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venerdì 30 dicembre 2016

La violenza è come l’amore – dell’autore per se stesso

La guerra è ineluttabile. La storia va in tal senso, è una storia di guerre, e Hillmann le trova delle pezze d’appoggio. Nel mito: l’inseparabilità di Afrodite e Ares. Nella poesia – si comincia con un poema di guerra, l’“Iliade”. Nella storia, compresi gli scrittori, Mark Twain, Tolstòj,  e la filosofia, Hannah Arendt, Foucault. Nelle corrispondenze di guerra: quelle dal Vietnam ripetono Omero e l’“Iliade”. Nelle lettere dal fronte, così piene di pathos bellico, alla vigilia della morte. Nelle trattazioni dell’arte della guerra – Clausewitz escluso (tropo ragionativo?).
Si direbbero queste tutte espressioni di una particolare logica: la semplificazione (mito), la narratività (da Omero a Tolstòj), la retorica e la censura nelle trincee, la pianificazione tecnica, degli strateghi militari come dell’ingegnere civile. Che però Hillmann obnubila passandoci sopra a volo radente: parte intenzionato e non deflette, la guerra è non solo un fatto umano, è “troppo” umano.
Un terribile libro, non solo per i pacifisti. Hillmann è scrittore suadente ma psicologo un po’ troppo conforme. Scriveva anche molto, e qui per esempio non si controlla abbastanza. La guerra dice “pulsione primaria” della specie umana. E delle altre specie no?
L’amore per la guerra è difficile da provare, anche solo da immaginare. Hillmann parte dalla scena di un film, che si basa sullo stereotipo del generale Patton in uso nella pubblicistica, l’uomo che vince la guerra contro il male essendo lui stesso un cattivo – “come amo tutto questo”, un panorama di desolazione, cadaveri, crateri, macchine di ferro contorte , “che Dio mi perdoni, lo amo più della mia vita”. Che va bene per una storia romanzata, e meglio ancora per aprire un film di opposizione alla guerra nel 1971, a guerra del Vietnam inutile e persa - lo sceneggiatore Francis Ford Coppola fissa poi Patton su una grande bandiera americana, che arringa i soldati. Ma astrarre la scena dall’opposizione pacifista alla guerra del Vietnam è come dire la mafia dato caratteriale e etnico. Che la violenza sia una pulsione, in qualche modo una decisione, sia pure irriflessa, piuttosto che un fatto chimico, è da dimostrare, e probabilmente è indimostrabile – l’“Arancia meccanica” di Kubrick e Burgess mezzo secolo fa ne diede dimostrazione, sia pure oltraggiosa. È però statisticamente minoritaria, molto. Chi è umano, Kim-Il-Sung, o come si chiamano i suoi nipoti, oppure i coreani?  
James Hillmann, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, pp. 296 € 20

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