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domenica 31 luglio 2011

La metafisica della modernità

Un solo articolo, le poche pagine che danno il titolo alla raccolta, il primo di Guénon, nel 1909, a 23 anni, nella rivista da lui creata “Gnosi”, è una metodologia netta (la verità delle parole) e già una filosofia definita. Partendo dalla difficile partizione dell’unità nella dualità – “si Deus est, unde malum?”
Se il Non-essere è il nulla, non c’è che dirne. Diverso è “se si considera il Non-essere come possibilità di essere; l’Essere è la manifestazione del Non-essere così inteso, ed è contenuto allo stato potenziale in questo Non-essere. Il rapporto fra il Non-essere e l’Essere è allora il rapporto fra il non-manifestato e il manifestato”. Che si perfeziona nel secondo o terzo numero della rivista: “Al di là dell’Essere c’è il Non-essere”. O: “Al di là del manifestato c’è il non-manifestato”. Ma “il Non-essere non è il Nulla, è invece la Possibilità infinita, identica al Tutto universale, che è al tempo stesso la Perfezione assoluta e la Verità integrale”.
La conoscenza vi è già estesa del non detto, della cultura che non c’è: “Secondo la Kabbala l’Assoluto, per manifestarsi, si concentrò in un punto infinitamente luminoso, lasciando le tenebre intorno a sé; questa luce nelle tenebre, questo punto nella estensione metafisica senza limiti, questo niente che è tutto in un tutto che è niente, se si può dir così, è l’Essere in senso al non-essere”. Questo punto luminoso “è l’unità, affermazione dello Zero metafisico”. Incontrovertibilmente, in breve: “La differenziazione dell’Assoluto in Essere e Non-essere esprime soltanto la maniera come ci rappresentiamo le cose, e niente di più”.
Il Demiurgo è la figura del tutto - e sarà figura fertile nel Novecento, in Burzio, Rensi, Cioran tra i tanti, al fondo anche Jünger. “Tutte le creature sono contenute nel Demirugo… perché la creazione ex nihilo è impossibile”. Senza un criterio necessario: è un errore diffuso in Occidente “credere che non ci sia più niente quando non c’è più forma, mentre è la forma che non è niente e l’informale che è tutto”. Naturalmente bisogna risalire a Pitagora, il grande rimosso, come peraltro il Socrate-Platone faceva. Non senza sbavature: Guénon contesta ogni spiritismo e teosofia, per poi difendere una non spiegata Confraternita H.B.of L. – la fantomatica Hermetic Brotherhood of Luxor.
Resta il fondo d’incomunicabilità della spiritualità tradizionale, e più dell’“insegnamento vedântico”, che Guénon parte per contestare, in uno scritto del 1940 (“La diffusione della conoscenza e lo spirito moderno”) e finisce lui stesso per confermare, il “mondo moderno” dicendo impermeabile alla spiritualità: “Fra lo spirito tradizionale e lo spirito moderno non può esservi in realtà alcun accordo”. Con la “separatezza della «ragione»” del Settecento, con quella della “scienza” e del “progresso” nell’Ottocento, con quella della “vita” ai rimi del Novecento, con “la discesa nell’«infrarazionale, con il cosiddetto «intuizionismo»” . O con l’idealismo come opposto al realismo – “non solo Platone non è né «realista » né «soggettivista» in alcuna misura, ma sarebbe impossibile essere più integralmente «realista» di lui” (questo nel saggio fondamentale “La superstizione del «valore»”). È, all’ombra dell’orgoglio della metafisica, la constatazione radicale e dettagliata della civiltà della crisi – del compiacimento della crisi. Guénon non propone un sistema, pur rivendicandosi orgogliosamente metafisico in tanta pseudo razionalità, le perplessità dei molti si giustificano per il suo vezzo di essere “altrove”, nella massoneria, nell’islam, ma è impareggiabile decrittatore. Della modernità più che della tradizione.
René Guénon, Il demiurgo e altri saggi

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