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giovedì 25 aprile 2019

Letture - 382

letterautore


Atridi – La classica Grecia ha un panteon sanguinario. In esso, benché tutto crudelissimo, gli Atridi riescono perfino a distinguersi, secondo Pavese perfido, per l’influsso di Artemide “arcadica e marina”. Nel paragrafo a loro dedicato nei “Dialoghi con Leucò”, “In famglia”, Pavese fa dire a Castore in stringente sintesi: “È una famiglia che in passato si mangiavano fra di loro. Cominciando da Tantalo, che ha imbandito il figliolo…”. O dal “sacrificio dell’atride Ifigenia, tentato dal padre”.

Entusiasta – È “Dio in noi” nell’etimo greco costruito da Madame de Staël. E da Lord Shaftesbury, il Sociable Enthu­siast autore della Lettera sull'entusiasmo, fautore della libertà di scherzo sotto il titolo Sensus Communis, nipote dell’omonimo Lord Cancelliere feroce antipapista —, un Dio che non è tragi­co, non è ingiusto, non è vendicativo, e si compiace della fran­chezza.

È anche il fanatico – il settario. Monsignor Knox ha posto sotto il titolo Enthusiasm, “termine trito, peggiorativo, normalmente malinteso”, il suo ponderoso studio sulle sette, quel fenomeno per cui “un ecces­so di carità” minaccia l’unità, quando una cricca, un’élite di uo­mini e (più importanti) di donne cristiane si prefiggono di vive­re una vita meno mondana dei loro vicini, di essere più ricettivi all'indirizzo (sentito personalmente, vi assicureranno) dello Spirito Santo”.
Lo studio di Knox, che entusiasmò i prelati del Concilio Vaticano II, deriva da John Locke, segretario del Lord Shaftesbury cancelliere: una lettura deviata del termine, vicina al fa­natismo. L’ambivalenza è riprodotta anche da Kant - di cui Herder diceva che fu “lo Shaftesbury della Germania” - nel periodo in cui Kant professa­va lo stile popolare, ma che nella sua anglofilia volle evidente­mente far posto anche a Locke.
Madame de Stl, che su que­sto tema conclude la bibbia del romanticismo, “Della Germania”, la vede dall’altro lato: “Il genio e l’immaginazione hanno anch’essi bisogno che si curi un po’ la loro felicità in questo mon­do. L’entusiasmo ci fa sentire l’interesse e la bellezza di ogni cosa. Inebria l’animo di felicità e lo rafforza nella disgrazia. Gli scrittori senza entusiasmo non conoscono, della carriera lettera­ria, che le critiche, le rivalità, le gelosie”. Con qualche contrad­dizione: sarebbe un connotato tedesco — “l’entusiasmo (è) la qualità veramente distintiva della lingua germanica — portato dallo spirito di sistema. E almeno una controindicazione: “Por­ta in generale alla tendenza contemplativa che nuoce all’azione: i tedeschi ne sono una prova”.

Eroi – “Hanno tutti avuto guai dalle donne”, nota Pavese nei “Dialoghi con Leucò” (“Gli Argonauti”), ed è vero. Dall’“Iliade” in qua, per non dire delle tragedie. E forse è il segreto di Penelope, della qualche attrattiva che mantiene benché non per avvenenza o fascino: per essere paciosa, non iraconda, non minacciosa.

Filippo de Filippi – Chi era costui? Gertrude Bell lo cita come persona conosciuta scrivendo all’amica Valentine Chirol il 6 febbraio 1913: “Ho abbandonato il piano Asia Centrale e l’ho scritto a Filippi”. Georgina Howell, in “A woman in Arabia”, un abbozzo di biografia di G. Bell, definisce De Filippi così, con “Nature” e la “Encyclopedia Britannica: “Cavaliere Filippo de Filippi, autore di molte pubblicazioni in italiano, inglese, tedesco, aveva invitato Gertrude a unirsi a lui nella spedizione scientifica al Karakorum nel 1913-1914. Nel 1928 divenne segretario generale dell’International Geographical Union”.
Il Dizionario degli italiani Treccani non lo cita, benché De Filippi ne sia stato redattore, per la parte viaggi e avventure. Il “cavaliere” c’è invece in wikipedia in inglese – molto accorciato nella versione italiana. Fu medico, professore alle università di Bologna e Genova, e poi geografo, altrettanto professionale e accademico, scalatore, esploratore. Fu cavaliere nell’ordinamento inglese: a Londra aveva sposato nel 1901, a 32 anni, la poetessa Caroline Fitzgerald, e a Londra ritornò nel 1917, a dirigere per due anni l’ufficio italiano di propaganda e informazione.  Già famoso come scalatore alpino, nel 1897 aveva organizzato col duca degli Abruzzi una spedizione in Alaska, dove scalarono per primi il Saint Elias. Nel 1903 aveva esplorato il Turkestan, passando per il Caucaso. Scrisse di una spedizione, cui non aveva preso parte, del duca degli Abruzzi sui monti Ruwenzori, alla frontiera tra Uganda e Congo. Nel 1909 col duca degli Abruzzi esplorò la catena del Karakorum. La spedizione cui di riferisce Gertrude Bell è del 1913-14, nell’Asia Centrale, Baltistan, Ladakh e Xinjiang: De Flipi ne ricavò un’opera in 17 volumi, su tutti gli aspetti della regione, etnologici, antropologici, topografici, geologici. In particolare, la spedizione determinò che il ghiaccio Rimo è stato lo spartiacque dell’Asia Centrale.

Greco – È stato a lungo sinonimo di levantino – ingegnoso, imbroglione. Anche in ambienti colti. Di Teseo che, “di ritorno da Creta, finse di dimenticare sull’albero le nere vele segno di lutto, e così suo padre credendolo morto si precipitò in mare e gli lasciò il regno”, Pavese dice (“Dialoghi con Leucò”): “Ciò è molto greco”.

Primo Levi – Sua madre e la madre di Vittorio Foa erano cugine. Nel 1942, ricorda Anna Foa in “La famiglia F.”, quando in carcere ebbe dai suoi la notizia della morte del padre di Primo, Vittorio Foa scrisse loro di Primo e della sua sorella Anna Maria, “i cugini botticelliani, angeli senza ali, coi soliti incerti confini tra l’angelicità e la mediocrità. Esiste un fondato sospetto che nel paradiso terrestre gli angeli  andassero a quattro gambe… Ricordo Anna Maria bambina, era riconoscibile una doppia possibilità di sviluppo: o in una inverosimile scialbezza o in una singolarissima spirituale originalità: le probabilità sembravano allora addensarsi sulla prima ipotesi. Il ragazzo era allora troppo timido, ma sono passati tanti anni. Per Anna Maria si realizzò la  seconda ipotesi”. Uscito dal carcere un anno dopo, a fine agosto 1943, Foa corteggiò Anna Maria vivacemente. Poi si legò con Lisa Giua, staffetta partigiana. Ma per gli ottanta anni di Anna Maria le manderà ottanta rose rosse.

Meschino – Meglio ancora alla siciliana, mischin(u), molto usato da Camilleri, è letteralmente arabo, del Nord Africa e del Levante. In questa pronuncia Gertrude Bell lo rileva in un episodio di “The Desert and the Sown”, il viaggio in Siria e in Palestina, con la corretta definizione: “Una parola che copre ogni forma di leggero disprezzo, da quella che si applica alla povertà onesta, fino a, attraverso la stupidità, i primi stadi di debolezza mentale”.
Ora in disuso – eccetto che nel “Giudice meschino”, il trittico thriller di Mimmo Gangemi.

Migranti – In “Profezia”, la poesia a forma di croce, del “Libro della croce” (poi nella raccolta  “Poesia in forma di rosa”), Pasolini profetizza gli sbarchi dalla Libia. Nel quadro di “Alì dagli occhi azzurri”, la storia che poi svilupperà e che gli è stata raccontata, spiega nella dedica di “Profezia”, da Sartre. “La grazia del sapere\ è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa”, Pasolini a un certo punto riflette, dopo avere messo “il contadino calabrese” in sintonia e in urto con “l’operaio di Milano”. E poi decide per il vento del Sud, si direbbe: “Alì dagli Occhi Azzurri\ uno dei tanti figli di figli,\ scenderà da Algeri, su navi\ a vela e a remi. Saranno\ con lui migliaia di uomini\ coi corpicini e gi occhi\ di poveri cani dei padri\ sulle barche varate nei Regn della Fame. Porteranno con sé i bambini…..\ Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,\ a milioni, vestiti di stracci\ asiatici, e di camice americane.\ Subito i Calabresi diranno\ da malandrini a malandrini: «Ecco i vecchi fratelli,\ coi figli e il pane e formaggio»!\ Da Crotone o Palmi saliranno\ a Napoli, e da lì a Barcellona,\ a Salonicco e a Marsiglia,\  nelle Città della Malavita.\ Anime e angeli, topi e pidocchi,\ col germe della Storia Antica,\ voleranno davanti alle willaye”.   

Occidente – “Per gi antichi l’Occidente – si pensi all’ «Odissea» - era il paese dei morti”, C. Pavese, “Dialoghi con Leucò”.

Odisseo – È l’uomo solo. Non ha amici né compagni all’assedio di Troia, dove pure è un re. E nel lungo ritorno non ha affetti né interessi, se non, alla fine, per un cane, il figlio e la moglie.

letterautore@antiit.eu

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