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domenica 14 aprile 2019

La morale personalizzata

Il testo di papa Ratzinger sulla pedofilia nella chiesa, subito passato al gossip e dimenticato, prova forse dell’incapacità del “Corriere della sera” di fare notizia, avrebbe meritato e merita attenzione nel punto fondamentale. Là dove il papa tedesco, canonista e fine teologo, spiega un mutamento radicale nella concezione etica. Questo il nucleo di quello che è stato liquidato come il suo Sessantotto - la mutazione è avvenuta, scrive, negli anni 1960.
Lo spiega critico. Da critico del relativismo, cognitivo e morale. Che tanto ha criticato da papa in cattedra. Ma non da buttare via:
Il suo pensiero sul Sessantotto, non da teologo, ma da uomo pratico e vescovo, è presto detto – vide le cose che vedevano tutti: “Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accet­tarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sa­cerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato cle­ricale furono una conseguenza di tutti questi processi”.
Questo invece il punto nodale, sulla concezione della morale:
Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalistica­mente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia”. Era un scelta, ma fu perseguita in una certa maniera, fino a negare che ci possano essere “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie”.
Una sorta di morale custom made, su misura, personalizzata. Un ritorno alla Bibbia, può aggiungersi, monco, poiché evita il passo fondamentale del peccato originale. Ratzinger bizzarramente non lo contesta, ma ne contesta l’esito: “Infine si affermò ampiamente la tesi per cui la morale dovesse essere de­finita solo in base agli scopi dell’agire umano. Il vecchio adagio «il fine giustifica i mezzi» non veniva ribadito in questa forma così rozza, e tut­tavia la concezione che esso esprimeva era divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tanto meno qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio”.
Una deriva laicamente discutibile, contestabile. Ma argomentata: “Una società nella quale Dio è assente - una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse - è una società che perde il suo cri­terio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della «morte di Dio». Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché vie­ne meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisa­mente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta”.

Una deriva che la laica Maria Montessori rilevava nel 1916, “L’autoeducazione nelle scuole elementari”, come citata oggi, coincidenza, da Armando Torno sul supplemento “domenica” del “Sole 24 Ore”. “Nel peccato originale è raccontata questa storia eterna, dell’uomo che vuole fare da sé, che vuole sostituirsi a Dio, emanciparsi da lui, e creare. E così cade nell’impotenza, nella schiavitù e nell’infelicità. La mente che lavora da sé, indipendentemente dal vero, lavora nel vuoto. Questa sua facoltà creativa è un mezzo per lavorare sulla realtà. Ma se essa scambia il mezzo col fine, è perduta. Questa specie di peccato dell’intelligenza, che tanto ricorda il peccato originale, di scambiare il mezzo col fine, si ripete sotto ogni forma, come una «forza d’inerzia» che pervade ogni vita psichica”.

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