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giovedì 8 novembre 2012

Le primarie sono un congresso

Ogni candidato può contare per le spese sul partito. Con propri addetti nelle sedi del partito, quella nazionale e le federazioni cittadine. Con comitati elettorali propri nelle città e nelle circoscrizioni. Nonché, dove governa, nei consigli provinciali e regionali. Un tempo questo lavoro si faceva nelle sezioni e nelle federazioni.
Più che capipopolo i candidati alle primarie sono i vecchi capicorrenti. Con un proprio seguito distinto ma insieme anche apparentato o apparentabile. Alla segreteria uscente, al blocco maggiore dell’opposizione. È cambiata la forma: il voto nei gazebo ha sostituito la kermesse del congresso, del voto delle mozioni. Mentre i dibattiti si sono spostati dalle sezioni alle televisionate, molto meno faticose, e alle interviste, sui giornali, le innumerevoli agenzie, i siti di varia natura, youtube, i social network.
I “ballerini”, i candidati senza possibilità di riuscita, condensano un gruppo partitico la cui forza sarà equivalente alla percentuale di adesioni che porteranno alle primarie. Che si farà poi valere nelle candidature alle politiche (in quelle sicure e in quelle di complemento), nei posti di governo eventuali, in quelli di sottogoverno, negli enti economici (nella sanità, la Rai, l’associazionismo) e mediatici del partito.
Le candidature molteplici sono tutte contro Renzi: Vendola, sì, pure lui, Puppato, una donna ci vuole, Civati, un alternativo pure, Tabacci, un democristiano pure. È il fatto che Renzi non ha forse considerato lanciando la sfida a Bersani. Aveva vinto la candidatura a sindaco di Firenze giocando gli avversari diessini divisi e in concorrenza fra di loro. Ha inteso replicare il modello su scala nazionale ma Bersani lo ha giocato moltiplicando le candidature. In grado di disinnescare la protesta e alla fine a lui vicine. L’America è lontana.

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