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venerdì 9 novembre 2012

Gioventù disgraziata

Una storia speciale. Commovente anzi, di due solitudini. O meglio di due inafferrabilità, pur nella vicinanza e anzi nella complicità, “lei rifiutando il mondo, lui sentendosi rifiutato dal mondo”. Di due incapacità di amare, o come si dice di relazionarsi. E questo è, si parte dal relazionarsi anche se non si dice, e la storia resta asettica.
Non è la prima, le storie di adolescenze introverse abbondano, di Cocteau e Salinger, ora di B.Bertolucci, Ammanniti. Del lato oscuro dell’adolescenza – “le ferite dell’adolescenza” - che poi si trasforma in modo di essere, più o meno accattivante. Ma qui subito, dopo i primi due capitoli, una vicenda diagnostica, impersonale. Attraverso storie mal ricucite, affrettatamente. Finendo per mostrarsi per quello che è: un prodotto editoriale.
La cosa è inevitabile e anche buona. I migliori scrittori ci sono passati, là dove queste cose si dicono, facendo parte della pratica letteraria, da Joyce e Chatwin, con ricuciture anche radicali. Ma in questa letteratura del Millennio, la cura editoriale dà l’impressione di essere prevalente, la confezione del buon prodotto. Ottimo anzi nel caso di Mondadori dopo Dan Brown e l’indimenticabile “Da Vinci”, da “Gomorra” in poi. Giordano “scrive bene”, uniforme cioè – con qualche smagliatura che il redattore diabolicchio lascia lì a futura memoria. E dissolve anche la tristezza, la compassione per le due sventure.
Resta una compilazione minore alla Krafft-Ebing, capitolo dopo capitolo, un disgraziere. Generazionale? Sì, nel senso delle classi d’età non dell’epoca. Non bisognerebbe rileggere i best-seller, anche i premiati: l’artificio s’impone prepotente.
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi

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