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giovedì 4 gennaio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (548)

Giuseppe Leuzzi


Per il sindaco cesenate di Ravenna, Michele De Pascale, occhio fisso all’obiettivo, bocca sillabante, è una “grave resposabilità fare sbarcare una nave di migranti a Ravenna, imponendo due giorni in più di navigazione a gente tanto provata”. Non è una furbata, da candidato parlamentare contro Meloni, il sindaco è preoccupato, da democratico – così mostra di pensarsi: gli sbarchi sono per Lampedusa e Crotone. In Romagna, dove cinquant’anni fa muravano i casolari abbandonati in campagna per impedirne l’accesso ai meridionali, i negri devono arrivare rifocillati, e puliti.
 
L’Italia è vino, mafia, corruzione e farniente
In Norvegia una lontana missione condusse per presentare un’industria italiana che concorreva ai permessi di ricerca di idrocarburi sopra il 64mo parallelo tramite primaria agenzia di publicità. Non si promuoveva l’industria italiana per ingenuità, nessuno dubitava che l’invito a partecipare alla gara non fosse un diversivo per spingere gli americani al rilancio. Si era voluto giocare per acquisire comunque dei meriti. Imprevisto fu l’esito, una volta giunti alla scelta dei messaggi pubblicitari promozionali: cinque messaggi forti per una campagna che si voleva impegnativa, con cinque uscite su tutti i media locali.
Imprevisto fu il no dell’agenzia alla piccola manna:
- Meglio evitare la parola Italia - disse professionale il direttore. - L’Italia è vino, mafia, corruzione e farniente - spiegò, risparmiandosi l’ipocrisia: - Sappiamo che non è così, ma i nostri parlamentari sono pescatori, montanari.
Il vino disse cheap, di poco valore. Il che è vero.
 

L’orgoglio mongolo
È curioso, di tanti viaggi in Norvegia nel mare del Nord, sotto il 64mo parallelo, le sole immagini residue sono di Stavanger, per averci portato a gelo disciolto qualche ministro in visita, dove i norvegesi si scazzottavano e accoltellavano all’osteria, e gli italiani costruivano formidabili piattaforme semisommergibili.
Della graziosa Stavanger, davanti alla Scozia, riemergono i canti all’osteria, così simili a quelli scozzesi dei balli in circolo. E le quadriglie, che sono il canto difonico della Mongolia e le danze dei cosacchi. E un lampo la delusione illumina, con la lusinga della scoperta: “Ecco dove i mongoli sono finiti!”
Una scoperta difendibile, non c’è da dimostrare che i mongoli hanno passato il mare.
Ma perché non si vantano le origini mongole del mondo? Dov’è l’orgoglio mongolo? Manca ancora un primato nella storia.

Ai norvegesi parlare tedesco
L’Ente italiano che concorreva in Norvegia ai permessi di ricerca nel mare del Nord sopra il 64mo parallelo aveva un rappresentante, il dottor Omero Cambi, che si difendeva parlando tedesco:
- Loro parlano in inglese, io rispondo in tedesco – spiegava: - Lo so altrettanto male che l’inglese, ma loro, che non amano il tedesco, mi rispettano.
Il dottor Cambi, inoperoso sotto il 64mo parallelo, e poi pure sopra, era dottore in psicologia. L’Ente aveva molti maestri che lo rappresentavano all’estero, maestri di scuola:
- In questi paesi del Nord bisogna parlare il tedesco anche solo per finta, solo la Germania rispettano – spiegava.
Cambi si chiamava Omero, ma senza complessi:
- Mio padre s’è vendicato, suo padre l’aveva chiamato Michelangelo.
 
La lingua dei negri
Ora non più, il politicamente corretto non consente più di distinguere il meridionale all’accento. Cioè, di obliterarlo pregiudizialmente.  Ma quando usava, il rigetto nel mondo dei negri aveva un curioso effetto. In esso avviene infatti d’immedesimarsi, pur con i canoni del parlare urbanizzato, per un dono della xenolalia inavvertito che tutto mette in comunicazione, anche le popolazioni più diverse, nel Mediterraneo, in Africa, in Medio Oriente, si capisce tutto e tutti, e tutti capiscono, per tono di voce, pause, mimiche appena accennate. Per un linguaggio non detto, una forma di comunicazione non verbale - un contatto di energie cosmiche, direbbe un teosofo. E tuttavia esplicita.
Con questa dote, nel senso dell’accumulo, il Nord e i suoi rigidi riti sono stati affrontati senza complessi, presumendo anzi di conoscere le pieghe dei linguaggi del Nord meglio degli stessi settentrionali, per il vantaggio che deriva dalla comparazione. Ma c’è un Nord e c’è un Sud, e non c’è gara, il Nord è normativo, il Sud in affanno per conformarsi.
 
Mafia e affari al palazzo di Giustizia
Si legge “La verità sul dossier mafia-appalti” di Mori e De Donno con un senso di scoramento. Di eccitazione per l’incalzare delle “rivelazioni”, un genere cui ci hanno assuefatto le “ricostruzioni” dei tanti soggetti e eventi della storia recente, stragi, Br, “gomorre”. Ma di scoramento finale perché qui  colpevoli sono magistrati e personaggi illustri, e di reati gravi, mafia e corruzione. Taluni peraltro tuttora vivi e qualcuno in attività. Di nessunodei quali, a un mese e mezzo dall’uscita del libro, si ha notizia di querela per diffamazione. Il solo Caselli ha reagito, ma non alle accuse che gli muove il libro, alla presentazione che del libro ha fatto Carlo Vulpio sul “Corriere della sera”.
Le cronache riportano anche che la Rizzani D e Eccher, la maggiore impresa coinvolta negli anni 1980-1990 negli appalti pubblici in Sicilia in condivisione con la mafia (insieme con la Tor di Valle dell’ing. Paolo Catti De Gasperi, figlio di Maria Romana De Gasperi) è bene in piedi, appaltatrice  di grandi opere pubbliche. Ha avuto problemi di liquidità, ma li ha risolti. Non è stata sottoposta (miracolo?) a interdittiva antimafia, cioè al sequestro preventivo. E ha appena vinto un appalto da 600 milioni, in Sicilia, per l’autostrada Catania-Palermo.
Il rappresentante della Rizzani De Eccher in Sicilia, il geometra Giuseppe Li Pera, pentito, ne aveva denunciato i metodi e le collusioni. Ma i magistrati di Palermo incaricati dal Procuratore capo  Giammanco degli appalti pilotati, Pignatore, Lo Forte e Scarpinato, si erano rifiutati di ascoltarlo (pp. 144-45 del libro).
 
Il leghismo viene da lontano
Nel suo borbottio contro il lombardismo, contro la case, il decoro, le genealogie bottegaie, i dialetti, deformati, Gadda ne ha una che dice tutto (in una delle redazioni del progetto di romanzo ora pubblicato sotto il titolo “Un fulmine sul 220”, alla p. 98 dell’edizioncina Garzanti): il rifiuto dell’unità, che li portava a studiare le lingue: “Amavano coltivare le lingue, salvo beninteso che l’italiana. Essi accudivano a studiare il tedesco fin  dalla prima giovinezza, cominciando con la fraülein, e perseveravano a studiarlo tutta la vita”, oggi si direbbe l’inglese, “tralasciando però di commetere l’imprudenza di arrivare a impararlo, così che non avrebbero più potuto perseverare a studiarlo”).
Le letture dei romanzi, dei principi dell’impero e delle loro eroiche amanti, come ogni altra evenienza quotidiana, li riportavano ai bei tempi che furono: “I Cavigiòli deducevano che «anche gli Asburgo, in fondo, avevano saputo tener duro», e segretamente erano rincuorati a perseverare in quella loro forma di absburgismo lombardo, che consiste nel tener duro e a studiare e non imparare il ted esco, a studiare e imparare meno ancora l’italiano, e a considerare lo Stato italiano come un’accozzaglia di meridionali in cerca di occupazione”.
 
Differenziata, la miniera sporca del Sud
La Tari costa a Trapani quasi quattro volte che a Belluno. A Trapani sporcheranno di più, o perlomeno hanno più rifiuti, mangeranno quattro volte tanto, che a Belluno. Ma in tutto il Sud, più o meno, il costo della differenziata è superiore, di molto, al resto dell’Italia: tra aziende comunali e ditte in appalto la Tari è un fiume di denaro – nelle rilevazioni di Altroconsumo.
Il record spetta a Catania, 594 euro – con un aumento di 90 euro nel solol 2023. Tengono testa al Sud solo Genova e Pisa, e un po’ Latina. Per il resto la graduatoria vede ai primi posto solo il Sud:  Napoli (491 euro)  dopo Catania, Brindisi (464 euro), Messina (453), Salerno (451), Reggio Calabria (443), Benevento (442). In coda, con la Tari più economica, tutti capoluoghi del Nord, eccetto Isernia, che fanno pagar tra i 180 e i 220 euro: Udine, Brescia, Fermo, Vicenza, Bergamo, Macerata, Verona, Siena, Novara.
Non è un dato isolato. Nel 2018 la graduatoria della Tari era analoga, cioè al Sud più cara del doppio rispetto al Nord - anche se con comprimari diversi. In Trentino si pagavano 188 euro, in Campania 422. Le città più care, allora, erano Trapani (571 euro), Cagliari (514), Salerno (468), Trani (461), Benevento (460), Reggio Calabria (456), Napoli (446), Siracusa (442), Catania (435), Ragusa (427). In cima alle città meno care (e più pulite), con costi tra i 150 e i 190 euro, tutte città del Nord, eccetto Vibo Valentia (non però la più pulita) e Isernia: Belluno, Udine, Brescia, Bolzano, Pordenone, Verona, Trento, Cremona.
Per regioni, la graduatoria delle più care vedeva in testa la Campania, con 422 euro, seguita da Sicilia (399 euro), Puglia (373) e Sardegna (353). Si pagava di meno nel Triveneto, l’area più pulita del paese.
 
I siciliani in Germania sono mafiosi
Fra le tante missioni all’estero in cui accompagnò Giovanni Falcone, l’ex ufficiale del Ros De Donno ricorda nel libro “La verità sul dossier mafia-appalti” una a Wiesbaden, segreta, nella sede del Bka, Bundeskriminalamt, la polizia criminale tedesca. “Accolsero Falcone come un capo di Stato, anzi, di più”, col livello di protezione 1, di massima sicurezza. In elicottero da e per l’aeroporto, senza la possibilità per Falcone di sgranchirsi le gambe, né prima né dopo il colloquio. E il presidente del Bka, Heinrich Boge, che annuncia trionfale: “Senta dottore, abbiamo fatto un lavoro enorme, abbiamo schedato tutti i siciliani che risiedono in Germania”. Sconcerto. Boge, “un tedesco poco cordiale e molto testardo”, spiega finalità e metodologie, e conclude : “Noi ora vi diamo questo elenco e voi ci dite a che famiglia mafiosa appartengono tutti i siciliani”. Panico.
“Falcone si schiarì la voce, non si scompose, sbattè un paio di volte le palpebre”. Prende tempo. Obietta che non tutti i siciliani sono mafiosi. Boge si agita: “Lei mi sta dicendo che non ci vuole aiutare?”.  Falcone si agita, non ha ancora digerito l’estrema sicurezza adottata per proteggerlo. Esordisce apprezzando il lavoro del Bka, “un lavoro complesso”. Mette le mani avanti, “noi siamo in una fase di attività intensa, non possiamo permetterci di verificare l’elenco dei nomi”. E alla fne si rischiara: “Lei mandi i suoi uomini a Palermo, e io condividerò con loro tutti i miei elenchi”. Catarsi. Boge approva, “molto soddisfatto”: “La prossima settimana manderò i miei uomini in Sicilia”.
Boge li ha mandati, “un gruppo che passò settimane a copiare i nostri fascicoli”. Senza nessun esito evidentemente: “Che uso ne abbiano fatto, non è dato sapere”. La Germania ne sa di più.


leuzzi@antiit.eu


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