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domenica 6 novembre 2011

Quando Roma era una capitale della Russia

È il catalogo bilingue della mostra sui russi in Italia nella prima metà del secolo (la documentazione è anche posteriore alla guerra), che si tiene a Mosca fino al 19 novembre (e non verrà ripresa in Italia), per il centocinquantenario dell’unità. Curata da Antonella D’Amelia, Stefano Garzonio, Bianca Sulpasso, con una ricchissima documentazione che il catalogo riproduce generosamente.
Roma fu nell’Ottocento e a lungo nel Novecento, anche dopo la rivoluzione bolscevica, centro di una folta colonia di scrittori e artisti russi, che nel 1902 si dotarono anche di una biblioteca, intitolata a Gogol’, il veterano forse più famoso della capitale italiana. Singolari le incisioni e gli acquerelli “Roma sparita” di Andrej Belobodorov, di cui il catalogo offre una dozzina di riproduzioni: si segnalano, oltre che per l’accuratezza del disegno (Belobedorov, un emigrato post-rivoluzione, che tra l’altro aveva scelto Parigi come sua dimora, è architetto e scenografo, oltre che pittore), per saper catturare in ogni veduta lo “spirito” della città, la luce, il classicismo di sfondo, l’aria, ben gareggiando con la più nota serie di Rosler-Franz. L’altra novità forse di maggiore importanza è la notevole pubblicistica antisovietica degli emigrati, in italiano, dal 1917 fino all’avvento del fascismo. Si va da “La rivoluzione russa” di Wladimiro Frenkel, del 1917, all’insegna di Tjutcev, il poeta appena ripubblicato da Adelphi: “Non si può capire la Russia, bisogna crederci”. A “I socialisti russi contro il bolscevismo”. E “Amore e bolscevismo. Talmud e Khamstvo” dello stesso Frenkel, l’ultimo qui riprodotto, del 1922 – khamstvò è la rozzezza, una “qualità” di cui pare che i russi non intendano liberarsi, di cui forse andrebbe ripresa la portata: Gor’kij, senza usare il termine, ne dà il significato forse più completo nel lungo racconto “Infanzia” (p.224), la straordinaria antropologia della Russia rurale ala vigilia della guerra e della rivoluzione: “I russi, per la miserie e la povertà della loro vita, in generale amano distrarsi col dolore, ci giocano, come bambini, e raramente si vergognano di essere infelici… Anche il dolore è una festa, l’incendio una distrazione; su un volto vuoto anche un graffio è un ornamento…” (o, a p. 277: le “plumbee infamie della selvaggia vita russa”).
“Eterna Roma”: la Comunità Russa nella capitale d’Italia (1900-1940), “Europa Orientalis”, pp. 392, ill. s.i.p.

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