Cerca nel blog

venerdì 21 giugno 2019

La strada dei cattivi pensieri

“La spiaggia di Falesà non esiste. Quella di Campo di Mare sì”. Ai settanta verso gli ottanta non ci si può più illudere. E Pecoraro, che di professione e mente è architetto, anzi no, storico dell’arte, lo spiega in dettaglio sotto forma di progetto, “avendo tempo libero, di ricostruzione/restituzione, storica e non” del suo quartiere romano, “lo Stradone” che sale dal Vaticano.
Una “storia geografica”, del “Quadrante”, detto anche Valle Aurelia o dell’Inferno, su per il monte di Argilla, nella parte denominata la Sacca, abitata da uomini  e donne che “veramente credevano in un mondo diverso e comunista”,  che ha fabbricato Roma, antica e moderna, per lo più a opera di architetti e artigiani ticinesi, con le sue fornaci, toponimo ancora resistente anche se il forno Hoffmann & Lich , “tra la fine del Diciannovesimo Secolo e l’inizio del Ventesimo, quando giù tra le colline di argilla si erano insediate una cinquantina di fornaci”, le mise fuori gioco. Poi anche Hoffmann è finito abbandonato, il foratino avendo preso il posto del mattone. Nella “grande macchia d’olio che chiamano la Città di Dio” – di olio esausto?
Una storia edilizia? Un (lungo) sbocco di malumore. Al tempo dei bilanci, ma non saggi, non rassegnati cioè, anzi piuttosto incattiviti: “Ho fallito anche nella carriera impiegatizia, oltre che nei rapporti affettivi, nel riprodurmi, nel convivere, nel matrimonio, nel tradire, nell’essere tradito, nella lotta alla blattella germanica, in tutto. Adesso sono in pensione. Faccio un cazzo”. È l’occupazione  del “tempo libero” del pensionato, che ne ha molto, il racconto “dell’osservazione diretta dei fenomeni esodomestici, della micro-storia evenemenziale sotto casa”. Opera di “uno dei tanti piccolo borghesi intellettuali falliti”. Cioè scontento di sé? Statisticamente è tutta piccolo borghese l’umanità urbana - e anche quella di paese, iperconessa anch’essa. Intervallata da sapide annotazioni alla Verdone di cose viste\sentite.
Una costruzione originale. Seppure in selfie, col grand’angolo, col fisheye e tutto. Politicamente ipercorretto. Con la nostalgia\rivendicazione dell’essere comunista – la deriva socialista essendo finita in “un mesetto di carcere”, per essere passato contemporaneamente al ministero tra “quelli che prendono i soldi”. Anche quando il Partito vuole il borgo distrutto con le ruspe per costruirci i palazzoni popolari. Con Lenin onnipresente, di fronte, di profilo, e anche di dietro, guardandone la nuca - con masse di anarchici che nelle papaline fornaci lo attendono, anche se non lo conoscono, nelle due ore che il futuro bolscevico ha passato a Roma, fra un treno e l’altro. Ma poi non si capisce: di Lenin si ricorda che il “socialista Mussolini” definì “come «l’unico capace di fare una rivoluzione in Italia», previsione avveratasi”, due cose non vere. E dello Stradone si pone il dubbio se non sia “l’allestimento scenico di un reality a bassa intensità”, la solita vita che imita l’arte.
Una storia in agrodolce, si sorride – anche di Lenin, che il nemico Bogdanov ha battuto agli scacchi, ai bagni di Tiberio, a Capri. Con alcuni repertori. Il “falso” iniziale – che  farebbe crollare di like la stessa facebook, patria dei falsi. Roma “città di turisti”, eccetera. L’essere anziano. Un po' di voyeurismo, con la storia immancabile del rapporto in chat - che in chat viene meglio. E brevi incisi d’autore. La “mistica” dello sfasciacarrozze, delle micro-macro ammaccature. Il trotto rallentato del pensionato “con microcane”. Il figlio mancato, altra  sintesi svetoniana del presente a futura memoria (“prima avevo da lavorare, poi Clara aveva da lavorare, poi ero depresso, poi non avevo una lira, poi ho divorziato, poi ero ancora depresso, poi avevo ancora da lavorare, poi non avevo fidanzate, poi la galera….” – qui si sarebbe voluto sapere di più). La chimica del tramezzino, che rimanda a “diner con distributore di benzina a margine di strada americana che corre su prateria sconfinata”. Passando per il caffè di palazzata, “privo di qualità”, anche il luogo, oltre che la miscela, “come moltissimi bar della Città di Dio”. Aspettando che sulla via Olimpica passi - la domenica pomeriggio? il sabato sera? -  ‘a Squadaa, sul torpedone lampeggiante, sotto scorta vigile.
Una filippica piana, ma senza vie di fuga. Senza risparmiarsi-ci nulla: l’università come intrigo, il Maestro, il naufragio “nella stanza di un Ministero”, ai Lavori Pubblici, vincitore di concorso, addetto ai contatti con le Belle Arti, “con le dottoresse della Soprintendenza – tra le persone più ottuse del Pianeta”. Hombre del Partido, anti-americano il giusto.
Tutto vero, probabilmente. Eccetto che per la sabbia - ma è un errore comune: quella che la pioggia lascia sulle macchine non è “del grande deserto africano”, è della nube o fungo di polveri e gas che da decenni sovrasta immobile la Città di Dio – arrivandoci dal Sud all’imbrunire, all’altezza di Monte Porzio, quando si comincia a scendere, la nuvola di smog si vede immota sulla città, di cui segue con precisione millimetrica i contorni.
Notevole la fascetta editoriale: “La descrizione del nostro tempo più acuta, impietosa ed esilarante che avrete forse mai letto”. Eccetto che per il “nostro”: di chi? Il day-to-day del pensionato è una scommessa, rischiosa, rasentando le lettere dei romani (pensionati) a Paolo Conti o al “Messaggero”. Di una vita facile che si fa difficile, uscendo ogni mattina a confrontarsi con tutte le cose che non vanno, che sono tutte. Ce n’è anche per se stesso. Se non nelle forme del razzismo, sessismo e conformismo, in quelle del disincanto. Tutto vero, perché no, ma con un appunto, anche qui: chi è conformista? Lo scrittore no, è combattivo – o: si fa sempre in tempo a disperare. Specie Pecoraro, che fatti i settant’anni vuole raccontare un altro racconto, inedito anche come genere, anomalo, sulla scia del primo, “La vita in tempo di pace”.
La breve nota rimanda a una bibliografia tecno-storica-architettonica. Un epilogo la precede per dire che nei cinque anni di stesura del libro il terreno vago “attorno al rudere del vecchio Hoffmann è entrato in una fase di intense modificazione: costruiscono una singolarità commerciale”. Costruiscono un centro commerciale – naturalmente con restauro del vecchio Hoffmann, che sarà “centro culturale”, eccetera. E lo studioso dell’arte riemerge dalla pensione: “I centri commerciali sono la nuova agorà della città”.

Francesco Pecoraro, Lo stradone, Ponte alle Grazie, pp. 446 € 18  

Nessun commento: