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mercoledì 1 giugno 2011

Secondi pensieri - (70)

zeulig

Giustizia – È poter spendere. È un credito, acquisito con la legge.
Chi è fuori dalla legge, il mafioso, il serial killer, lo stragista, non vi avrebbe diritto – è nell’incertezza che gli viene applicata.

In quanto fondamento dell’eguaglianza è la democrazia – l’unica coerente.

Hegel - Se Dio fosse nel processo di negazione e oltrepassamento, allora sarebbe un serial killer, una cosa è o non è. Si vede a occhio che l’idealismo è, come l’io protestante, l’umiliazione dell’individuo, per quella sua rivolta contro l’oggetto che è invece un soggetto, una moltitudine di soggetti, mai riducibili a oggetti, anche perché lavorano insieme alacri per approfondirsi e molti-plicarsi.
Marx lo riscatta nell’utopia, ma in un’utopia liberale. Che libera a sua volta dell’incoerenza di base, legandolo ai lumi. Il progresso va coordinato con l’esaltazione della storia di Hegel, il regno della libertà è nella società senza odio, classi, sfruttamento.

Marx – Di suo era ed è realista, della borghesia sapendo che non può non rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, e quindi i rapporti di produzione. Superbo alfiere della ragione, tanto più in tempi di decadenza, benché non abbia letto Tocqueville, e neppure tutto Hegel, là dove anticipano Heidegger, “solo un Dio ci può salvare”.
Non ha colpa del Diamat, che è il Marx di Labriola, scientista, positivista, né col sistema moscovita della proprietà statale dei mezzi di produzione, o del partito unico, una forma come un’altra di dittatura. Rosa Luxemburg trovava il primo libro, “tanto apprezzato”, del “Capitale” “finemente lavorato, rococò, à la Hegel”. Marx avrebbe sottoscritto la critica. Non aveva orecchio e in traduzione viene meglio: con “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, la versione italiana invece di quella sorda originale, si sarebbe potuto dire che anche Marx cominciò con un endecasillabo, lo scattante pentametro giambico di Dante. Sarà stato un brillante filosofo a ventisette anni, poi per altri quaranta un giornalista e agitatore politico. Non era facile, il valore economico è recente, fino a Hobbes non c’era una assiologia dei beni. E a Marx si è fermato: non c’è una teoria del valore successiva, del valore come lavoro – in italiano è perfino anagrammatica. I suoi critici capitalisti ne ricalcano i fondamentali. Ma la critica del capitalismo è reazionaria: i reazionari prima di Marx, e con più veemenza, criticano il capitalismo, il mercato dei soldi.
Non solo nel fordismo alla fine, e in Owen all’inizio, ma nella Cadbury, alla Rowntree e in ogni altra azienda quacchera, in molte società cattoliche e in quelle socialiste del mutuo soccorso l’Ottocento ricorreva al lavoro per migliorare l’igiene e l’istruzione, o il rispetto di sé. Finché il lavoro non fu disseccato nel plusvalore. Le critiche presto erano emerse con Eduard Bernstein, e poi con Rosa Luxemburg . Semplici, Marx le avrebbe sottoscritte: il moderno proletario è sempre povero ma non pauperizzato, la crescita della ricchezza non viene con la diminuzione del numero dei capitalisti ma con la loro moltiplicazione – si potrebbe fare un partito di massa dei ricchi, non fossero tanto ricchi da farsi passare per poveri. E lo slogan “i proletari non hanno padri” non è vero, purtroppo. Ma questo era contro l’interesse del Partito a farsi Stato. Senza contare che lo stesso successo delle sue idee ne inficia il presupposto, l’economicismo.

La verità sul fondatore del comunismo è un’altra: che è stato il socialismo a indurre e generalizzare l’idea del possesso. Flaubert l’ha visto nel ’48, la rivoluzione della libertà, guardando le barricate da lontano, e l’ha dettagliato vent’anni dopo nella sua “Educazione sentimentale” che invece è politica. A un certo punto i socialisti si smarcarono dai liberali, che ne furono atterriti e si segregarono. “Allora”, dice Flaubert, “ la Proprietà montò nei rispetti al livello della Religione e si confuse con dio. Gli attacchi che le si portavano sembrarono sacrilegio, quasi antropofagia.” Ma è vero pure il contrario: se l’identità è definita dal possesso non si può più negare che il socialismo è una forma completa di liberalismo, non limitato cioè alla borghesia. Non solo come formula politica, poiché al socialismo è essenziale la libertà, l’uguaglianza è la realizzazione della libertà. Ma proprio dal punto di vista economico, dei mezzi di produzione, il capitalismo producendo più ricchezza per il più gran numero, più opportunità quindi per il proletariato, e più tempo libero per tutti. Anche per scrivere o ricamare, il lavoro intendendosi occupazione onorata e dovere civico, e non sfruttamento.

Se un rimprovero gli va fatto è di non aver letto Belle van Zuylen quando rimbecca Diderot, che la religione riduceva a sovrastruttura delle classi dominanti. Mentre le classi dominanti, si sa, più intelligenti in questo di Marx, di solito non trascurano la religione, che è l’esercizio più sublime dell’immaginazione. “Un Dio s’incontra nel reale”, dice bene Lacan.

Storia – È un serpentone pieno di nodi, ognuno dei quali è un altro serpente. O è fatta di lampi, razzi sparati nel cielo, frecce scoccate in ogni direzione. Al modo di Prometeo, di un dibattersi contro catene invisibili quanto solide.

La storia delle cose è zero, e il contesto è contestabile. L’umanità è un affollato battaglione in surplace, testa eretta, tendini tesi, che non si stacca da terra. Lancia messaggi, organizza tiri, apre squarci, ma sempre fermo dove e com’era, spingendo, minacciando, brontolando.

La storia – il progresso - è aerea, l’umanità è terrena, di materia greve. Ma non si può dire inerte. Dei re e imperatori, che sono stati in gran numero, quando uno è intelligente trova un posto nella storia. Per il che pare che la storia sia fatta da principi, re e imperatori, e tutti intelligenti. I quali invece in più gran numero e per il maggior tempo vivono di caccia, malevolenze, tirannie.

I pochi se ne appropriano perché la scrivono, fa la storia chi la scrive. La storia è opera letteraria, per questo trae in inganno.

Non è utile. La storia – il tempo - non è maestra di verità, è una fiera, un teatro. Solo serve, se serve, a far sognare. Non ha neppure spessore, spazio. È un infinitesimo della fantasmagoria dell’universo.

Tempo – È statico, il tempo mentale e biologico, della specie umana. A meno di non ricorrere ai miti, alle genesi, che poi si ripetono uguali: Dante, Origene, Platone, Pitagora, la Bibbia, il Libro dei Morti, il Libro di Veda, e l’analogo che di certo ci sarà in Cina, o Giappone.

zeulig@antiit.eu

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