleciti quando un-a milanese, Erika lo è, vince (v.Pellegrini). I “belli-e-buoni” della Repubblica sono un po’ sfatti.
 
Si scopre per una lamentela del pio Langone sul “Foglio” che il vescovo di Milano Delpini si fa pagare l’ingresso al Duomo. Non dai turisti, da tutti, i fedeli abituati a pregare in Duomo devono pagare. Sembra ridicolo, e lo è. Ma è pure triste: Delpini, come l’altro “prete di strada” (che vuole dire? incolto? ) nominato da papa Francesco, come pure Zuppi, che è perfino cardinale e presidente della Cei, patrocinano gli ingressi a pagamento nelle chiese storiche. È gente poco acculturata. Cioè poco intelligente? Le casse della chiesa sono vuote? Da quali spese svuotate?
 
È curioso che non si dica che la  Procura 
che indaga il presidente della Regione Calabria Occhiuto e lo ha fatto dimettere, il capo della Procura e i due  sostituti, hanno fatto carriera qualificandosi come renziani. Questo naturalmente non c’entra con la colpevolezza o no di Occhiuto. Ma bisogna saperlo. Anche perché la Procura ha agito quando Renzi ha deciso - come suole - di “mandare a casa” il governo della maggioranza di Occhiuto. Dopo aver monitorato Occhiuto per tutti i quattro anni di presidenza, con “cimici” e “trojan”.

Caduta e ascesa del disoccupato Tano

Quando tutto è perduto, col lavoro, il presente e anche i ricordi, una rinascita si ripropone. Magari sotto una forma canina, di guardiano notturno di cani, che parlano con la luna.
L’inventiva narrativa – la disposizione teatrale – di Camilleri qui viene meno, per la traccia corretta, del politicamente giusto. Ma l’aneddoto, non eccelso, viene sbalzato con interesse – con tempi sapienti. Mentre si avverte già, era inevitabile, la stanchezza per il “vigatese”, la “lingua” di molto Camilleri.
Uno dei racconti post-Montalbano, raccolti dieci anni fa in “La guerra privata di Samuele”.
Il titolo è del romanzo di Corrado Avaro, 1939, il proto-romanzo del totalitarismo dieci anni prima della “Fattoria degli animali”- probabilmente per caso, Camilleri, fiero comunista, non avrebbe approvato il romanzo che Alvaro, per passare la censura, dovette dichiarare di ambiente sovietico.
Andrea Camilleri, L’uomo è forte, “la Repubblica”, pp. 44, gratuito col quotidiano