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mercoledì 9 novembre 2011

Il mondo com'è - 74

astolfo

Giappone – Se la storia va, come voleva Hegel, da Oriente a Occidente, 1) il Giappone è da qualche tempo la punta estrema dell’Occidente, 2) col Giappone l’Occidente ha chiuso il giro del mondo, 3) la storia riprende da Oriente.

La dolcezza della servitù. È il paese del pudore, si dice, e invece è dell’ordine. Ognuno sta al suo posto. E questo è dolce.
È un modello medievale di politica e di società, si dice, ed è impressionante quanto lo sia: il feudalesimo nella forma della Spa. La differenza è che l’ideologia del patto non è la privazione ma l’abbondanza, l’eccesso di abbondanza (l’amore del lusso).
Altri segni del vecchio patto: la politica è un fatto dei potenti; alcune “marche” sono autonome (la Yakuza); non c’è l’individuo ma una universitas (corporazione, azienda, villaggio); la fedeltà è reciproca, e pattizia, tra servo e padrone. Anche il senso della libertà lo è, non anarcoide, non primario: la libertà si apprezza soprattutto dov’è forte il senso della morte, mentre l’Oriente non ne ha paura, non ha il culto della vita - Mishima si suicida per questo, per essere isolato. E il nazionalismo puro e duro: l’altro è sempre un nemico.
La dolcezza però non è felicità, c’è inquietudine. L’occhio del giapponese ti guarda, guarda all’esterno. L’occhio normalmente guarda all’interno (riflette, si dice, la personalità), invece quello del giapponese appare sempre sbarrato verso l’esterno, e non esprime curiosità ma angoscia.

Liberazione – Anche l’imperialismo si vuole liberatore, da un secolo e mezzo buono. Dalle razzie la schiavitù, le pesti, il giogo turco, lo scià di Persia, l’imperatore cinese.

Oriente - C’è un Oriente creatura dell’Occidente, fumoso – quello di Pessoa: “Cerco nell’oppio che consola\un Oriente a oriente dell’Oriente”, una via di fuga. Una cosa da turisti anche se risale al Cinquecento, al Postel che per ultimo si eresse nel 1553 in difesa di Serveto, il negatore della Trinità bruciato dai calvinisti, nel nome della “fede ragionata” e avrebbe voluto essere gesuita. Guillaume Postel non era un fregnone, fu anzi uno studioso, dell’islam, le lingue semitiche, l’impero turco, Atene all’era di Pericle, la unione delle fedi, il dialogo tra monoteisti, cattolici, riformati, mussulmani, ebrei, ma aveva le visioni e costrinse sant’Ignazio a denunciarlo all’Inquisizione, e il buon papa Paolo IV a rinchiuderlo, dannandolo ad infamiam amentiae, all’infamia della follia, e all’Indice. Il carcere gli fu aperto quando il papa morì nel ‘59, ma Postel si isolò nel priorato di Saint-Martin-des-Champs a Parigi, oggi sede del Conservatorio e del Museo arti e mestieri, dove morì nel 1581. Le visioni erano di una Madre Zuana o Giovanna, Vergine Veneziana, o Veronese, Mater Mundi, Nuova Eva, Donna santissima, Messia femmina, che si voleva incarnazione dello Spirito Santo: Postel scriveva per conto di lei, delle sue mistiche unioni.
Il primo orientalista, a lungo il migliore, filologo solido, debuttò a tredici anni come maestro di scuola al suo paese in Normandia. Poi decise di continuare gli studi, al collegio Santa Barba a Parigi dove entrò domestico. A ventotto anni era professore al Collegio di Francia di ebraico, arabo e siriaco, nonché di greco e latino. Nell’occasione pubblicò in latino una “Introduzione ai caratteri alfabetici di dodici differenti lingue” – in essa decritta le iscrizioni sulle monete della rivolta ebraica come ebrai-co scritto in caratteri samaritani. A ventisei anni, nel 1536, era stato parte dell’ambasceria di Francesco I a Costantinopoli, alla corte di Solimano il Magnifico, in veste d’interprete e collettore di testi classici, greci, arabi, ebraici - il re cristianissimo cercava un’alleanza con i turchi contro Carlo V, il protettore della cristianità. Insegnò a Parigi, Vienna, Roma, Venezia e altrove. A Parigi, le sue lezioni al collegio dei Lombardi richiamarono tale folla che dovette tenerne anche in cortile, da una finestra. Nel 1575 dedicò le sue Histoires orientales a Francesco di Valois, l’invenzione di Marnix, che Caterina dei Medici avrebbe voluto affidargli fanciullo.
Delle opere riscattate in Oriente Postel editò gli astronomi arabi e la Cabala. Fu traduttore in latino dello “Zohar”, del “Sefer Yezirah”, del “Sefer ha-Bahir”, nonché illustratore dei significati cabalistici della menorah. Con aperture che avrebbero potuto eliminare alla radice le derive maschiliste della cabalistica, ma gli valsero l’ostilità di sant’Ignazio. L’inquisitore Archinto, cui il santo lo denunciò, lo assolse e l’ordinò prete, “a titolo di purezza, come erano gli apostoli”. Ignazio lo sottopose allora a una speciale commissione di tre giurati, i gesuiti Salmeron, Lhoost, Ugoletto, che lo dichiararono “soggetto a illusioni manifeste del demonio”. Postel aveva conosciuto Ignazio di Loyola quando questi era a Parigi, al collegio dei Lombardi. E aveva preso i voti di povertà, castità e obbedienza, quale novizio gesuita, a Roma, ripetendo il giuramento nelle sette chiese.
Filologo ineccepibile, Postel deriva tarocco dall’egiziano taro, strada reale, termine composto da tar, strada, e ros o rog, regale – da cui, forse, la Scala Reale del poker. Lo studioso individua anche un nesso fra tarocchi e cabala, tra i semi e gli elementi primordiali. Nello stesso anno, 1540, in cui si creava a Rouen la prima società dei maestri cartai. Che nel 1581, l’anno in cui Postel morì, diverrà arte riconosciuta all’interno della Corporazione arti e mestieri di Parigi, quella che avrà poi sede al boulevard Saint-Martin, e assoggettata a imposta di bollo. Ma semanticamente Postel collega gli Arcani Maggiori ai geroglifici del Libro di Toth, il dio della medicina. Geroglifici che ancora per secoli non saranno leggibili.

Spagna – È vittima dell’America. Soffre la Conquista come un’infezione, ed è per questo da ultimo severamente punita dagli Usa, in Messico, Filippine e Cuba. L’impero sopravvive dopo il 1588 – la sconfitta della Grande Armada – ma la spagna non se ne dà conto, né pace. Oggi se ne vergogna. S’è data un’anima Europa, come al tempo di Carlo V. E araba - al contrario dell’Italia, che fu salvata dai greci di Bisanzio.

Vietnam – Qualche anno dopo la sconfitta nel Vietnam, nel corso della guerra Iraq-Iran, Kissinger stabiliva che la guerra sarebbe finita solo quando i concorrenti fossero stai esausti. Ma quando un paese è esausto? Un paese in guerra. Gli Usa erano esausti nel 1973-75? O il Vietnam?
Il ritiro degli Usa dal Vietnam, dopo lunghi negoziati inconcludenti, è una decisione politica, alla Kissinger. Forse gli Usa erano esausti moralmente. Ma, più che una malattia, col ritiro hanno sancito una sorta d’intervento chirurgico risolutore. Chi ha vinto infatti la guerra del Vietnam? L’ha vinta, perdendola, l’America: smessa la faccia militare, ha lasciato nuda quella comunista, nuda e brutta. E ha preparato il trionfo del liberalismo-americanismo nei quindici anni successivi. Nel 1973 il comunismo ha cominciato il suo declino, prosciugandosi anche statisticamente, come un buco nero, minaccioso ma centripeto, rinsecchito.

Usa – Il crogiuolo è la nazione più monolitica. Per il sistema sociopolitico (ideologico) integrato, e sigillato a doppio mastice. Codificato nelle leggi, l’epos, le frasi fatte. Sono americane anche le minoranze di recente immigrazione, l’identificazione è immediata. Anche nelle situazioni politiche estremizzate, socialiste, populiste, o reazionarie, i riferimenti restano comuni, agli stessi valori politici e costituzionali – v. i processi McCarthy del 1949-52, da una parte e dall’altra.

astolfo@antiit.eu

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