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domenica 19 agosto 2012

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (140)

Giuseppe Leuzzi

Pippo Inzaghi, che si professa milanista e milanese, preferì fare la riserva nel Parma piuttosto che andare in prestito al Napoli titolare. Rischiando la carriera – era agli inizi. Robby Baggio, giubilato dall’Inter, ha rifiutato più soldi dalla Reggina per meno soldi dal Brescia. Eroi del nordismo? No, entrambi hanno avuto molti tifosi al Sud, probabilmente più che al Nord: La Juventus e la Nazionale, sulle quali l’immagine dei due calciatori si è costruita, sono fenomeni prevalentemente meridionali.
Il Nord è razzista, il Sud è, malgrado tutto, non violento.

“Parchi” di pale eoliche e “campi” di fotovoltaico popolano il paesaggio del Sud. Imprese privatissime, che paghiamo noi, gli altri. Anche l’elettricità, ammesso che questi impianti ne producano, gliela paghiamo noi, comprandogliela a carissimo prezzo. Ervono allo sviluppo del Sud, alla protezione dell’ambiente, all’anidride carbonica, eccetera. Ma gli affaristi vengono dal Nord. Anche dalla Germania.

Ogni paio d’anni parte da Locri una delegazione per Berlino, dove tenta inascoltata di lasciare una richiesta di restituzione della Persefone. Una statua gigante, di grande interesse anche per la simbologia, la mitologia, la linguistica, che è l’attrazione del Pergamon, il museo antiquario della capitale tedesca.
La Persefone fu tagliata a pezzi e trafugata a Locri nel 1911 da trafficanti tedeschi. Che poi la vendettero allo Stato Prussiano a caro prezzo. Legalmente, si dice, allora si potevano “esportare” i beni culturali, seppure non a pezzi e di nascosto. Ma in contanti: il Pergamon non ha alcuna pezza giustificativa dell’acquisto.

Il nuovo meridionalismo
La ricerca storica torna alle radici, dopo aver latitato per un cinquantennio nella sociologia politica, quando non nelle grosse deformazioni dell’opportunità polemica. Non molto ma c’è un inizio. Il centocinquantenario ne è stato l’occasione, non essendosi disperso in celebrazioni (la penuria di mezzi può essere benefica), e cadendo in pieno lombardismo, astioso, ringhioso. Oggi anche la storiografia italiana “rifà” l’unità, anche se con minore lucidità di quella angloamericana, la analizza, la interpreta e, soprattutto, la legge per come è avvenuta, non per come è stata confezionata – che sembra inverosimile, ma l’unità è stata ed è confezionata. Dopo centocinquant’anni, cioè, di patriottismo incondizionato.
C’è un nuovo meridionalismo. Ed è quello, infine, della riflessione. Della ricerca, anche. Più che della polemica e delle sovvenzioni, che sempre sono miserabili, non possono che esserlo. Un meridionalismo malgré soi, le sudditanze politiche e l’ignavia accademica sono forti, e tuttavia inevitabile. La storia dello sviluppo mostra che il progresso è nell’uguaglianza. Per decenni, per quasi un secolo, le teorie dello sviluppo economico e sociale hanno pencolato su soluzioni tutte sterili: gli aiuti, l’assistenza tecnica, la formazione, i capitali, l’investimento primario (acciaio, energia, chimica) tutti peraltro nell’ottica, seppure inconscia, del balzo in avanti o della scociatoia. Mentre bastava poco per liberare i quattro-cinque miliardi di esseri umani dell’Asia, dell’America Latina, del Medio Oriente e ora anche dell’Africa, come poi si è fatto un quarto di secolo fa con la globalizzazione: consentire loro di lavorare. Far apparire, anche, il lavoro desiderabile, l’applicazione.

“Sud”
La “creazione del Sud” si può dire esempio massimo della “prevalenza del discorso” o della “narrazione”. A un certo punto siamo stati espulsi dalla storia. A conclusione dell’illuminismo che ci aveva visti – Napoli e la Sicilia – protagonisti. Poveri, sporchi e cattivi, arretrati, sanfedisti, assolutisti, irrecuperabili. Non solo il Sud ma tutta l’Italia. Che nella sua grande parte, non solo la Toscana e Milano ma anche Napoli e la Sicilia, era “più avanti” della Baviera o del Galles. È la stessa epoca in cui si afferma la scuola storica di Gottinga, creata dalla monarchia anglo-tedesca per inventare e affermare gli “ariani”, o la supremazia del Nord. Una “narrazione” tanto assurda (inventata, pretestuosa, incoerente) quanto possente, che ha dominato la storiografia e la storia fino all’Olocausto, e ancora serpeggia sotto la crosta. Con ali marcianti nella Francia dei Lumi e nella Grande Vienna dell’empiriocriticismo.
È una coincidenza? È una causa? Sarebbe dare ragione ai praticanti della storia come complotto. Che “non esiste”. Ma complotti nella storia se ne fanno. La compattezza con cui gli indirizzi della scuola di Gottinga, del tutto arbitrari, si sono affermati è imperversano, oggi nel senso comune se non più nella scienza storica, è solo stupefacente.

L’odio-di-sé
Un assessore regionale siciliano alla Cultura, assessore pro tempore, per un paio di mesi, ipotizza di coprire con un tetto i teatri antichi. Contro le intemperie, eccetera. La solita proposta di un assessore che vuole uscire sui giornali. I suoi avversari politici ne fanno un caso. Allertano il,”Corriere della sera”, spiegano all’inevitabile Stella tutte le debolezze dell’assessore, politiche e non, e ottengono una pagina contro questa Sicilia pazza. L’ennesima, sprezzante.

Mafia e antimafia
Si dice l’omertà, l’acquiescenza, l’istinto, tutto ciò che demoralizza il Sud. Non si dice perché i Carabinieri non arrestano i mafiosi, o i giudici. Ingroia, Teresi, e l’ignaro Messineo (capo della Procura!), che in anni non hanno arrestato un mafioso, uno solo. A Palermo. Mentre ci danno lezioni di storia, di morale, di politica, di diritto, e di antimafia. Non c’è più la Mafia a Palermo, o c’è solo lo Stato? Mafioso. E i giudici allegri arringatori del popolo di che Stato sono?

La mafia non si persegue se non su disegno politico. Mentre è offesa quotidiana. Di giovani perlopiù. Violenti, paurosamente stupidi, grassatori anche. Quello che vi chiede duecento euro in prestito perché ha dimenticato il portafogli a casa, se vuole aprire con voi un’ostilità di cui voi ancora non sapete. I carabinieri, che sanno, tutto, perché non li arrestano subito invece che a distanza di anni, dopo miriadi di violenze, in quelle operazioni dai nomi fastosi che servono solo alle legioni di avvocati famelici in agguato? Si intercetta tutto ma non il delinquente che chiede il pizzo al commerciante, all’imprenditore, al funzionario. Che spara, incendia, mette bombe.

Ostica partita Ingroia-Ostellino sul “Corriere della sera” giovedì 9 agosto. A colpi di ragione di Stato, che l’uno oppone all’altra, senza che si capisca nulla. La contesa giunge all’acme quando Ingroia rimprovera Ostellino, l’ultimo liberale allo zoo, di ignorare “secoli di elaborazione del pensiero liberale da Locke a Tocqueville”. Un “raggiramento” sublime, proprio palermitano, anzi ingroiano. Da sovvertitore della sovversione – in altra circostanza si direbbe da mestatore.

leuzzi@antiit.eu

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