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mercoledì 13 aprile 2016

Secondi pensieri - 258

zeulig

Analogia – È il flusso anonimo, sotterraneo, che collega (compartecipa) la conoscenza e il mondo – non un oceano dentro il quale le cose nuotano, ma le cose stesse in forma di oceano. Era “l’amore immenso che che coolega le cose distanti, apparentemente diverse e ostili”, nella sintesi che Marinetti fece un secolo fa, “Distruzione della sintassi”, 1912 a Milano, quando la nozione si indagava. E l’avvicinava allo “Stile orchestrale, insieme policromo, polifonico e polimorfo”. Anche se non limitatamente, come lui voleva, alla “vita della materia”: l’analogia, come la musica, è cosa mentale.

Femminismo – Più si è scavato più si è scoperto che la donna c’era anche prima. Le donne della bibbia. Quelle dell’Incarnazione. La successione matrilineare in Egitto. La donna a Atene. La donna a Roma, da Rea Silvia a Cornelia, madre dei Gracchi, Lesbia, Messalina, sant’Elena. La donna a Alessandria. Le badesse. Le sante. La donna nelle campagne. La donna nell’emigrazione degli uomini – ora, per esempio, nel “patriarcato” indo-arabo-mussulmano. Non facevano la guerra, e con la guerra non facevano i re, se non per difetto. Ma anche ora, fanno poco la guerra, e poco volentieri. E per governare vogliono le quote rosa - che però non riguardano la “condizione” della donna, legale, sociale, antropologica. Si parla della donna “occidentale”, in carriera.

Marx - Ha toppato Marx fin dall’inizio, nella “Lotta delle classi in Francia”: “Il trionfo della borghesia ha soffocato i fremiti sacri delle estasi religiose, dell’entusiasmo cavalleresco e della sentimentalità da quattro soldi nelle acque ghiacciate del calcolo egoista”. Mentre li aveva allargati  al pubblico delle sue signore con servitù, che ne erano vergini – e in parte resteranno loro immuni. E semmai col calcolo, cioè con la razionalità, li ha arricchiti di una altra forza di contrasto, nonché di situazioni. Ma si sapeva già che il romanticismo viene mano nella mano con la borghesia.
Marx la notte dormiva, quando si pensano le cose invereconde, soprattutto i capolavori? Di poesia e, pare, di musica - la tonalità in mi bemolle è stata a lungo, da metà Settecento, la tonalità della notte, intesa come meditazione.

Nietzsche – È nostalgico più che eversivo – eversivo per essere nostalgico. È anti-“passeista”, nella “Seconda considerazione” e altrove,  ma per un ritorno più radicale (“profondo”, “autentico”). Un classicista, non per caso un filologo agli esordi. Anzi un grecista. Per i referenti, Apollo, Dioniso, Marte. Per le tematiche e il linguaggio. L’altrimenti introvabile Superuomo è ben ellenico, uno che pensa tutto daccapo originale, rifondatore). Fu considerato in vita, e si considerava, un buon interprete e non un visionario: un professore, seppure senza più cattedra.

Non luogo - Nozione di Marc Augé, quindi recente, del luogo privo di identità, anonimo benché affollato: duty free, aeroporti, stazioni di servizio, stazioni. Che però non si possono dire luoghi privi di carattere né di scopo, anzi sono utilitaristi al massimo, mirati a uno scopo preciso. Che si può non apprezzare, essendo commerciale e affaristico, ma c’è. In realtà sono anche (inevitabilmente) caratterizzati – nazionalmente localmente. Se non altro ai loro stessi fini commerciali, e quindi luoghi a tutti gi effetti.
Non luogo poteva essere la città americana degli ani 1950-1960, di sopraelevate  e incroci autostradali, senza un centro urbano, nemmeno il vecchio foro istituzionale, degli uffici pubblici, tribunali, caserme, chiese, anch’essi disseminati nell’anonimato - un non luogo che (bizzarramente?) entusiasmava Italo Calvino in viaggio in America nel 1960, della città come un intreccio e una selva di sopraelevate: “Uno degli elementi unificatori” dell’America, scriveva nelle note ora pubblicate col titolo “Un ottimista in America”, “il più bello come fatto visivo e formale, tutto esattezza e slancio, è il nodo di autostrade…”. 

Scuola di Francoforte – Fu l’antimassa borghese, non c’è dubbio, anche nella pretesa all’aristocrazia. Dello spirito ma non senza riflessi nei comportamenti. Specie nella prudenza: se Horkheimer e Adorno avessero osato, con la loro teoria che l’irrazionale si nasconde nella società borghese, nella razionalità dello scambio e della concorrenza, molte luci avrebbero spento - e forse non avremmo avuto l’asfissiante mercato libero.

Nacque americana. Anzi californiana, con fondi californiani. Fu elitista, e solo formalmente marxista, in sostanza reazionaria. Fu illuminista anti-illuminista ma nel senso che con la “Dialettica dell’illuminismo” tentò di portare alla democrazia la filosofia totalitaria tedesca, Hegel e Marx. Fu poi dotatissima nella Germania Federale di Bonn, tra contributi pubblici e donazioni private (capitalistiche). Horkheimer era della famiglia degli industriali della lana sintetica, Adorno di una famiglia di grandi importatori di vini, nonché di docenti e musicisti. Lukáks, che li ha ispirati, è mente superiore, ma è anche quello che, da commissario del Popolo di Bela Kùn, firmò nel 1920 le condanne a morte di molti intellettuali “reazionari”.
L’Istituto fece ricerche sociologiche che non hanno lasciato alcuna traccia. Se non, forse, quella coordinata da Adorno sul totalitarismo, di cui molte tracce sono ancora percorribili, più di quelle snidate da Hannah Arendt. Qualcuna anche ridicola - il Questionario F, per rilevare il quoziente di fascismo dell’intervistato, non è il solo caso.

Non se ne parla più ora che la cultura è di massa – la cultura intellettuale, delle persone colte. La critica della Scuola di Francoforte, quando la polemica è nata, a metà del secolo sorso, ne avversava il tono elitistico, opponendole la cultura popolare. Ma Adorno non criticava la cultura di massa nel senso dell’alfabetizzazione generalizzata, e dell’accesso aperto all’istruzione superiore e alla cultura. Criticava proprio questo: la massificazione del gusto e dell’intelligenza.
E comunque resta quasi un ossimoro: la cultura non può essere di massa, riduttrice. Anche se lo studio critico è stato abbandonato dopo Adorno. Da una cultura che pretende anzi di avere realizzato la rivoluzione di Marx nella filosofia digitale, nella comunicazione aperta e libera. Come si articola la cultura nella civiltà dei consumi e della comunicazione di massa è tema irrisolto – anzi non è un tema, non si pone nemmeno, si vegeta: l’epoca è alla “demonetizzazione” del linguaggio, come sapeva il non citato Nietzsche.

Transnazionale – Come gli affari, la tecnologia, la ricerca scientifica, lo diventa in questi anni Duemila anche la scrittura, cioè la lingua. Ritenuta finora l’elemento nativo e nazionale più caratterizzante e quasi indelebile, accompagnandosi al più complesso linguaggio.

Verità – Dio (verità) è interpretazione anche secondo sant’Agostino, “De Doctrina christiana” – verità dunque non eretica. Confrontato ai libri sacri in versioni diverse, tutte traduzioni di traduzioni, e nell’impossibilità di ricostituire il testo ebraico originale, ormai definitivamente inquinato, il credente si industrierà a ricostruire il Verbo confrontando le versioni tra  di loro, l’una analizzando criticamente con l’ausilio dell’altra, per metterne in rilievo concordanze e contraddizioni, e quindi misurare i limiti della verità. Che è un metodo filologico, ma anche l’unico veicolo di verità. La verità è filologia. La verità è una lettura del mondo.

Simone Weil – Una panoramica degli amici e corrispondenti sarebbe utile: pensò molto in forma di corrispondenza, con interlocutori di cui sarebbe utile conoscere argomenti e qualità, spessore. Mentre restano altrimenti ignoti, specie per quanto concerne il radicamento - la fede, il Crocifisso. Anche i più noti, padre Perrin, Joë Bousquet. O allora non scriveva in forma di dialogo platonico,  dei soliloqui in forma di dialogo? Con destinatari che erano solo nomi, interlocutori di comodo -  il Socrate o l’Alcibiade di Platone.

zeulig@antiit.eu 

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