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lunedì 25 agosto 2014

Il mercato osceno dell'immigrazione, e dell'accoglienza

Sbarcano in gran parte senza documenti, e sempre con identità incerte. Con troppi bambini soli. A volte con i morti a bordo. Con malattie desuete, ora la scabbia. Non sono in prevalenza, come si dice, siriani o iracheni, per facilitarne lo stato di rifugiati. Sono asiatici e africani in massa, indistinti. Arrivano ogni pochi giorni in numero elevato, tra mille e duemila. Sono, da ogni punto di vista, un mercato dell’emigrazione. Non schiavista nel senso classico, ma sì in quello contemporaneo, del lavoro obbligato, poco o nulla retribuito. Con duemila morti, quelli noti, morti in mare, in pochi mesi: cifra da razzia.
Vista a Reggio Calabria da vicino, niente dell’immigrazione selvaggia, ora dalla Libia, è come viene rappresentata dall’industria dell’accoglienza. Non c’è “accoglienza” possibile in realtà, esauriente, umana, risolutiva (sanitaria, alimentare, logistica, reddituale, perlomeno linguistica), per mille o duemila disperati al giorno: Reggio Calabria, o Crotone, come già Lampedusa, sono la retrovia di un fronte di guerra.
Centomila arrivi in otto mesi, e altri centomila in arrivo sono un mercato molto organizzato. Di venditori ambulanti, uomini e donne, per le cricche africane e asiatiche, ognuno con precisi punti di riferimento in Italia, di ricongiungimenti familiari negati o impervi, di giovani all’avventura, di spacciatori, ladri e prostitute, anch’essi provvisti di recapiti sicuri, noti alle polizie e alle stesse organizzazioni umanitarie, e in minima parte di rifugiati, gente in fuga da guerre civili.
Le anime pie hanno abolito la geografia. Ma non si arriva a piedi in Libia dalla Siria o dall’Iraq – meno che mai dal Pakistan o il Bangladesh. E anche dall’Eritrea e la Somalia, come dal Senegal e dal Ghana: bisogna fare molte migliaia di chilometri, attraversando alcuni deserti. No, tutto è organizzato, per via aerea, low cost. Di dilettantesco c’è solo l’accoglienza. Il ministro dell’Interno che twitta, la commissaria europea all’Immigrazione che promette visite, i vescovi che fanno i buoni disperati, sono di fatto degli sciocchi incapaci, o sono parte del mercato.
Non si può fare una colpa ai buoni di cuore, ma dietro la bontà c’è la furbizia. Anime pie, forse, e tuttavia parte di un business. Anche per loro lucrativo, come per i mercanti africani e asiatici. C’è un mercato europeo e italiano dell’accoglienza che svia la questione: non si tratta di essere buoni ma di smantellare un mercato osceno. Una forma di sfruttamento incredibile nel 2014, con tanta bontà appunto in primo piano, talmente è feroce.
Per chi opera nell’informazione l’aspetto più desolante è che, con tanti inviati al mare (Lampedusa, Reggio), in Africa e in Asia, giornalisti anche rinomati, non uno abbia sentito il bisogno di informarsi e informare. Il buonismo ottunde – o il giornalismo? Si dà notizia, al più, dell’arresto degli scafisti, la personificazione del male. Che invece non si arrestano e non si condannano, si rimpatriano – viaggio di ritorno gratis. Nessuno che abbia sentito l’urgenza di spiegare o mostrare questa cosa inconcepibile nel Duemila, un mercato degli schiavi – non c’è la razzia, ma la propaganda ha lo stesso effetto e non costa. 

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