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sabato 24 febbraio 2018

Dio è sogno

L’esaltazione, magnificazione e santificazione del nome di Dio, l’antica preghiera ebraica (in aramaico) in forma di poema sinfonico. Un canto per i morti, nella tradizione. Un dialogo con Dio, nella forma del “Padre nostro”, ma senza certezze – “Tu chiedi la fede: dov’è la tua?”.
L’alterità, nelle tradizione veterotestamentaria, tra l’uomo e il suo Dio senza nome. Dell’umano che si prende, nella lunga invocazione, il ruolo divino. Una sfida. Che assume, nel testo che Bernstein ha musicato, il vagheggiamento del creato come sogno, creazione del credente. Come in molto Borges, studioso del semitismo, e in Kafka: “Riposa, Padre mio, dormi, sogna.\ Lascia che io inventi il tuo sogno, che lo sogni insieme a te”. Paterno: “E forse, sognando, ti potrò aiutare a\ ricreare la tua imagine, ad amarla nuovamente”.
Un poema di forte intensità. Che il coro e le voci banche, in dialogo o in uno con la soprano Nadine Sierra) e la voce recitante (Josephine Barstow) innalzano solenne. Trasognato, nella ninna-nanna intonata dalla soprano col controcanto delle voci bianche, e nel lungo sogno della voce recitante. E monumentale insieme, nella fuga conclusiva cui partecipano tutte le voci, celebrazione della fede consolidata, dell’impegno di fede, della fede come impegno..

Una ripresa per i cento anni della nascita del maestro compositore, di cui il direttore di Santa Cecilia Pappano fu collaboratore, destinata a favorirne un sicuro revival. La sinfonia “Kaddish”, eseguita per la prima volta due mesi dopo l’assassinio di John Kennedy, fu dedicata al presidente americano. Con l’interpolazione di cenni all’olocausto nucleare in agguato – il kaddish, melopea funebre, non menziona mai la morte – che questa età di crisi sembra rinnovare.   
Leonard Bernstein, Kaddish, Orchestra, Coro e Voci bianche dell’Accademia Santa Cecilia

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