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venerdì 23 febbraio 2018

Il mondo com'è (334)

astolfo

Caf – Ce n’è stato uno al femminile. La sigla Caf fu adottata nel 1988 dai giornali dei gruppi L’Espresso e Mondadori (allora a gestione, anch’esso, De Benedetti) per indicare il raggruppamento Craxi-Andreotti-Forlani che reggeva il governo e la maggioranza di governo. Nell’inverno di due anni dopo si sarebbe potuto adottare per designare la guerra tra le regine del giornalismo italiano, Cederna-Aspesi-Fallaci, le prime due del raggruppamento Mondadori-L’Espresso, la terza del gruppo rivale, Rizzoli-Corriere della sera.
Si erano avute avvisaglie durante l’estate, quando i giornali Mondadori e L’Espresso, curiosamente senza scoprirsi in prima persona con proprie critiche, valutazioni o informazioni (unica eccezione la cederniana Grazia Cherchi su “Panorama”, peraltro blanda), rilanciavano però con costanza con ampio risalto  ogni accenno negativo, o anche soltanto non entusiasta, sul reportage-romanzo “Insciallah” di Oriana Fallaci appena apparso: che non aveva superato il milione di copie, forse nemmeno il mezzo milione, malgrado l’enorme investimento promozionale dell’editore, che forse non era buona letteratura, che forse Fallaci aveva “rubato” il personaggio al colonnello Angioni (probabilmente all’epoca già generale: da colonnello aveva comandato la spedizione dell’esercito italiano a Beirut nel 1982-83), che forse se ne era innamorata, e che forse a Beirut non c’era nemmeno stata.
Il conto finale, sempre in chiave curiosamente di pettegolezzo e non di critica, veniva presentato a Fallaci da Camilla Cederna su “Wimbledon”, il mensile di “Repubblica” per “la gente che legge” il 4 luglio del 1990 – titolo di Dell’Arti, direttore del mensile: “Madame Veleno e i calzini di Panagulis”, i calzini che il resistente greco avrebbe lasciato a Fallaci scappando dal nido d’amore.  E da Natalia Aspesi in un lungo corsivo di commento all’articolo di Cederna e alla riposta di Fallaci su “la Repubblica”  del 27 dicembre 1990, “L’elmetto di ‘Penelope’”. La polemica Cederna-Fallaci era finita in Tribunale, e Aspesi esordiva: “Due donne, quindi due rivali. Per di più tutte e due un po’ in là con gli anni, tutte e due signorine…”. I “si sussurra” poi sprecando – l’ultimo è: “Insciallah non ha (per ora) venduto quel milione abbondante di copie che l’autrice e l’editore si aspettavano, ma molto meno, si sussurra addirittura la metà del libro di D’Orta Io speriamo che me la cavo, per il cui lancio Mondadori ha speso quasi niente”.
Anche il Caf politico non era univoco. Con piccola variazione nominale si può dire che, come Craxi, Andreotti e Fanfani hanno dominato la politica italiana nei cinquanta anni dalla guerra al Duemila, così le tre intramontabili, fino a che morte non le ha separate, hanno dominato il giornalismo – femminile?  

Casciubo – La lingua parlata dai prussiani prima di diventare tedeschi, secondo Joseph Roth – “Al bistrot dopo mezzanotte”, p.240. Era casciuba, slava occidentale, la popolazione della Pomerania. Günther Grass ne fa nell’autobiografia la sua tribù di riferimento per parte di madre, a Danzica, la città d’origine..

Controinformazione – Legata, dettata, dal potere. In Italia è stata censita e teorizzata (Pio Baldelli ne fece l’anamnesi e la teoria in “Informazione e controinformazione”, 1972). Ma già “La strage di Stato”, 1974, il volume di denuncia redatto dalla sinistra alternativa su dossier dei servizi segreti, ristabiliva la verità della cosa. Negli Usa, dove è nata nel 1969-1970, attorno al “New York Times” e alla “Washington Post” era parte esplicita delle lotte di potere contro la presidenza Nixon, con i “Pentagon Papers” e con lo scandalo Watergate. C’era - come c’è tuttora, ma allora molto più fertile e diffusa- una stampa alternativa, che però non era contraltare di nessun potere.
Si vede negli Usa anche oggi: la stampa è sempre legata al potere, Negli Usa sensibilmente al potere Democratico: i media si vogliono “dalla parte giusta”, e quindi hanno lo stesso complesso della parte giusta della storia, che deve essere liberal, progressista. Di che non importa, conta il mainstream. Di fatto occultando o proteggendo veri e propri misfatti: la presidenza Kennedy con la guerra al Vietnam e l’ostracizzazione di Cuba (tentata invasione, Castro schiacciato su Mosca), Carter e il disastro Iran, le presidenze Clinton con l’arricchitevi (prodromo dei mutui sub-prime della crisi del 2007) e la globalizzazione, le presidenze Obama con le guerre perse in Medio Oriente (Afghanistan, Iraq, Siria), la disintegrazione della Libia e dell’Ucraina, la tentata disintegrazione dell’Egitto.
Molta controinformazione oggi negli Usa con un suggello liberal  o progressista, di sinistra, roba di destra. Il caso più macroscopico è l’intromissione dei servizi segreti, i famosi corpi separati dello Stato, che negli Usa sono molti e potenti, nella politica. Per fini coperti. O la politica lasciata dai grandi media ai cronisti giudiziari, soliti a pulire i crocicchi e i bassifondi dei palazzi di giustizia e delle questure.

La controinformazione è opera sempre di spie e informatori segreti. Della parte cioè non nobile della pubblica opinione, che non può essere segreta. Delle “gole profonde” della grande stagione della controinformazione, a New York e a Washington, si salva, forse, solo Daniel Ellsberg, il trafugatore dei “Pentagon Papers”, lo studio che documentava le verità taciute della guerra al Vietnam. Un piccolo impiegato di grandi aspettative (il film “The Post” lo rappresenta male, come uno traumatizzato dal cinismo del suo capo McNamara), che imbastirà un suo piccolo business del pacifismo. Ma già la seconda ondata dei “Pentagon Papers”, come poi il Watergate, sono opera di spie professionali.
Ellsberg divulgò i “Pentagon Papers” scopertamente: prima di darli al “New York Times” ne aveva proposto la diffusione ea vari membri del Congresso, rivevendone un rifiuto perché i documenti erano “classificati” segreti. Fu il “New York Times”, cui poi Ellsberg si rivolse, a imporre la segretezza dell’operazione divulgazione. Prendendosi tre mesi per far studiare le carte a un redattore esperto fuori della redazione, e farle editare. Ellsberg fu comunque processato. Ma non poteva essere detto una spia: era “uno di coscienza e convinzioni, ma anche di un forte ego”, a detta di Bagdikian. il giornalista “esperto” del “Washington Post” che aveva conosciuto Ellsberg alla Rand Corporation (da cui i “Pentagon papers” furono trafugati) e a un certo punto si convinse che la fonte del “New York Times” non poteva essere che lui, uno quindi di personalità.
Era invece un ex della Cia, se si può essere ex, Ben Bradlee, il direttore del “Washington Post” che diede la caccia ai “Pentagon Papers” e , soprattutto, alimentò il Watergate. Un aristocratico di Boston spia della Cia, manipolatore di carte, probabile manipolatore di destini: i coniugi Rosenberg, mandati alla sedia elettrica con prove dubbie come spie di Mosca, il primo Russiagate. Famiglio di John Kennedy: una sua cognata, poi assassinata nel 1964, sorella della moglie, vantava una relazione con Kennedy. Amico intimo di James Jesus Angleton, che a lungo ha controlato per la Cia la piazza romana.
Era una spia in servizio attivo, agente speciale e vice-direttore dell’Fbi, dopo essere stato segretario di un paio di senatori Democratici, la “gola profonda” del Watergate Mark Felt, amico di Bradlee. Aveva fatto carriera con Edgar Hoover, di cui protesse la memoria, nascondendo le carte che segretamente Hoover aveva accumulato su vari dossier, o aiutando la sua segretaria a distruggerle. E fu nominato da Nixon vice-direttore dell’Fbi alla morte di Hoover, come il più alto in grado del Bureau, la nomina del direttore considerando di natura politica. Coltivava da tempo amicizie nei giornali di Washington, sicuro di succedere a Hoover. E in questa chiave creò lo scandalo del Watergate.
 L’Fbi tramava contro Nixon, come ora la Cia contro Trump, con intercettazioni falsate e indiscrezioni ai giornali. Del Vietnam, guerra voluta da Kennedy sconsiderato e da Lyndon Johnson sprovveduto, la colpa si fece ascendere a Kissinger e Nixon, che invece in qualche modo la chiusero, etc. 

Germania-Usa – Gli Stati Uniti furono per diventare tedeschi
ma dei tedeschi al governo negli Usa non c’è una buona tradizione. Ora Trump. Con Nixon una serie di personalità di molto potere non hanno lasciato buona traccia: Bob Haldeman, direttore generale della Casa Banca, John Ehrlichman, consigliere speciale del presidente, l’avvocato William Ruckelshaus, vice direttore dell’Fbi e poi vice-ministro della Giustizia per conto di Nixon, il ministro della Giustizia Richard Kleindiest. Tutti poi più o meno coinvolti nel Watergate. Anche Kissinger, che del tedesco ha mantenuto perfino l’inglese, in qualche modo ne è rimasto macchiato - è una grande statista solo per gli europei.
La strana piega che prende la storia degli Stati Uniti quando al vertice si ritrova i tedeschi mostra che gli americani non li amano e li temono, anche se senza colpa-

Rifugiati – L’Europa tra le due guerre è stata fertile di rifugiati - senza patria, perseguitati politici, migranti. Dalla Russia e da tutta l’Urss, dalla Germania, dall’Italia, dalla Spagna, dall’Irlanda, alla Romania, dalla Jugoslavia. Per rivoluzioni e odi tribali.

astolfo@antiit.eu

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