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domenica 4 novembre 2012

Marina e Serena si contendono l’amore

Sono, sarebbero, lettere d’amore. Di Marina Cvetaeva, trentenne, al più giovane Abram Višnjak, editore, innamorato della sua poesia. Cvetaeva, nome già illustre, era da un mese a Berlino, per ricongiungersi tra sofferenze e peripezie con l’adorato marito Sergej Efron, soldato antirivoluzionario.
Sono, sarebbero, anche un manuale del “perfetto amore”, nel senso della tradizione lulliana e cortese. Durato due settimane, il tempo di una diecina di lettere – prima che Višnjak raggiungesse la moglie e i figli al mare. Licenziato una dozzina d’anni dopo a Parigi, quando Marina tradusse le lettere in francese per tentare una pubblicazione, insieme con la “Lettera all’Amazzone”, vendibile, che la risollevasse dalle miserie dell’emigrazione. Con una amazzonica vendetta: l’amato le si ripresenta all’ultimo a un ballo in maschera a Parigi ridotto a una peluria “a spazzola”, forse due paia di baffi sotto il naso, forse due sopraciglia sopra gli occhiali – “è inutile aggiungere che non aveva mai portato gli occhiali”.
Sarebbero se non fosse per la portentosa introduzione di Serena Vitale, che fa aggio sul testo. Ancora più imperiosa sul lettore di quella con cui nel 1983 la stessa Vitale aveva presentato in prima mondiale queste lettere, insieme alla “Lettera all’Amazzone” Natalie Barney (allora tradotte dal francese, qui in una nuova traduzione dal testo russo originale, pubblicato nel 1997). Col corredo delle note del marito Sergej e della figlia Ariadna (Alja), specialmente acute, e con l’intento di redimerne “la folta leggenda degli amori”, Serena Vitale fa della poetessa una svitata. Convincentemente. Marina s’innamorava ogni settimana, non ci fu conoscenza di qualità, uomo o donna, che avvicinava di cui non s’innamorasse. Parlando sempre di anima. In forme coscienti di autoinganno, una sorta di eros solitario. Di cui poi “tutto viene trascritto in un libro”, dice Sergej. Aggiungendo, paziente ma non del tutto: “Come una grandissima stufa che, per funzionare, ha bisogno di legna, legna, legna”.
Serena Vitale esordisce con Brjusov, che, “infreddolito e annoiato”, presiede nel febbraio del 1921 “una serata di poetesse”, tra esse Marina Cvetaeva, così apostrofandole: “Donna. Amore. Passione. Da che tempo è tempo la donna ha saputo cantare soltanto l’amore e la passione. L’unica passione della donna è l’amore. Ogni amore della donna è passione. Fuori dell’amore la donna, in arte, è nulla…” Non è vero, ed è vero. La poesia femminile ha altre chiavi: il gioco (Cavalli, Niccolai, Merini, Szymborska), la sofferenza (Merini, Nelly Sachs), la politica (Szymborska) – argomentarlo è superfluo. Ma è vero che l’amore (la vita contemplativa) è lo stato dominante della poesia al femminile. Forse non passivo, non più, ma statico. E d’altra parte non delimitabile, non riflesso, se non nei limti dello stato d’animo. E senza oggetto: non c’è una Beatrice maschile - l’Altro – per un Dante femminile. Amore cosmico? Può darsi, ma è immateriale, già in Saffo, poetessa del’amore. E molto parla dell’anima, la “cosa” più sfuggente.
Cveateva, che si vuole “pari” qui, “per forza”, a Rilke, a Pasternak, non vedeva la concreta differenza, di genere e di tipo di forza. Ma la sua “anima” è concreta, è corporale. In queste lettere, e in generale. Senza la “Lettera all’Amazzone” che guarniva la precedente edizione trent’anni fa, l’amore di Cvetaeva può sembrare un’altra cosa. L’amazzone avrebbe chiarito l’equivoco: Natalie Clifford Barney, americana di Parigi negli anni folli, intrattenitrice della migliore intellighenzia francese nel suo palazzetto di rue Jacob, scrittrice in proprio,  era “intrepida baciatrice”, meglio se di poetesse. Ma anche con Višnjak Cvetaeva è concreta: “Uomo, io so tutto, vi so superficiale, leggero, vuoto, ma la vostra animalità profonda mi tocca più in profondità di altre anime”. Perché, “animale – che cosa c’è di più animato,  in effetti, di un animale?”
Bisognerebbe leggere le due cose separatamente. O allora rifare le bucce a Serena Vitale, che non è possibile. Qui Marina scrive delle vere lettere d’amore. Corpose.  
Il titolo è in omaggio a Heine, di cui Cvetaeva voleva tradurre a Berlino le “Notti fiorentine”. 
Marina Cvetaeva, con un saggio di Serena Vitale, Le notti fiorentine, Voland, p. 87 € 10

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