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martedì 4 novembre 2014

L’amore sparito tra i russi dopo la rivoluzione

Lo Zoo è il noto quartiere di Berlino, brulicante nel primo dopoguerra di russi fuoriusciti, poveri e ricchi, chiacchieroni e mutangoli, artisti o truffatori, che fanno buona parte della narrazione, compreso Pasternak. Alla fine Šklovskij alza le mani, si arrende e torna in Russia, dove sarà rispettato e privilegiato sceneggiatore di cinema e filologo formalista, col suo amico Roman Jakobson, riprendendo il filo del giovanile “L’arte come artificio”. Teorico della prosa (“La teoria della prosa”), di “Marco Polo” o del viaggio, e di altre prelibatezze. Ma anche autore di narrazioni sparse come questa, il coevo “Viaggio sentimentale”, “Il punteggio di Amburgo” e altre. E di prefazioni ogni volta diverse a questo libro. Vivendo novantenne fino ad annusare la perestrojka, nel 1984, sempre di buon’umore.
Molti dei suoi russi torneranno con lui in Russia, altri si sposteranno a Parigi, a rinnovare la bohème: Remizov, Némirovsky, Cvetaeva, Berberova tra i tanti, per qualche tempo anche Nabokov. Con loro la non amata Alja di queste lettere non spedite, al secolo Alja Kagan, in arte Elsa Triolet. Che a Parigi c’era già stata prima e durante la guerra, per farsi sposare da un Mr Triolet, un dandy che la portava in vacanza a Tahiti ma non era un letterato. Ritornandoci, si farà sposare trentacinquenne da Aragon, gay e comunista professo – cosa che Alja aborriva: “Come si può essere comunisti? La rivoluzione è terribile”. Si fa fatica a immaginare uno Sklovskij surclassato in amore da Aragon, ma Aragon era Parigi, poeta e scrittore in carriera, che peraltro professerà anche, in poesia, un amour fou per Elsa. Insomma, un gioco del rovescio, un incrocio di rovesci.
Qui l’iperletterato è pieno di molte cose eccetto che della non innamorata. Tutte irrelate tra di loro, e tuttavia convergenti, nell’anima se non nel corpo della narrazione. Come un discorso libero, un flusso di coscienza, di cose viste. Fermo restando, avrà modo di osservare, che certi romanzi, anche d’avventura, sono una variante del gioco dell’oca.
Si ripubblicano periodicamente queste lettere da una ventina d’anni. Di un innamorato in teoria non corrisposto. In realtà di Šklovskij a se stesso, le lettere non sono inviate, la destinataria è una silhouette assente. Una sorta di iperrealismo dell’assenza, in tono con gli assemblaggi e collages che il movimento Dada aveva messo alla moda. Ma forse anche l’unica corrispondenza amorosa postromantica possibile, di sé a se stesso.
Scrivere a se stesso
Non senza ragione: Šklovskij si rilegge meglio per queste prose narrative. Indirette e anzi autobiografiche, una sorta di autofinzione in anteprima. Šklovskij va famoso per aver sancito che “l’arte è sempre libera dalla vita”. O anche: “Parlo a nome mio”, per aver detto, “ma non di me. Inoltre, quel Viktor Šklovskij di cui scrivo probabilmente non sono io e forse, se ci incontrassimo e prendessimo a parlare, sorgerebbero tra noi dei malintesi”. Invece si diverte in nome proprio. A costruire un romanzo d’amore, quindi di relazione, attorno a un vuoto, il vuoto d’amore. Le lettere sono o d’amore o di separazione, spiega alla prima pagina, e avendo io deciso per la forma epistolare scelgo il (non) amore. Uno sberleffo, in realtà, alla destinataria.
La destinataria non c’entra. La sua è anche tutta un’altra storia. Eloisa è ironico, sta per vergine inaffidabile, “una che si è fatta straniera”, ne dirà Šklovskij verso la fine. Alja è sorella maggiore di un’altra Kagan celebre, Lilya, “Lili”, sposata Brik, musa di Majakovkij. Due donne belle e distanti. Due allumeuses. Šklovskij lo fa intendere in trasparenza. Elsa più bella e più brava di Lili, a scuola d’architettura e in casa, aveva sedotto tutto il seducibile, Majakovskij per prima, Šklovskij, Jakobson (dev’essere stata dura), Ehrenburg e Duchamp, prima di Aragon. Una bella a trazione Fiat: “Il fascino principale di una buona macchina”, Šklovskij scrive in una delle lettere, “è il carattere della sua trazione, il carattere del crescere della sua forza. Una sensazione simile al crescere della voce. Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat: premi il pedale del gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto italiane erano reputate a Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il corrispondente Corrado Alvaro, “le migliori del mondo”.
Nobile famiglia di mercanti e musicisti, i Kagan. Una casa piccola per le due sorelle adulte, ma con due pianoforti, e una mamma dall’orecchio assoluto. Due delle tante, le sorelle, muse parasovietiche alle costole degli intellettuali che facevano tendenza a Berlino, Parigi e Londra, tra le due guerre e nella guerra fredda. Da Parigi Alja disdegna Šklovskij pur non avendo altro da fare che infilare collanine, in un alberghetto rue Campagne Première, e a Natale disegnare cartoline. Scrive romanzi elevati, che non si traducono in francese, incoraggia i poeti francesi, traduce in russo Céline, “Il viaggio”, che ancora non era stato in Russia e non aveva scritto il “Mea culpa”. Gor’kij la incoraggiata, che amava le belle donne. Elsa e Aragon saranno a Mosca nei momenti più drammatici, il 1936, il 1948, con  l’eugenetica di Lysenko, il 1953, dei pogrom contro i medici e gli intellettuali ebrei. Sarà Lilja che dalla magione moscovita aprirà a Elsa a Parigi il fascino del televisore e del magnetofono, e di Salinger del “Giovane Holden”.
Tra i bolscevichi, Šklovskij ricorda, i quali vinsero per essere più crudeli, gli intellettuali mostravano forte tempra: spaccavano il ghiaccio, scrivevano orazioni, si accusavano. A Šklovskij fucilarono due fratelli, che amavano entrambi la rivoluzione. I primi bolscevichi, belli, giovani, colti, si presentarono a Šklovskij in aspetto di sbirri: volevano denunciare qualcuno. Sklovskij che era stato di tutte le guerre nell’inferno russo, e quindi di tutte le infamie, in Ucraina sperimentando una dozzina di cambiamenti di fronte in poco più d’un anno, ancora non aveva visto nulla di simile.
Giulietta Greppi ne ha fatto una traduzione dinamica, che Šklovskij avrebbe apprezzato. Aggiungendo brevi note sui personaggi che vi s’incontrano e i luoghi, dettagli ormai necessari. .
Viktor Šklovskij, Der Zoo, o lettere non d’amore. O la terza Eloisa, Meridiano Zero, pp. 158 € 10

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