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sabato 5 dicembre 2015

L’inconscio era tedesco

L’editore di tutto Schopenhauer, compreso il romanzone epistolare (dal vero) “La famiglia Schopenhauer” vent’anni fa, nonché di tutto Nietzsche, in concorrenza con Colli e Montinari, autore del classico della masturbazione, “La solitudine del piacere”, aveva in serbo anche qusta chicca, precedente a tutto, che ora viene tradotta: su Freud prima di Freud. Molto Schopenhauer e Nietzsche naturalmente, ma anche Goethe e Jean Paul, Schelling, Hartmann. Tutti tedeschi, dell’Ottocento. L’inconscio è dunque “problema” tedesco, dell’Ottocento?
Sì: approda a Freud dopo lunga gravidanza nel pensiero e la poesia germaniche. La psicoanalisi avrà un deciso penchant ebraico, ma la gestazione è tedesca – o allora ci sono molti fili fra germanesimo e ebraismo. Questa di Lütkehaus è un’antologia. Ch o studioso fa precedere da una disamina di svariate concezioni dell’Unbevusste nella filosofia e la poesia tedesche dell’Ottocento.  Di diverse concezioni, e anche di diversi termini, per la stessa “cosa”. Ma con un fondo comune: senza cesura tra pensiero cosciente e inconscio.
Il titolo viene dal genio incompreso del primo Ottocento Jean Paul, purtroppo contemporaneo di Goethe che tutto offusca: “Facciamo misurazioni troppo ridotte e limitate del patrimonio territoriale dell’Io se escludiamo l’enorme regno dell’inconscio, quanto un’Africa interiore” – l’Africa come terra incognita allora per eccellenza.
Ludger Lütkehaus, L’Africa interiore. L’inconscio nella cultura tedesca dell’Ottocento, L’Asino d’Oro, pp. XII-319 € 22

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