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domenica 24 agosto 2014

Letture - 182

letterautore

Africa – Era stata “scoperta” prima di Gesù Cristo. È stata teatro scelto dell’imperialismo italiano. Per esempio la Libia. E alimenta tuttora, tra le onlus e i cooperanti, un acuto mal d’Africa. Ma resta incognita, un puro nome. Si vede dalla Libia, che pure è un paese confinante: non sappiamo quanti sono i libici, cosa fanno, se fanno qualcosa, cosa dicono e pensano, se pensano, e stanno alla porta di casa. L’Africa è ancora il poema epico di Petrarca, che nessuno ricorda, nemmeno i petrarchisti, o “L’Eritrea”di Cavalli, 1656, che è un’opera in musica, per intendersi. È un puro nome. Per un  rifiuto? Una segreta attrazione – le nostre Madonne sono quasi tutte nere? Per la generale ignoranza.

Galileo – È letterato tanto quanto scienziato, per vocazione e per qualità. Tuttora godibile, scrisse una delle prose italiane più vive, e si dilettò dei linguaggi. Tra le sue opere anche un libello in veneto-padovano contro alcuni dei suoi accusatori, “Dialogo de Checo Ronchitti da Bruzane in Perposito de la Stella Nuova”.
Calvino ha rintracciato nella prosa di Galileo, nella sua narratività, il mezzo per passare dall’esperienza al ragionamento, dalle figure del mondo a quelle del discorso.

Fu probabilmente il più falsificato da Denis Vrain-Lucas, il falsario. Non nella teoria scientifica ma nelle lettere, da lui scritte o a lui indirizzate, con Descartes, Hobbes etc. Pietro Redondi aveva censito trent’anni fa, in “Galileo eretico”, duemila autografi galileiani redatti in tre anni, e venduti, resistendo strenuamente a ogni esame di autenticità, da Vrain-Lucas. Su un totale di 27 mila, si può  aggiungere – tutte in francese… Di cui sarà chiamato a rendere conto in tribunale nel 1870, ma con una condanna a due anni, con la condizionale, e 500 franchi di multa.

Italiano  - Non è genere italiano, si diceva del romanzo, del giallo, del libro di viaggio. Ora siamo sommersi da romanzi, gialli, e libri di viaggio italiani. Ma degni del nome – romanzo, giallo, libro di viaggio?.

Marito – Non ce ne sono molti nei romanzi, se non nella forma del marito cornificato del romanzetto, o teatro leggero, borghese o di costumi. È soggetto trascurato anche in quest’epoca di femminicidi.  Il Bloom di Joyce potrebbe esserne uno, ma è troppo ingombrante – in pratica c’è solo lui. Il più in tono è quello di Pirandello, “Giustino Roncella nato Boggiòlo”, prima cioè di prendere il nome della moglie, scrittrice di cui vuole creare la fama. La prima edizione del libro, 1911, era anzi intitolata “Suo marito”, il saprofita di lei.

Polizia – È istituto del Settecento, da policé, ordinato, pulito, educato. E come tale si rappresenta nell’immaginario, a protezione dell’ordine - ancora gode di credito incondizionato la Polizia propriamente detta, come i Carabinieri e la Guardia di Finanza, la cui ambizione nemmeno  recondita è invece lo sbirrismo. Nonché a fondamento del gallo, in qualsiasi forma, anche cioè quando si fa giustizia contro la polizia. È invece di fatto, nella realtà, all’origine del disordine: si vede nei casi concreti come opposti ai serial tv e ai gialli. Intempestiva, lenta, sciatta. Sempre burocratica, e tendenzialmente superficiale, senza formazione specifica, sprovveduta.
Come tale, senza polemica, la rappresenta Mankell, lo scrittore svedese che un poliziotto ha eretto a suo protagonista, in cui tutto l’ordinario dell’attività di polizia è casuale, distratto, e spesso nocivo..
 
Statue – Quante animazioni, soprattutto muliebri, promuovono, nell’immaginario e anche nella realtà (follia). Di un certo tipo di dame si diceva a Venezia nel Seicento che erano amanti di stature di marmo. L’Ermafrodto alla Galleria Borghese presenta un’oscena testimonianza di assidua frequentazione nelle parti sensibili. Heine comincia a far rivivere i vecchi nomi, ne “Gli dei in esilio”, ritracciando i racconti che gli stessi facevano rivivere in forma statuaria. Giovani che perdono la testa, in senso proprio, per simulacri di bellezza. Spiriti malefici che s’incarnano in belle sembianze. E la Venere del Venusberg che innamorerà pazzamente Tannhäuser, l’eroe-giovane che Heine in più versioni immortala, anche per Wagner. Di autori noti e meno noti: Kronmann, Delrio, il teologo fiammingo del secondo Cinquecento esperto di stregonerie, Eichendorff, Wilibald Alexis, Merimée.
Il genere restò vivo anche successivamente. La fontana delle Naiadi in piazza dell’Esedra a Roma,  opera dello scultore palermitano Mario Rutelli, bisnonno di Francesco, si discusse un secolo fa se recintarla, contro le troppe visite notturne che si facevano alle statue.
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Viaggio – Le lett(erat)ura dell’erranza, come oggi si nomina, poiché se ne fanno festival, e il festival vuole novità, non è genere italiano, si diceva, ed è  vero. Se ne scrivono molti, nessuno si ricorda - se non forse, ma in pochi, Machiavelli in Germania, o Algarotti in Russia - e quasi niente si apprezza leggendo. L’“Impegno controvoglia” di Moravia ne registra involontariamente il motivo, alla p. 98. Agli studenti della Sapienza Fuksas, Scalzone, Valerio Veltroni, Duccio Staderini e Sergio Petruccioli, con i quali è in dibattito e che lo contestano, Moravia ribatte da pari a pari. Finché Fuksas non gi contesta il libro appena pubblicato sulla Cina: “Tutto sommato, quel suo libro assomiglia molto a un viaggio di un certo De Amicis in Africa”. Allora Moravia sbotta. “E perché non ai viaggi di Goethe, di Stendhal, di Hemingway, di Freya Stark?” Perché no, ce lo chiediamo ancora, di Moravia e di ogni altro letterato italiano in viaggio.
C’è una tradizione di viaggio e una letteratura di viaggio sempre viva, inglese, in parte americana, anche francese, tedesca, russa, ma non italiana. Ci sono molti libri di viaggi, che non dicono niente. Dopo un anno o due, e anche quando escono. A proposito della Cina Moravia aggiungeva: “Non è un saggio politico-sociologico, è un libro in cui racconto quello che ho visto e pensato personalmente”. Il letterato italiano vede allora poco, a giudicare da quello che scrive, mentre pensa politico-sociologico. Cioè pregiudiziato. Su frasi fatte, perfino di (ex) partito. Non dal punto di vista della grande storia dei popoli, anche comparativa – con l’Italia, con l’Europa, con l’Occidente. Per la quale il letterato viaggiatore italiano non ritiene necessario possedere i necessari riferimenti. Né dal punto di vista dell’altro, né antropologico, né etnico e neppure sociologico: no, dal punto di vista del suo ordinario, quello che al tempo di Moravia si chiamava politico-sociologico – le frasi fatte 
Il letterato italiano, anche giovane e giovanissimo, non ha occhi in realtà. Un piccola moda di viaggi in Italia si è diffusa qualche anno sull’orma umorale di Ceronetti, ma come un altro modo di esternare i problemi adolescenziali, con tocchi di neorealismo, scolastici. Gli articoli di Moravia in viaggio per il mondo, per il “Corriere della sera” e “L’Espresso”, raccolti in “Impegno controvoglia”, solo testimoniano la polemica Est-Ovest: Moravia va a Cuba, in Messico, a Kyoto, in Bolivia sule tracce del Che, e trova solo l’antiamericanismo. Poteva fare a meno.

Montale ci sarebbe riuscito. Lui che ha i platani bianchi a Ginevra. E “i gabbiani si spollonano”. Ma era pigro. E non ci teneva – genere infimo, giornalistico, rispetto alla poesia.

Non c’è rimasto che Rumiz - a distanza di decenni i suoi lettori girano col foglio di giornale stropicciato, per l’Appennino, per Costantinopoli, mai si vede delusi. Che però, a differenza della sue prime corrispondenze dalla Jugoslavia in fiamme, in tempo di pace  ha bisogno di teatralizzare, mettere in scena: la 500, Annibale, il treno. Trovarobato che si ricorda più delle cose.

letterautore@antiit.eu

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