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lunedì 19 febbraio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (355)

Giuseppe Leuzzi

Emanuele Felice, il professore di Pescara autore  della “Storia economica della felicità”, si chiede preoccupato su “la Repubblica” “se il Sud tradisce il Pd” alle elezioni. Perché, cos’è il Pd per il Sud, a parte il malgoverno? Anche in quest’ultimo anno, dopo la batosta del Sud al Pd sulla riforma costituzionale: niente ravvedimento.

Sotto accusa a Napoli un paio di politici del Pd, legati al presidente del regione De Luca: un figlio, almeno uno, e collaboratori vari. Per non avere denunciato chi offriva loro tangenti per smaltire i rifiuti.  Chi offriva le tangenti è un pentito di camorra, pagato per attirare in trappola i De Luca. Tutto inventato: Napoli supera se stessa. Se tirasse la fantasia fuori dalla ignominia?

Il docufilm Rai 1 su De André riporta ala memoria il processo ai suoi rapitori in Sardegna. Dove gli organizzatori, un veterinario di Grosseto, un farmacista e il macellaio locali se la cavarono con poco o niente, essendosi professati “pentiti” – la legge con i benefici era ds poco in vigore – mentre  i poveracci che avevano eseguito il rapimento e organizzato la lunga custodia ebbero dagli otto ai dieci anni.

Il rapimento De André in Sardegna dimostrò che , se si voleva, l’Anonima Sequestri non era poi anonima ed era battibile: bastava cercare i rapiti. Mentre in Calabria poté prosperare ancora per vent’anni.

Briganti in Abruzzo, un sogno
Si proiettava in Francia nel 1925 – J. Roth ne riferisce in un articolo della raccolta “Nella Francia meridionale” (ora in “Al bistrot dopo mezzanotte”) – un film, “I lupi rossi”, in cui i cattivi erano briganti abruzzesi. Roth l’ha visto a Marsiglia, in un cinema di fronte al porto, e così racconta il film. “Hanno rapito Margot, una bella giovane, e l’hanno nascosta in una torre alta e irraggiungibile”. Non naturalmente per l’eroe, “un giovane ardimentoso di nome Cesare”. Che strappa anche l’ammirazione dei briganti. E degli spettatori ma in modo particolare: “Non riscuote solo l’applauso dei lupi rossi, ma anche quello degli spettatori, che sognano ardentemente di essere briganti in Abruzzo”. Non senza un perché.
Il film è visto otto volte in un giorno, dalle dieci di mattina a mezzanotte, specie dalle mamme coi bambini – il cinema è più fresco che la casa, i bambini non pagano, e “ogni spettatrice ha almeno quattro figli”. Ma anche i mariti portuali, la sera, rifocillati e ripuliti, non se ne privano, “con il desiderio nel cuore di essere un brigante in Abruzzo”, anche loro – “Una caverna di briganti in Abruzzo è ancora più romantica di un porto”.
È l’antica dialettica Nord-Sud. O non è la dialettica montagna-mare – chi sta in montagna vuole il mare, e viceversa, si chiede lo scrittore? “Vorrei sapere se i briganti abruzzesi si guardano un film sui lupi di mare diMarsiglia”.

Il mondo di mezzo
Joseph Roth scopre il Sud a Lione: “Dopo aver attraversato una galleria, ci si ritrova in un mondo meridionale”. Ma il cambiamento, “in modo repentino”, intende radicale: “Pendii scoscesi, rocce solcate da fenditure che ne svelano la struttura di pietra, verde più intenso, vapore tenue, azzurro pallido, un celeste più forte, deciso…. I contorni di tutte le cose sono più netti, l’aria è immobile, le sue onde hanno smesso di accarezzare i corpi solidi. Ciascuno ha margini immutabili. Niente oscilla più. In tutto vi è una sicurezza assoluta, come se le cose avessero maggiore conoscenza di sé e della propria posizione nel mondo. Qui vien meno ogni dubbio. Qui non si intuisce. Si sa”. Fa molto caldo anche a Lione, 35 gradi, “eppure le strade e la gente  non sono pigre e stanche, ma serene e animate”.
Ripensandoci, in un articolo successivo (poi pubblicato nella raccolta “Le città bianche”, ora in “Al bistrot dopo mezzanotte”), Lione appare allo scrittore austriaco “al confine tra il Nord e il Sud dell’Europa”. In un incontro ferace: “È una città di mezzo. Fedele alla serietà e alla determinazione settentrionali non meno che alla spontaneità del Mezzogiorno, è una città alacre e sorridente”. La vivacità è meridionale, ma la città sa combinare i due capi: “Il giorno feriale è faticoso e la domenica festosa e animata. Tutti dimostrano una solerzia straordinaria nel non fare nulla. Fanno festa con infaticabile zelo”.
Il Sud J.Roth identifica con la socialità: “Come si amano gli indifesi, i bambini, i deboli! Nessun grido, nessuna percossa, nessun pianto”.Che al sociologia nordica muterà presto invece in “familismo amorale”.

La scoperta di Bisanzio
Il Sud è molto bizantino. Ma si scopre a poco a poco. Negli anni 1970 ancora non si sapeva. Gli studi più occidentali dl bizantinismo si facevano ancora a Belgrado, in Serbia. Negli anni Ottanta del secolo Novecento la Calabria ha preso a farne la scoperta, una piccola parte dela Calabria, sulla punta, da Reggio andando verso Bova. Sulla scia della Grecia, che furiosamente riscopriva il bizantinismo, in funzione anti-Macedonia e anti-Bulgaria, insomma anti-slava. E per accedere ai fondi europei cospicui per le culture da salvare.
In Italia si cominciava a farne qualche studio all’università della Lucania – c’è una università della Lucania? Ma di Silvia Ronchey, che a Roma cominciava a occuparsene, si diceva solo che era figlia  di Alberto Ronchey. Finché, ai primi del millennio, improvvisamente, anche la Sicilia si è riscoperta bizantina. Tutto quello che era evidente, i mosaici a Palermo, la Madonna di Tindari, i conventi basiliani, il rito greco, la toponomastica, gli anni in cui Costante II volle la capitale dell’impero a Siracusa invece che a Costantinopoli, è stato riscoperto. Sull’esempio dei (piccoli) comuni grecanici di Reggio Calabria, dei fondi europei.

Autobio
Sciascia, che ha dell’infanzia un’immagine negativa, “un’età triste, dura soverchiata da prepotenze e tirannie”, ne dà un quadro ambivalente “nella società siciliana”: “I bambini sono oggetto di una specie di idolatria e tiranneggiano intere famiglie e vicinati”. Un giudizio che bilancia col ricordo opposto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nei “Racconti”. Nel racconto “I luoghi della mia prima infanzia” l’autore del “Gattopardo” si commuove alla rilettura di “Henry Brulard”, il selfie di Stendhal, salvo che in un punto: “Lui interpreta la sua infanzia come un tempo in cui subì tirannia e prepotenza. Per me l’infanzia è un paradiso perduto. Tutti erano buoni con me, ero il re della casa”. In piccolo, il ricordo è uguale, anche se non in Sicilia – e non personale, privilegiato, tutti eravamo re della casa e tutti erano buoni con noi, i compagni di età e di quartiere, e gli adulti. L’infanzia è – era – protetta. Lo era anche quando usavano gli schiaffi. 
Non di scuola – la sola che Sciascia esercita - la memoria dell’infanzia è di un’avventura senza fine, fino alle ombre sotto il letto e forse anche nel sonno. E quasi un impegno, di invenzioni, trovate, scorribande, con compagnie sempre presenti, seppure polimorfe e oggi invisibili (se non ai richiami: “Ti ricordi?....). Oggi il mondo è un altro, i bambini stanno al chiuso in casa, quando escono da scuola. I bambini stanno sempre al chiuso, controllati. Un tempo no. Nemmeno la mattina, quando c’era scuola: si poteva anche non andare a scuola, e la scuola era comunque  un posto vivace. Giusto il pomeriggio, quando papà era in casa, che imponeva un riposo di due ore, passate a smaniare. Alle elementari, se il maestro non era preciso all’ora il segno era che un supplente sarebbe venuto, e allora la classe unanime si metteva in vacanza, senza mai problemi. Al ginnasio in collegio il martedì, quattro re di lettere più una di religione, se il tempo era bello si andava a giocare al calcio sul campo dell’Arsenalmessina, dietro il porto.
La scuola divoratrice di oggi, sotto le insegne del dover essere, era impensabile. Vecchie generazioni imprevidenti? La scuola è tutto è un sostituto di che - un Ersatz di quali colpe (poiché di colpa si tratta)? O si può fare una pedagogia punitiva.

leuzzi@antiit.com 

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