Cerca nel blog

giovedì 3 dicembre 2015

Letture - 237

letterautore

Alice – “A cosa serve un libro – pensava Alice – senza figure né dialoghi?”.
La magia di Alice secondo Wittgenstein (“Note sul «Ramo d’oro»): per asciugarsi si dà lettura della cosa più arida che ci sia.

Elemire Zolla porta Carroll lontano, sulle tracce del coniglio. Nella introdozione alla “Imitazione di Cristo”, p. 10, ricorda: “In una vignetta dell’“Amphitheatrum”, il secentesco (cinquecentesco, n.d.r.) libro di figure alchemiche del Khunrath si vede il Ricercatore che insegue un coniglio bianco che s’è infilato in una buca del terreno da cui si passa ai regni arcani e mistici”. Il rev. Dodgson alchimista e teosofo, potrebbe essere una soluzione. 

Capitalismo – “Il padrone di Esopo, per guadagnare tempo, orinava camminando” – Montaigne, (“Saggi”, p.1495 degli Oscar) trae la notizia da una delle tante vite immaginarie di Esopo. M è vero che Esopo fu uno schiavo.

Céline – È il dottor Semmelweiss, l’unica cosa che sarà stato, l’unica identificazione possibile in positivo. L’uomo che sa – di cui Bardamu-Céline ripete la lezione fondamentale: “La miseria perseguita implacabilmente e minutamente l’altruismo, i gesti più gentili sono impietosamente castigati”. Che non è misantropia, ma sano realismo

Dante – È eretico. Lo è stato in varie epoche, ora non più, ma non del tutto. È eretico per i mussulmani, avendo messo Maometto all’Inferno. Ed è scorretto politicamente. L’accusa di antisemitismo, omofobia e islamofobia, lanciatagli contro tre anni da Gherush92 , è per ora in sonno, ma non decaduta. Gherush92, “organizzazione di ricercatori e professionisti”, fondata e presieduta dall’architetto romano d’interni Valentina Sereni, che per questo fu attiva, è da allora anch’essa in sonno. Gherush è in ebraico Cacciata, una celebrazione degli ebrei sefarditi, in ricordo della cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, e successivamente dai domini spagnoli in Italia – la data scelta per la festa, che si vorrebbe pubblica, è il 31 ottobre, in ricordo del 31 ottobre 1541, quando Carlo V firmò l’espulsione degli ebrei dal vicereame di Napoli, Sicilia compresa.
In un certo senso, anche questa interdizione va a lode di Dante: che nel Trecento anti edesse l’antisemitismo e l’islamofobia.

La spiritualista Maria Soresina, “Dante era uno yogi”, o “Dante tra induismo ed eresie medievali”, lo vuole un praticante dello yoga, mediato attraverso il catarismo. Ma, di più lo vuole anche mezzo eretico e mezzo mussulmano. Perché, dice, Dante è averroista. Non solo mette Averroè nel limbo, quasi in paradiso, madell’opera di Averroè su Aristotele Dante dice che è un gran comento”. Un’affermazione decisiva, dice, “perché da quel commento nacque il cosiddetto averroismo cristiano, osteggiato aspramente soprattutto da Tommaso d’Aquino”. E non è tutto: “L’esponente più rilevante di questo averroismo cristiano era Sigieri di Brabante, che Dante mette in Paradiso nonostante fosse considerato eretico”.  Anzi no, c’è un’altra prova, ben più decisiva.
Tracce “neoplatoniche o averroiste” sono state trovate nella “Divina Commedia”. Neoplatoniche o averroiste? Non importa, perché “averroista è soprattutto l’essenza della «Divina Commedia»”. Per un motivo semplice: “Per Tommaso d’Aquino (nonché per tutta la teologia cattolica fino ad oggi) non è possibile «vedere» Dio se non dopo la morte, mentre per Averroè e gli averroisti è possibile arrivare a «vedere» Dio prima della morte”. E Dante, conclude Soresina, vede Dio “da vivo, ovvero prima della morte: “Questo insegnamento è l’essenza della «Divina Commedia», il suo significato più vero, più grande, più profondo: si può arrivare a incontrare Dio, a vedere Dio da vivi! Messaggio splendido, meraviglioso, ma è quello che dicevano Averroè e gli averroisti. Non Tommaso, non la Chiesa”. Sicura?

 

La cosa coi mussulmani sta come dice U.Eco nella “Bustina di Minerva” del 12 dicembre 2014: “È assodata l’influenza di molte fonti, anche musulmane, su Dante. Ma oggi, turbati dalla violenza fondamentalista, tendiamo a dimenticare i rapporti profondi tra la cultura araba e quella occidentale”. Ma questo non importa, un Dante mussulmano o eretico è solo uno in più, dei tanti Dante.


Dick, Philip K. – Un gran lavoratore, anche per la fatica che ci ha messo a impersonare l’alcolizzato e il drogato. Autore di 45 romanzi, alcuni a grappoli di due, tre e quattro in un anno, quasi tutti memorabili, e di almeno 133 racconti, due raccolte di saggi e un epistolario immenso, in una trentina d’anni. Il suo zibaldone che ora si traduce, col titolo “L’esegesi, 2-2-74”, prende 1.300 fitte pagine in estratto. E di una scrittura non da buttar via, che si rilegge ancora con gusto dopo cinquant’anni. Una febbrilità che lo portò alla morte per ictus a 54 anni, nel 1982.
L’autore made in Usa doveva farsi una biografia di lavoratore manuale: l’ethos del paese, il self-made man, era manualistico. La generazione post-beat, di beati nullafacenti, a cominciare da lui e fino a Foster Wallace, non più credibile con le mani callose, in un mondo peraltro sempre più di servizi e meno di manifatture, ha puntato sul “maledettismo” – in chiave americana sul vittimismo.
Il lettore di Dick si ritrova nel suo biografo in wikipedia: Temi centrali dei suoi visionari romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del «falso», lassuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino”.
.
Kierkegaard – Fu anche italianista? Cioè, non lo fu, e per questo faticò molto coi suoi riferimenti. Un caso è il proverbio toscano “chi troppo s’assottiglia si scavezza”. Che viene anche in altra forma: “Chi troppo assottiglia (o “assotiglia”, con una t-) si scavezza”. Kierkegaard lo trovò in Montaigne nella prima forma. Ma in tedesco, nella traduzione con originale a fronte, nella seconda, con due tt-. Kierkegaard però trascrive “assotiglia”, con una t-, e allora? Allora, forse, ha preso la citazione direttamente da Petrarca, “Rime”. 105.
Per capirne il significato, oggetto di una nota piuttosto elucubrata della Crusca, Kierkegaard annotò nei diari anche la traduzione inglese, di Giovanni “John” Florio, uno dei tanti “Shakespeare”: “Who makes himselfe too fine, doth break himselfe in fine”. E quella tedesca, che non ha capito il senso del proverbio: “Wer spinnt zu fein Haspelt sich ein”.

Morbidezza – Montaigne la registra come parola italiana per dire di un attributo malsano della voluttà. La voluttà si vuole rigida?

Santità – Il personaggio di ser Ciappelletto, usuraio, sodomita e santo, non ha valso una scomunica a Boccaccio. Si direbbe la santità poco seria, o la letteratura.

letterautore@antiit.eu

Nessun commento: