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lunedì 13 agosto 2012

La sfinge Ingeborg è un classico

È una lirica prosatrice, o una prosatrice lirica’? La stessa autrice aveva già risolto il quesito di Antonella Gargano, l’amorevole curatrice, optando per il primo ossimoro. Anche se questi racconti giovanili, proprio del tempo lirico di Ingeborg Bachmann, poetessa laureata del Gruppo 47 (Grass, Enzensberger, Uwe Johnson, e altri sopracciò) a 21 anni, sono amabili narrazioni.
“Il Comandante”, frammento del romanzo disperso “Città senza nome”, è un Kafka gemellare (“Città senza nome” sarebbe romanzo giovanile, scritto tra il 1947 e il 1951, ma vi è decisivo “il materiale registrato dalle telecamere”). Il “Ritratto di Anna Maria”, del 1955-57, è Antonioni. Il tutto è Ingeborg Bachmann, di sicura, ormai classica, cifra: da narratrice su fondo filosofico. La “luce” irrompe nelle occorrenze e nella mente di Reiter, il saldatore diplomato che lavora con la luce accecante, nella forma di un libro trovato per terra al caffè, “Umano, tropo umano”, e niente è più lo stesso, il lavoro, la moglie malata di tubercolosi, i bambini, il medico, Reiter stesso, che diventa un pazzo a tutti gli effetti, molto argomentativo – “come uno che è consapevole, che vuole
essere consapevole, ma non può più fare uso di questa consapevolezza per se stesso”.
Ingeborg Bachmann, Il sorriso della sfinge, Cronopio, pp. 110 € 14

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