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mercoledì 5 novembre 2014

L’Eurasia, che paura

Carrère ne ha fatto un reportage eroicomico con “Limonov”, Benoist ne fa la (quasi) filosofia con Alexandr Dugin, ma sempre sui toni irreali, da teatro satirico. Sembra che non ci sia altra Russia che sopra le righe, se non folle..
L’Eurasia è un’idea che è, o avrebbe dovuto essere, il pilastro della terza presidenza Putin. Il quale, subito dopo l’elezione, aveva anche indicato nel 2015 il decollo pratico dell’idea, con un’unione doganale con i paesi del Centro-Asia. In armonia con la Cina da un lato, e l’Unione Europea dall’altro. La Ue la rifiuta, e anzi ha in atto un bizzarro containment della Russia da guerra fredda. Di cui forse non misura l’assurdità: tenere Mosca impegnata in Europa. E questo è quanto – lo stato dei fatti.
Il fondo culturale dell’Eurasia è la comunanza di destino delle popolazioni europee con la “grande madre” Asia. Per una sensibilità umana e sociale che si vuole non mercantilistica. E quindi non “americana”. Il progetto politico è sempre stato russo, poiché vede la Russia come perno della sua proiezione. Ma la teorizzazione geopolitica dell’Eurasia è anglosassone. L’Eurasia è lo heartland  di Halford Mackinder, studioso britannico (1861-1947), diplomatico, geografo, esploratore, alpinista e Nicholas John Spykman (1893-1943). Americano, sociologo studioso di Simmel, e geopolitico, Spykman viene citato nelle storie della guerra fredda come il teorico che consentì la politica di containment. Aggiornò la teoria di Mackinder, dell’Eurasia come  heartland o “isola mondo”, ponendo in rilievo invece l’accesso allo heartland, e cioè il rimland, o bordo esterno di confine, la fascia marittima che delimita l’“isola mondo”. Come zona di scontro e insieme di mediazione. Forte della sua superiorità tecnico-culturale, per una maggiore agilità e apertura mentale, e per maggiori contatti con l’esterno, rispetto allo heartland continentale.
Al termine della guerra fredda Spykman è stato riciclato a tutore di una diversa strategia mondiale. Che avrebbe dovuto vedere ora gli Usa impegnati nel rimland per contenere le spinte egemoniche continentali, della Germania, della Russia, della Cina. Quindi nel Mediterraneo, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Che è quanto sta avvenendo.
Eurasia è la condizione geografica dell’Europa, appendice del continente asiatico. Cui si apparenta, in ambito slavo, una concezione politica, contrapposta all’Occidente. L’Occidente volendosi anch’esso un concerto fondamentalmente geografico: la metà del mondo a Ovest del Meridiano Zero o Meridiano Primo, Greenwich, e a Est dell’Antimeridiano: un’area da cui quasi tutta l’Europa è esclusa. Culturalmente l’Europa, rifacendosi alla classicità greco-romana, si escludeva dal Medio Oriente e tanto più dall’Oriente, e anzi si caratterizzava in opposizione a essi. Pur provenendone con ogni evidenza (linguistica, mitologica, religiosa).
La nozione è resuscitata dalla Russia postsovetica, e in particolare nei quindici anni ormai di governo di Putin. Che effettivamente fa dell’Unione Economica Euroasiatica il perno della sua politica. Con cautela, appunto perché il concetto di Eurasia è in Russia al centro dell’ideologia fascista rinascente sulle spoglie del sovietismo. Attorno ad Aleksandr Dugin.
Dugin, ben conosciuto in Italia attraverso la rivista “Eurasia”, di cui è uno dei pilastri, e le Edizioni del Veltro, che editano la rivista e ne pubblicano le opere ((la più nota è “Fondamenti di geopolitica”), lega la nozione a un movimento di russi emigrati dopo il 1917, e alla minaccia che la globalizzazione rappresenterebbe per tutte le diversità, nazionali, storiche, culturali. Tradizionalista, cultore e seguace di Guénon e Jung, antiliberista e per questo antiamericano, fu uno dei capi del Fronte di Salvezza Nazionale venticinque anni fa contro l’ultraliberismo di Boris Yeltsin. Collaborò alla redazione del programma del nuovo partito Comunista di Ghennadi Zjuganov. Presto si staccò dal Fronte, per fondare nel 1994 un partito Nazional-Bolscevico, con Eduard Limonov. Al quale qualche anno dopo lo lascerà. Sulla base di un manifesto, “La rivoluzione conservatrice”, pubblicato nel 1994, che fa proprie le posizioni  della “rivoluzione conservatrice” tedesca (antihitleriana) degli anni tra le due guerre.
Di dieci anni più giovane di Putin, Dugin ha la stessa formazione, all’ombra dei servizi segreti che portarono alla perestrojika, e poi tentarono di governarla. Nei primi anni Duemila ha fondato vari partiti e movimenti euroasiatici. Da qualche anno ha posto il centro della sua attività a Astana, la capitale del Kazakistan, che il dittatore Nazarbayev ha dichiarato capitale dell’Eurasia.
Un fatto importante, insomma, il nazionalismo panrusso. Ma preso sempre, anche in questo colloquio, dal lato sbagliato, esoterico: minoritario quindi, velleitario sempre, scandalistico, spionistico. È la Russia, e quindi bisogna che le cose siano bislacche, quando non sono feroci. Se il pericolo è Dugin, non si vede perché.
Alain de Benoist, Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica, Controcorrente, pp. 142 € 10

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